Siamo giunti alla finale di Eurolega, che sarà tra Barcellona ed Efes. Nei primi tre anni della moderna Eurolega, quella riunita sotto l’egida ULEB per intenderci, la finale ha sempre visto la squadra di una polisportiva a trazione calcistica a una squadra, per così dire, indipendente. Nota: in tutti e tre i casi, la squadra indipendente era italiana.
Panathinaikos-Virtus Bologna, Barcellona-Treviso e Maccabi-Fortitudo Bologna sono state, anche se non lo sapevamo, il canto del cigno del nostro basket. Il -44 subito all’allora Yad Elihau da parte dei felsinei biancoblù è stato, di fatto, la pietra tombale di una pallacanestro tricolore che ancora non si è ripresa dai fasti vissuti nel pre-Bosman.
Ci ha provato la Mens Sana Siena di Pianigiani nel 2008 e nel 2011, e ci è arrivata vicina l’Olimpia Milano di Ettore Messina quest’anno. Nel frattempo, l’unica “indipendente” che ha presenziato a una finale è stata il Baskonia, regolato dal Maccabi sia nel 2005 che nel 2008. Questo, almeno, fino al 2019. Andiamo ora a vedere come Barcellona ed Efes arrivano a questa tanto desiderata finale di Eurolega.
Qui Efes: come impensierire il Barcellona?
La crescita dell’Anadolu Efes è stata letteralmente esponenziale. Da squadra di medio livello europeo, che si fermava sempre tra le Top-16 e i quarti di finale, sotto la guida di Ergin Ataman gli anatolici si sono trasformati in una corazzata. Nella prima metà della seconda decade del Duemila ha vissuto qualche passaggio a vuoto, anche in patria, nonostante sia stata guidata da santoni come Oktay Mahmuti, Dusan Ivkovic e Velimir Perasovic.
A rimettere il team sui giusti binari è servito il terzo ritorno del figliol prodigo, che era assistente in rampa di lancio quando, nel 1996, l’Efes fu la prima squadra sportiva turca a vincere un trofeo continentale, peraltro contro l’Olimpia Milano di Boscia Tanjevic. È legittimo pensare che, da uomo cresciuto nell’Efes, abbia saputo trasmettere ai suoi giocatori un senso di appartenenza in grado di fare la differenza anche sul campo.
Il resto, visto che i discorsi motivazionali possono indirizzare le partite ma non propriamente vincerle, è stata una scelta saggia di giocatori. Tre combo guard come Beaubois, Larkin e Micic, un coltellino svizzero come Simon, la taglia fisica di Pleiss e Moerman unita a quella del già presente Dunston, atletico tanto quanto i due colleghi europei di reparto sono tecnici.
I nomi che abbiamo citato, non casualmente, sono tutti arrivati nell’estate del 2018, ovvero quando Ataman ha potuto comporre il quadro secondo i propri gusti cestistici, dopo essere subentrato nel dicembre 2017. Da allora il nucleo è sempre rimasto identico ed ha recepito gli input del proprio coach, con i risultati sotto gli occhi di tutti.
Nella finale nel 2019 i sogni si sono infranti contro il CSKA, regolato quest’anno in semifinale. L’Efes ha attaccato mentalmente la partita ed ha costruito un vantaggio cospicuo a cavallo dei due tempi, grazie al pick&roll centrale che creava vantaggio e alla contemporanea capacità dei lunghi di giocare senza palla e farsi trovare liberi sotto le plance.
Daniel Hackett e Will Clyburn hanno però magistralmente condotto i propri compagni alla rimonta, non concretizzata quando la tripla del secondo si è stampata sul secondo ferro a 5” dalla sirena. Le divinità del basket evidentemente volevano che gli anatolici avessero un’altra chance. Contro, manco a dirlo, una polisportiva a trazione calcistica.
Qui Barcellona: come impensierire i turchi?
E che polisportiva! Bisogna forse tornare al 2003 per trovare un’occasione in cui, a livello continentale, la sezione di pallacanestro del Barcellona ha avuto occasione di rimediare ai fallimenti di quella del pallone a pentagoni.
Mirotic meglio di Messi? Jasikevicius meglio di Koeman? Vedremo. Da quella che è la finale annunciata da tempo uscirà il verdetto che decreterà se i tifosi catalani potranno gioire grazie alla palla a spicchi o se, viceversa, finirà, forse momentaneamente, l’egemonia delle polisportive.
Certo, non si può dire che i blaugrana non si siano sforzati, in sede di preparazione. Approfittando del rebuilding della Casa Blanca, la dirigenza ha infatti inserito un paio di pedine per completare un roster già di livello notevole: il Barcellona nell’era Pesic aveva infatti investito pesantemente in rinforzi, nonostante i risultati poi siano stati complessivamente al di sotto delle aspettative, premessa che ha portato alla separazione dal serbo.
Al suo posto, quello che sembra una delle poche stelle giovani nel coaching, Sarunas Jasikevicius. Innamorato sin da giovane di Barcellona, il lituano da giocatore aveva lasciato a malincuore, come racconta nella sua biografia, la città catalana proprio per volontà del Pesic che ha sostituito, e di cui eredita appunto gran parte del roster.
Tornato da allenatore dopo le buonissime annate con lo Zalgiris, Jasi in effetti ha toccato pochissimo di quanto già c’era. Sono partiti Tomic, Ribas e Pangos, a cui da gennaio si è aggiunto Heurtel, diretto all’ASVEL ma promesso sposo proprio del Real Madrid, e sono arrivati Nick Calathes e, sempre ad inizio 2021, prima Leo Westermann e poi Pau Gasol, aggiunta che ha ragioni più di leaderhip che meramente tecniche.
La finale raggiunta era annunciata, come detto, ma non scontata. Per agguantarla il Barcellona nella semifinale contro Milano ha dovuto muovere in maniera intelligente la palla (tra dentro e fuori l’area) e sfruttare la propria grande qualità tecnica attraverso i giochi a due e le uscite dai blocchi in zona centrale, aprendo la via verso il canestro.
Ciononostante ha sofferto Milano e la sua capacità di creare dal palleggio, aspetto in cui l’Efes, squadra che troverà in finale, è notoriamente abile. Toccherà quindi mettersi davanti alla tv per vedere se le gerarchie verranno ribaltate o se, viceversa, saliranno sul trono ancora i soliti noti. Barcellona o Efes? Appuntamento per domenica 30 maggio alle ore 20.30.