Ci vorrà il terzo serbo dell’infornata, Bozo Maljkovic, per riportare al Real il titolo a cinque anni di distanza dall’ultimo. Un quarto slavo, stavolta montenegrino (all’epoca però i due paesi ancora non erano staccati, per cui si potrebbe anche parlare senza problemi di compatrioti) nel frattempo aveva condotto il Baskonia sul tetto di Spagna nel 2002: si sarebbe ripetuto otto anni più tardi, ultimo prima che iniziasse il duopolio Real-Barcellona, mentre nel 2008 ce l’avrebbe fatta Neven Spahija, croato. Misteri gioiosi del basket.
Nel 2006 sopra tutti si è elevata la Malaga di Scariolo, l’anno dopo tocca al Real allenato dal catalano Joan Plaza. Ma è solo attorno agli anni ’10 del nuovo millennio che le merengues ritrovano continuità: Ettore Messina lascia dopo un anno e mezzo in seguito a una sconfitta con Siena per incomprensioni con l’ambiente, il fido Lele Molin traghetta i madrileni fino alle prime Final Four dai tempi di Obradovic (1995, chiaramente vinte) e poi lascia il timone a Pablo Laso, che da lì in poi si scontra ogni anno con il Barcellona di Xavi Pascual, enfant du pays assurto a capo allenatore in concomitanza con il Guardiola del calcio. Pascual, però, resta fino a giugno 2016, quando perde in finale contro i blancos nel sesto Clàsico in sei anni. È il Real di Llull, Rudy Fernandez, Carroll, Sergio Rodriguez, Mirotic, Reyes che vince quattro campionati e un’Eurolega (2015, Triplete quell’anno) contro il Barça che di campionati ne vince due, annoverando tra le sue fila Huertas, Navarro, Abrines, Ingles, Lorbek, e di Tomic, il quale, sentendosi poco apprezzato, nel 2012 passa dai madrileni ai catalani.
E nel mentre la nazionale? I risultati elencati all’inizio. E se per caso qualcuno sta pensando che con l’età avanzata di questa generazione e i progressivi ritiri il ciclo di vittorie finirà, si metta l’animo in pace. Noi è qualche anno che ce lo andiamo ripetendo. Stiamo ancora aspettando.