Il Maccabi Tel Aviv stavolta l’ha fatta grossa.
Ormai, ad ogni grande evento sportivo mondiale (Olimpiadi, Campionati del Mondo, finale di Coppa, ecc.) si scatena una bagarre sul tema dello sport che “deve restare fuori dalla politica” o, viceversa, la variante della “politica deve restare fuori dallo sport”.
Niente di più finto e lontano dalla realtà.
Ma torniamo alla squadra di pallacanestro israeliana. Cos’è successo esattamente?
Il team ieri ha postato una foto. Fin qui sembrerebbe che non ci sia nulla di strano. Ma guardiamo attentamente cosa mostra quest’immagine.
Un soldato alza con fierezza la sciarpa del Maccabi, su uno sfondo a dir poco agghiacciante. Le macerie degli edifici della città di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza. La didascalia riporta il messaggio scritto dal militare, il protagonista della foto. “Buona fortuna per la partita di stasera”.
Ma la cosa più grave è che, sotto il post, il Maccabi ha anche commentato. “Grazie eroi”.
Ed è qui che si è aperto un dibattito clamoroso. Il post ha scatenato la reazione (non proprio positiva) di moltissimi appassionati di pallacanestro.
Tanti hanno chiesto un intervento da parte dell’Eurolega. “Rimarrete in silenzio?”, oppure “Non volete punire il Maccabi Tel Aviv per aver fatto passare il messaggio che la guerra è giusta?”, e ancora “Dovremmo elogiare la guerra quindi?”.
Svariati commenti hanno portato il Maccabi a bloccare un numero altissimo di utenti, e in tantissimi hanno chiesto l’esclusione della società dall’Eurolega. Infatti, c’è da considerare che tra gli 11 club soci fondatori della competizione spicca il nome del Cska Mosca che, nonostante il suo status, continua ad essere esclusa dal torneo a causa del conflitto in Ucraina. Dopo l’invasione russa, l’Eurolega ha scelto di introdurre il ban nei confronti dei club russi, che è stato prolungato e dura ancora oggi.
E sono tantissimi i tifosi che chiedono una presa di posizione anche contro il Maccabi, che ha dimostrato in svariate occasioni di sostenere la guerra condotta a Gaza dall’esercito di Israele, in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Il Maccabi Tel Aviv si espone. E riapre il dibattito sul legame “sport vs. politica”
Ed è qui si riapre il dibattito di cui parlavamo prima. Lo sport viaggia di pari passo con la politica? Per quanto mi riguarda, la risposta è assolutamente sì.
Lo sport è politica. Da quando le discipline sportive sono diventate un fenomeno planetario, ogni evento rappresenta un’occasione per fare politica nel senso più ampio del marketing strategico, ma anche nel senso più spinoso e delicato. Sempre con l’intento di nascondere i propri scheletri nell’armadio, che siano più o meno gravi.
A volte lo sport può scatenare virtuosità, partecipazione corale e inclusività. Non è sempre la politica partitica, propagandistica, finalizzata al consenso elettorale. Alle volte è una politica che attraverso simboli, gesti, outfits, spinge la società contemporanea a superarsi.
Lo sport è politica perché è lo ius sanguinis di Marcell Jacobs (nato a El Paso) che ha portato al nostro paese l’oro nei 100 metri, e di Jorginho (Santa Catarina, Brasile) che ha sconfitto gli inglesi in casa loro. E vogliamo pensare a quante medaglie stiamo rinunciando perché non abbiamo il coraggio di riconoscere lo ius soli?
Lo sport è politica perché, al Gran Premio d’Ungheria, Sebastian Vettel durante l’inno indossa la maglietta LGBT “Same love” e, nelle ore successive al podio, viene squalificato per un’infrazione assurda. Una squalifica ad un campione non fa mai bene, ma lo schiaffo ad Orban è stato pure peggio.
Lo sport è politica perché Paola Egonu è una donna nera ma italiana e bisessuale, che rappresenta le Azzurre da sempre e per sempre. Oppure preferite che parlassimo di quanto è stato politico El Pibe de Oro, Diego Armando Maradona?
Lo sport è politica e lo è sempre stato. Tifare per una determinata squadra non significa aderire ad un programma politico, è ovvio. Sostenere il Milan non vuol dire essere berlusconiani, però convincersi che il mondo dello sport possa restarsene su un’isola felice, lontano dall’attualità politica e dalle battaglie per i diritti civili è fantasia pura.
Ma altre volte, come questa, come è successo con il Maccabi, serve soltanto da grimaldello per certi regimi, per ridarsi un momento di gloria, difficilmente raggiungibile con altri mezzi.
E bisogna farsene una ragione.