In attesa di capire se ci saranno i presupposti per concludere la stagione NBA, sospesa a tempo indeterminato dallo scorso 11 marzo in seguito alla pandemia da coronavirus, gli Houston Rockets, tra le principali contender della Western Conference, si interrogano sul futuro. Il contratto dell’head coach Mike D’Antoni, infatti, scadrà al termine dell’attuale stagione e le due parti in causa non hanno mai discusso la possibilità di continuare il loro rapporto e firmare un nuovo accordo.
Approdato ai Rockets nel 2016, l’ex Baffo ha attualmente all’attivo un record di ben 237 vittorie ed appena 89 sconfitte in 326 gare ufficiali tra regular season e playoffs alla guida di Houston (214-73 in regular season e 23-16 in post-season) ed è riuscito a valorizzare al meglio il roster a sua disposizione nel corso degli anni, permettendo a giocatori come Eric Gordon, Clint Capela, Ryan Anderson, Gerald Green, Kenneth Faried, Austin Rivers, Danuel House e Ben McLemore di ritrovare sé stessi o di affermarsi definitivamente nella lega e, soprattutto, facendo convivere uno dei giocatori più divisivi e particolari in circolazione, James Harden, con Chris Paul prima e Russell Westbrook poi, senza snaturare il sistema di gioco della squadra.
Spesso e volentieri finito nel mirino di critici e detrattori per lo stile di gioco dei suoi Rockets, accusati di ricorrere quasi esclusivamente al tiro da tre come soluzione offensiva (in particolare dopo l’eliminazione in gara-7 delle Finali di Conference nel 2018 per mano dei Golden State Warriors, partita in cui i suoi si fecero rimontare sbagliando ben 27 triple consecutive) e di concedere troppi isolamenti alla principale stella squadra, James Harden, che sotto la sua guida è riuscito a primeggiare nella classifica degli assist per partita nel 2016/2017 (11.2), a mettere in bacheca il primo titolo di MVP della sua carriera nel 2017/2018 e a vincere due titoli come miglior scorer stagionale (30.4 punti nel 2017/2018 e 36.1 punti nel 2018/2019, in quest’ultimo caso disputando la miglior annata per punti realizzati dal 1986/1987, anno in cui Michael Jordan chiuse a quota 37.1).
Sotto la guida di D’Antoni, inoltre, Houston è risultata l’unica squadra capace di andare ad un passo dal detronizzare i Golden State Warriors al completo, quelli che in molti ritengono la miglior squadra della storia, un mix vincente di talento, esperienza e mentalità vincente, con Kevin Durant, Stephen Curry, Klay Thompson, Draymond Green e Andre Iguodala. Una macchina da guerra perfettamente messa a punto da Steve Kerr, ex general manager dei Phoenix Suns del 7 seconds or less, la filosofia con cui coach D’Antoni plasmò la franchigia dell’Arizona a sua immagine e somiglianza, praticando una pallacanestro innovativa e futuristica tra il 2003 e il 2008. Grazie anche e soprattutto a quei Suns, la NBA è cambiata radicalmente negli ultimi anni, con Steve Kerr che ha dato ufficialmente inizio alla nuova era coi suoi Golden State Warriors.
Lo scorso febbraio, con Harden e Westbrook ancora un po’ in difficoltà a trovare l’intesa perfetta in campo, i Rockets si sono privati di Clint Capela e hanno riportato in Texas Robert Covington, affidabile 3&D pronto all’uso reduce dalle esperienze con Philadelphia Sixers prima e Minnesota Timberwolves poi. Il capitolo small ball era iniziato molto bene per i Rockets, capaci di battere i Los Angeles Lakers di LeBron James e Anthony Davis per 121-111 allo Staples Center, mettendo in fila una striscia di ben sei vittorie consecutive tra il 12 febbraio e il 1 marzo, tra cui quelle con gli Utah Jazz di Rudy Gobert, detentore del premio di Defensive Player of the Year, e quella con i Boston Celtics al TD Garden. Proprio mentre le cose andavano nel migliore dei modi, però, sono arrivate numerose quanto pesanti battute d’arresto con avversarie a dir poco alla portata dei Rockets, in particolar modo i sopracitati Knicks, gli Charlotte Hornets e gli Orlando Magic.
La ritrovata e convincente vittoria con i Minnesota Timberwolves prima della sospensione lasciava presagire un ritorno ad alti livelli dei Rockets, ma la pandemia da coronavirus ha impedito di verificarne gli eventuali miglioramenti. Lo small ball resta un’idea tanto affascinante e suggestiva quanto azzardata e rischiosa e per capire effettivamente se potrà funzionare bisognerà aspettare i prossimi playoffs, ammesso che si creino le condizioni per tornare in campo e concludere regolarmente la stagione 2019/2020. In caso contrario o nell’eventualità in cui le cose non dovessero andare nel migliore dei modi in post-season, i Rockets potrebbero seriamente pensare a un cambio di allenatore, salutando D’Antoni per ripartire da una nuova figura adatta a prenderne il posto.
Rockets, duello Van Gundy-Thibodeau per il post D’Antoni?
Jeff Van Gundy could be Mike D'Antoni's replacement in Houston next season https://t.co/K1AXZOZx8G
— Sports Illustrated (@SInow) May 6, 2020
Tra questi, spiccano due vecchie conoscenze della lega, ossia Jeff Van Gundy e Tom Thibodeau. Il primo, 57 anni compiuti lo scorso 19 gennaio, ha già guidato i Rockets dal 2003 al 2007, non andando mai oltre il primo turno di playoffs, anche e soprattutto a causa dei ripetuti infortuni che hanno fortemente limitato le due stelle della squadra, Tracy McGrady e Yao Ming. Dopo la sconfitta con gli Utah Jazz ai playoffs 2007, Van Gundy si dimise dai Rockets e iniziò a ricoprire il ruolo di commentatore sportivo a ESPN, tornando soltanto per un biennio in panchina, alla guida di Team USA dal 2017 al 2019. Da segnalare, inoltre, che Van Gundy riuscì nell’impresa di portare i New York Knicks, piazzatisi all’ottavo posto in regular season, alle Finals nel 1999, arrendendosi soltanto al cospetto dei San Antonio Spurs di Gregg Popovich.
Il secondo, dal canto suo, già assistente allenatore dei Rockets proprio durante il quadriennio di Van Gundy, è stato licenziato lo scorso anno dai Minnesota Timberwolves, a fronte di un inizio di stagione decisamente deludente: a poco gli valse la netta vittoria con i Los Angeles Lakers all’inizio di gennaio 2019, che non bastò a far cambiare idea al front office dei Lupi di Minneapolis.
Per ora non circolano nomi di possibili alternative, dunque pare che sarà il duello Van Gundy-Thibodeau a stabilire chi sarà il prossimo allenatore degli Houston Rockets, con D’Antoni a mettere il bastone tra le ruote ai due. Un’alternativa più che credibile ai nomi poc’anzi menzionati potrebbe essere rappresentata da Mark Jackson, che non ha ancora ripreso la carriera da allenatore dopo il triennio ai Golden State Warriors (2011-2014), ricoprendo – al pari di Jeff Van Gundy – il ruolo di analista per ESPN. L’ex point guard dei New York Knicks, ritiratosi proprio tra le file degli Houston Rockets nel 2003/2004, sotto la guida del già citato Van Gundy, ha recentemente dichiarato che sogna di tornare in pista e aspetta la proposta giusta.
Tra gli allenatori disponibili più appetibili figura anche il nome di Kenny Atkinson, licenziato dai Brooklyn Nets lo scorso 7 marzo. Sulle sue tracce sembrano esserci i Chicago Bulls, desiderosi di tornare al più presto a competere per obiettivi importanti, ma non sarebbe affatto una sorpresa se un’ambiziosa contender (qual è la stessa Houston) decidesse di fiondarsi sul classe 1967, già assistant coach dei New York Knicks di Mike D’Antoni dal 2008 al 2012.
Lo sguardo al futuro, dunque, combina passato e presente in casa Houston Rockets: da possibili ritorni, quelli di Van Gundy e Thibodeau, a una conferma da guadagnare sul campo (ma potrebbero incidere ben altri fattori nella decisione del front office) per D’Antoni. Il tutto senza dimenticare la spinosa questione legata al futuro del general manager Daryl Morey, il cui tweet pro Hong Kong scatenò la polemica con la Cina. Anche lui in bilico? Nelle prossime settimane Houston conoscerà il suo futuro, che potrebbe riabbracciare elementi del passato o dare continuità e fiducia a quelli del presente.