♬ Traccia consigliata da accompagnare alla lettura: Miles Davis – Kind of Blue ♬
Ho pensato che qualcuno dagli spalti saltasse giù per mettermi le mani addosso.
~ Gregg Popovich ~
Sono queste le prime parole di Gregg Popovich da nuovo head coach dei San Antonio Spurs. E’ il 14 Dicembre 1996, il General Manager e vice-presidente ha appena licenziato Bob Hill, coach che ha vinto il 73% delle partite nelle precedenti due stagioni (nessuno meglio di lui nella storia degli Spurs fino a quel momento). Il GM che ha scelto Gregg Popovich come sostituito di Hill si chiama… Gregg Popovich. Sì, Pop è il nemico pubblico n.1 a San Antonio. Subissato dai fischi dell’Alamodome quando lo speaker, alla sua prima da capo allenatore, annuncia il suo nome subito dopo il boato per il rientrante David Robinson. L’ammiraglio metterà il canestro decisivo per il 106-105 con cui San Antonio vince sui Dallas Mavericks, rendendo l’animo dei fan un po’ meno amaro.
E’ così che ha avuto inizio la lunga storia di Gregg Popovich sulla panchina dei San Antonio Spurs. Quel 14 Dicembre 1996, la storia della franchigia texana, della NBA, dello sport si è rivolta verso orizzonti lontanissimi e meravigliosi, che nessuno, Popovich in primis, si sarebbe mai immaginato di accarezzare. Fra fischi e insultiti dei suoi stessi tifosi.
1996-97: Come è iniziato il regno di Popovich a San Antonio
La stagione 1996-97 si è aperta con 3 vittorie e 15 sconfitte, un incubo per i texani reduci da due stagioni di assoluto vertice. “Hill non ha più in mano la squadra” e Pop decide il 9 Dicembre che è arrivato il momento di dare una svolta e gettarsi nella mischia. Un allenatore da Division III con nessuna esperienza da capo allenatore NBA. I fan sono furibondi, molti lo accusano anche di essere un raccomandato. Eh già, in effetti è stato scelto come General Manager degli Spurs nel 1994 dal Generale brigadiere Robert McDermott che conosceva personalmente Popovich dai tempi dell’Air Force Academy. McDermott, allora vice-presidente esecutivo della franchigia texana, ammetterà candidamente che non sapeva molto di basketball quando ha assunto Popovich ma ne conosceva bene il carattere, decidendo di scommettere sul suo background da militare e sulla sua dedizione alla disciplina e all’eccellenza.
Non smetto mai di pensare a me stesso come un coach di Division III.
~ Gregg Popovich ~
La peggiore stagione della storia
Arrivano subito altre due vittorie, a Houston e con Phoenix. Poi il piede di David Robinson fa crack. Frattura e stagione finita. E’ un’annata nera: Sean Elliott, Vinny Del Negro e Chuck Person passano più tempo in infermeria che sul parquet. C’è anche Dominique Wilkins in quella squadra, ma a 37 anni non può fare la differenza. Il bilancio del primo anno di Popovich da head coach dice 17 vittorie e 47 sconfitte. Gli Spurs chiudono 20-62, peggior record nella storia della franchigia e terzo peggiore della lega. Fanno peggio solo i Boston Celtics e i derelitti Vancouver Grizzlies.
Il draft 1997
Costantemente ai vertici della NBA da 7 stagioni sotto la guida di David Robinson, San Antonio potrà perlomeno scegliere alto nel draft 1997. C’è solo un giocatore in quella classe di draft che per tutti è un futuro All-Star e nettamente uno, anzi due gradini sopra gli altri. Si va alla lottery. Le squadre canadesi (Vancouver e Toronto) per regolamento non possono ottenere la prime scelte per i prossimi tre anni. Quindi, Vancuover che avrebbe il peggior record (14-68) è fuori dalla corsa. I Celtics si presentano da favoriti (15-67) e con addirittura un’altra prima scelta dai Mavericks (24-58). Hanno il 36% di probabilità di vincere la lotteria, ma la dea bendata volta loro le spalle e bacia San Antonio (che aveva il 22%). Popovich ci rimette un panino per lo shock. Pazienza.
Per la seconda volta nella loro storia gli Spurs avranno il 1st pick assoluto. Nessun dubbio, è Tim Duncan. L’altra prima scelta, nel draft 1987, era stata David Robinson, anche se l’ammiraglio, proprio per i suoi impegni con la marina militare, aveva fatto il suo esordio solo nel 1989-90. Saranno le torri gemelle, saranno titoli e gloria duratura per gli Spurs, ma questo, come si dice, è storia.
Ero così incredulo che ho letteralmente fatto cadere il mio hamburger per terra. Era incredibile. Uno dei nostri avrebbe preso Duncan!
~ Gregg Popovich ~
1979-1994: Popovich prima di Popovich
Ma facciamo un passo indietro, da dove viene Gregg Popovich? Come ha fatto questo figlio di un serbo e di una croata ad arrivare in NBA? La risposta si può racchiudere in un nome: Larry Brown.
Gli anni al college (Division III)
Gregg Charles Popovich inizia come vice allenatore della squadra di basket della Air Force Academy a soli 23 anni, nel 1973. Ha appena detto no a una carriera nella CIA, la pallacanestro sarà il suo mestiere. Viene chiamato ad allenare la squadra di un piccolo college di nome Pomona-Pitzer, in cui resterà per 9 anni. I risultati in realtà sono poco entusiasmanti, ma è in quegli anni che conosce Larry Brown, capo allenatore all’università di Kansas. Nascerà una profondissima amicizia fra i due. Pop ha il tempo di regalare il primo titolo dopo 68 anni a Pomona nel 1986 prima di passare un anno da assistant coach “volontario” a fianco proprio di Larry Brown a Kansas.
Siamo amici da tanto tempo. E’ stato un mentore. E’ stato davvero uno speciale, non solo perchè mi ha portato nella lega. Ho imparato tantissimo da lui.
~ Gregg Popovich su Larry Brown ~
L’arrivo in NBA come vice allenatore
Quando Brown riceve la telefonata di Red McCombs nel 1988, chiama subito Popovich a rapporto. I due saranno capo e vice allenatore dei San Antonio Spurs per 4 anni fino al 1992. Nel coaching staff figurano anche R.C Buford e Alvin Gentry. Il tempo di Larry Brown a San Antonio finisce il 22 Gennaio 1992, a metà stagione dopo un burrascoso tira e molla con la proprietà. Il suo staff, incluso Popovich, resta fino a fine stagione.
Poi però anche lui lascia il Texas, per volare in California, come assistant coach del leggendario Don Nelson ai Golden State Warriors. Il proprietario degli Spurs McCombs congeda Pop dicendogli “hai l’opportunità di diventare un grande allenatore.” Non immagina di certo che sarebbe tornato da lì a poco a cambiare faccia a San Antonio, non solo alla squadra, ma all’intera comunità della città dell’Alamo. Se chiedete oggi al novantenne Red McCombs di quell’assistant coach che salutò i suoi Spurs nell’estate 1992, vi risponderà così:
Non posso dire abbastanza che genere di uomo è, e cosa ha significato per San Antonio. Dio ci ha benedetto con Gregg Popovich.
~ Red McCombs ~
A scuola da Don Nelson
Se sei chiamato alla corte del coach of the year della stagione appena conclusa (1991-92), è un’opportunità da sfruttare al meglio. Pop nei suoi due anni in California ha l’approccio dello studente umile e voglioso di imparare tutto quello che può, proprio l’atteggiamento che vuole vedere, anzi pretende, dai suoi giocatori. Don Nelson è un visionario, lo è sempre stato, è il precursore dello small ball e della pallacanestro come movimento continuo di tutti gli interpreti sul parquet. Non vincerà mai un titolo pur essendo l’allenatore con più vittorie in carriera (1.335) nella storia NBA. Ci penserà proprio Popovich, e gli stessi Golden State Warriors di Steve Kerr, ad onorare le idee di “Nellie” con gli anelli tanto agognati. Gregg attinge a piene mani dalla filosofia di Don Nelson, un pensiero sempre fuori dagli schemi.
Quando alla vigilia delle ultime elezioni presidenziali USA viene chiesto a Popovich se ha già votato, lui risponde:
“Ho già votato.”
“E per chi ha votato?”
“Don Nelson.”
Sono stato attorno a tanti leader nella mia vita, ma non sono mai stato attorno a un leader migliore di lui.
~ Don Nelson su Gregg Popovich ~
1994: Il ritorno a San Antonio da General Manager
Siamo pronti per lasciare la bottega del maestro Don Nelson. O meglio, Popovich si sente pronto quando arriva una chiamata il 13 Maggio 1994. Dall’altra parte il Generale McDermott, figura decisiva per le sorti odierne degli Spurs. Sono cambiate tante cose nella città dell’Alamo da quando Red McCombs e il suo GM Bob Bass avevano chiuso i rapporti con Larry Brown prima e con il suo staff poco dopo. Grazie all’apporto determinante del decorato ex pilota da combattimento McDermott (Bronze Star e tre Air Medals), attivissimo nella comunità di San Antonio, lo storico proprietario degli “speroni” si era lasciato convincere a vendere la franchigia a un gruppo di imprenditori locali capitanati da Peter J. Holt.
I primi movimenti di mercato degli Spurs di Popovich
Gregg Popovich fa il suo ritorno in Texas nel ruolo di General Manager e vice-presidente esecutivo dell’area sportiva, con una promessa fatta al Generale McDermott: liberarsi di Dennis Rodman. Trasgressivo, indolente, considerato una distrazione dai suoi stessi compagni. Niente di compatibile con la visione militaresca di McDermott, e dello stesso “ammiraglio” David Robinson. Popovich non ci pensa due volte a scambiare il “verme” alla fine di una stagione, quella 1994-95, chiusa da Rodman come miglior rimbalzista NBA (per il quarto anno consecutivo) e selezionato per l’All-NBA e All-Defensive Team. Scambio sbilanciatissimo con un lungo di riserva dai Chicago Bulls, Will Perdue.
Popovich mi odiava. Mi odiava tanto perché non ero propriamente un bravo ragazzo. Mi guardava come fossi il diavolo.
~ Dennis Rodman ~
E’ il primo segnale, forte e deciso, che nei San Antonio Spurs di Gregg Popovich la giusta mentalità e i valori umani vengono prima di qualunque numero, record o prestazione tecnica che un giocatore possa mettere in campo. “Sì, questo è quello giusto“, deve aver pensato sorridendo McDermott. Ed è anche per questo che quando Popovich un anno e qualche mese più tardi pensa al “colpo di Stato” per sedersi in prima persona sulla panchina dei nero-argento, il Generale non farà mancare il suo pieno appoggio.
Ma Pop sta già lasciando dappertutto le sue impronte nell’organizzazione Spurs dal suo arrivo. Come prima mossa riporta Avery Johnson a San Antonio. Era stato Popovich a dare una seconda chance al “piccolo Generale” (vi siete accorti che i riferimenti militareschi sono praticamente ovunque, vero? Non è un caso) dopo che gli stessi Spurs lo avevano tagliato nel 1992, portandolo con sé ai Warriors di Don Nelson. Johnson gli sarà per sempre riconoscente per questo; ancora una volta si creerà un rapporto saldissimo fra i due. Tenetelo a mente, perché ci tornerà utile più avanti in questa storia.
Pop ha riconosciuto la forza e l’intelletto di Avery [Johnson] prima di chiunque altro.
~ R.C. Buford ~
La visione internazionale
Gli acquisti più importanti sono in realtà fuori dal campo. Si chiamano Sam Schuler e R.C Buford. Il primo fa la stessa strada di Pop da Oakland a San Antonio per essere il direttore del personale dei giocatori (la figura del front office che cura il rapporto con i giocatori e ne cura anche la selezione). R.C. Buford sarà, invece, il capo dello scouting; c’era la stata la California nel destino di entrambi dopo l’addio (temporaneo) agli Spurs nel 1992, ma per Buford era Los Angeles, sponda Clippers, ancora una volta fra gli assistenti di Larry Brown.
Perché queste due figure sono così importanti per Popovich e per il futuro degli Spurs? Soprattutto per un motivo: i tre condividono la profonda convinzione che portare giocatori internazionali a giocare in NBA possa essere un arricchimento di inestimabile valore per la loro squadra. Se oggi si va verso una lega con il 50% di giocatori stranieri, beh, ricordatevi di questo triumvirato.
[I giocatori stranieri] sono fondamentalmente dei gran lavoratori, più di molti ‘ragazzetti’ americani.
~ Gregg Popovich ~
Paspalj, il primo europeo
La strada in questa direzione non è stata semplice, nemmeno per Popovich. Ci sono voluti infatti 5 anni prima di portare un non americano in squadra, complice anche un primo tentativo finito male durante la sua prima vita texana. Il Popovich assistente di Larry Brown nell’estate 1989 aveva fatto carte false per farsi mandare in Germania, a Dortmund, per osservare un torneo di preparazione ai Campionati Europei. Il GM di allora Bob Bass, scuote la testa ma, sfinito, accetta. Popovich torna con un nome: Zarko Paspalj, jugoslavo di 2 metri e 07, tiratore mancino dalla meccanica rivedibile ma molto efficace. Bass dice ok e il lungo firma subito per la stagione 1989-90. Risultato: 72 punti in tutta la stagione. Paspalj, attuale vicepresidente del Comitato Olimpico serbo e con un passaggio a fine carriera in Italia in maglia Virtus, non ha certamente lasciato il segno. Se oggi fate il suo nome a San Antonio probabilmente strizzeranno gli occhi e vi risponderanno dicendo che non parlano la vostra lingua. Ecco, diciamo che non siamo ancora al livello dei Ginobili e dei Parker.
Buona la… seconda
Il secondo tentativo si concretizza solo nel draft 1999. Gli Spurs scelgono con la chiamata 29 Leon Smith, americano, ma pochi minuti dopo lo scambiano per la 40° scelta assoluta dei Mavericks, lo jugoslavo Gordan Gircek. Lui in realtà non giocherà mai in maglia Spurs, ma qualche chiamata più avanti, esettamente la penultima, la 57, Popovich acquisce i diritti della guardia titolare della Viola Reggio Calabria. Sapete già di chi si tratta. Buford lo aveva visto per la prima volta in un torneo internazionale under-20 in Australia (grazie a quella “connection” australiana, Buford porterà a San Antonio Brett Brown, Patty Mills e Ayron Baynes). Difesa inguardabile, tiro così e così, ma una voglia di competere semplicemente impressionante. E’ perfetto per la cultura che sta costruendo Gregg Popovich in quegli anni. E’ il perfetto esempio di giocatore snobbato da tutti ma che costruendo sulla sua consistenza morale può diventare un pezzo importante di una organizzazione dove il collettivo viene sempre prima del singolo. Il suo nome è Emanuel David Ginobili Maccari, da Bahia Blanca. Firmerà per gli Spurs nel 2002, dopo altri tre anni trascorsi in Italia. Entrerà nei cuori di tutti noi per non uscirne mai più.
E’ come un ciuccio. I bambini cercano il loro ciuccio e io cerco il mio, e quando lo vedo in palestra mi sento meglio.
~ Gregg Popovich su Manu Ginobili ~
1999-2000: Le grandi paure prima e dopo il titolo
Pop ha appena chiuso la sua prima stagione completa (1997-98) in sella alla panchina di San Antonio. Gli infortuni sono molti meno che l’anno passato e adesso in squadra c’è Timmy, ovviamente rookie of the year 1998. La classifica dice 56-26, battuto il record di più ampio miglioramento rispetto alla stagione precedente e si va ai playoff con il 5° posto a Ovest. Ma è ancora il tempo di Bulls contro Jazz e Stockton-Malone non danno scampo agli Spurs, eliminati nelle semifinali di Conference con un secco 4-1.
Ma si riparte forte per la stagione successiva! La squadra è ben costruita, Tim Duncan ha messo dentro un anno di esperienza fra i grandi e la coppia con David Robinson profuma già di dominio. E invece no. Non si parte affatto. E’ l’anno del lockout, durissimo, la stagione NBA rischia di saltare del tutto ma si trova un accordo in extremis. Prima palla a due il 5 Febbraio 1999. Si giocheranno 50 partite in 4 mesi esatti (in sostanza una partita ogni due giorni e mezzo). Come è finita quella stagione ce lo ricordiamo tutti. Popovich si arrampica sulle sue “twin towers” per toccare il cielo con un dito e infilarci il primo dei suoi 5 anelli. Il preludio di una cavalcata epocale nella storia del gioco. Quello che forse non molti ricordano, però, è che nel giro di un anno e mezzo, prima e dopo la festa in gara 5 al Madison Square Garden, Popovich ha contemplato la fine di tutti i suoi sogni in tinta nero-argento.
A un passo dal licenziamento
“Dobbiamo farcela insieme, dobbiamo riuscirci, questa è una partita fondamentale”, questo il discorso di David Robinson ai compagni nella pancia del Compaq Center di Houston. Ci sono solo facce serie fra i giocatori e lo diventano ancora di più quando l’ammiraglio usa queste parole, lui che era solito dire soltanto una preghiera nel pre-partita, nient’altro. Tutti hanno ben presente il significato di questa partita. Gli Spurs arrivano al derby texano contro i Rockets di Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e Scottie Pippen dopo una pesante sconfitta casalinga per mano di Utah, finita con l’espulsione di Popovich. L’inizio di stagione è di quelli che non ti aspetti: 8 sconfitte nelle prime 14 partite.
Per i tifosi Popovich è ancora il signor “che cosa ha mai combinato”, e il risentimento dai tempi del controverso licenziamento di coach Boh Hill è cresciuto sconfitta dopo sconfitta. E c’è un giovane commentatore televisivo delle partite di San Antonio che piace praticamente a tutti. Ha da tre anni chiuso la sua carriera da giocatore proprio con gli Spurs e le voci che sia pronto a rimpiazzare Popovich sono sempre più insistenti. Il suo nome è Glen Anton Rivers, per tutti “Doc”. Mi sa che ne avete sentito parlare e tornerà a farsi sentire anche in questa storia qualche mese più avanti, nell’estate del 2000.
La riunione sul bus convocata da Avery Johnson
Le voci non sono solo voci. Quello che ne è più certo di tutti è Avery Johnson, la società glielo ha comunicato: in caso di sconfitta fuori Pop dentro Doc Rivers, e se lasciare il ruolo di GM a Popovich si vedrà. Quest’ultimo, in realtà, non sveste i panni del personaggio che oggi tutti conosciamo neanche in quei momenti. Come racconta Steve Kerr, tiratore in uscita dalla panchina per quella squadra: “ricordo chiaramente che Pop era sereno e tranquillo e non si era fatto prendere dal panico. Pensava solo a pressarci perché continuassimo a lavorare sulle nostre debolezze“.
Ma il momento è chiaramente delicato. Tanto che prima di prendere il volo per Houston, Avery Johnson e David Robinson vanno a casa di Popovich. Escono dalla chiacchierata con il coach sentendo una vicinanza saldissima e con la determinata consapevolezza che bisogna fare di tutto per vincere la prossima, decisiva partita.
Avrey Johnson spinge per un faccia a faccia sul bus che porta la squadra al Compaq Center. Fuori tutti, lo staff e gli allenatori, solo giocatori. Per molti quella è la riunione che ha salvato la carriera di Popovich. Chi ha vinto quella partita potete immaginarlo facilmente. Il risultato è un sonoro 99-82, Johnson mette a referto 18 punti e 13 assist. Da lì in poi arrivano 31 vittorie nelle restanti 36 partite. Miglior record della lega, percorso quasi netto nei playoff (15-2) e primo Larry O’Brien trophy della storia ad arrivare nell’Alamo.
Popovich mi ha dato l’opportunità di venire a San Antonio e far continuare la mia carriera. Ho convocato la riunione perché volevo che i miei compagni sapessero quanto ci tenessi ad aiutare a salvargli la carriera.
~ Avery Johnson ~
Tim Duncan sul piede di partenza
Passa un’altra stagione e Popovich deve affrontare la più grande paura di tutta la sua carriera, ovvero vedere Tim Duncan lasciare i suoi Spurs. Eh sì, perché in quegli anni un rookie al terzo anno è già libero di guardarsi intorno in estate. Duncan è deciso a valutare le opzioni che ci sono sul piatto. Lo zoccolo duro degli Spurs formato da Robinson, Elliot e Johnson inizia ad essere abbastanza in là con l’età. Per di più i Lakers di Kobe e Shaq fanno davvero paura. Pensare a un addio a San Antonio non è così folle come potrebbe sembrare ripensandoci oggi. Resta presto di fronte a sole due alternative possibili: rifirmare con gli Spurs con cui ha già vinto un titolo oppure spostarsi in Florida, accompagnato da Grant Hill e chiamato a gran voce dal fresco nuovo coach dei Magic, Doc Rivers. Eccolo qua, di nuovo. L’idea sarebbe di formare un super-team con “the big fundamental”, Hill e Tracy McGrady. Il 24enne Duncan, il primo weekend di Luglio, vola in Florida per visitare i Magic proprio insieme ad Hill. Orlando riserva, ovviamente, un corteggiamento folle ai due.
“Ero dentro ed ero fuori“, ha dichiarato recentemente Duncan.
Il proprietario degli Spurs Peter Holt in un’intervista all’Orlando Sentinel dichiara: “Dire che qui non siamo sugli spilli sarebbe una bugia.” Secondo molti Duncan è più convinto di partire che di restare. A San Antonio il classico “Go Spurs, Go” si trasforma in “Stay Tim, Stay“. Pop è nervoso, è convinto che Lone Babby, agente sia di Tim Duncan che di Grant Hill, stia mettendo insieme i pezzi per mandare entrambi a Orlando. E’ la peggiore estate della sua vita:
E’ stato un periodo snervante. E’ stato un inferno. Costruisci un legame con un giocatore e non vuoi vederlo andar via. Non mi sono mai voluto illudere che rimanesse. Mi stavo preparando, per la mia salute. Non è uno scherzo.
~ Gregg Popovich ~
Il dietro front
Popovich non sbaglia, Duncan è davvero vicinissimo ad accettare le lusinghe dei Magic. Cancella il volo di ritorno per San Antonio per visitare meglio la città. Grant Hill ha già firmato con i Magic a pochi giorni dal suo viaggo a Orlando. L’entourage di Duncan rassicura i Magic, la firma è solo questione di giorni. Poi però, improvvisa, la marcia indietro e il ritorno in Texas. Per sempre. Non ci sarà mai più un dubbio per Duncan. Sarà allenato da uno e soltano un allenatore in tutta la sua carriera NBA.
Cosa ha fatto sì che Duncan cambiasse idea? Secondo Bruce Bowen, un passo falso di Doc Rivers che alla richesta di Tim Duncan se la sua famiglia potesse volare insieme alla squadra in occasione di qualche trasferta, dice di no. Alla fine TD volta le spalle allo sfarzo e al glamour con cui i Magic lo avevano accolto per tornare in un ambiente meno scintillante e con ogni probabilità più adatto a lui.
Il modo in cui comuninca a Popovich la sua decisione finale lascia intendere quanto Pop fosse vulnerabile in quel momento, come forsa mai nella sua vita cestistica:
“Beh coach, sa, non c’è spiaggia a San Antonio“, inizia Duncan con tono gentile, quasi dispiaciuto.
“Ha presente quando una donna riceve un invito da George Clooney? E’ come uno di quei casi“, continua Duncan.
“Non c’è una spiaggia neanche ad Orlando“, ringhia Popovich. “C’è un deserto culturale laggiù. Cosa vuoi andarci a fare?”
Duncan ride e dà al buona notizia al coach: ha scelto, firmerà con San Antonio.
A recente domanda su questa conversazione, Pop ha risposto: “Ci ero cascato. Ci ero cascato alla grande.”
L’irrefrenabile terrore di coach Popovich di fronte alla possibilità di veder partire Duncan, forse spiega meglio di qualsiasi altra cosa il rapporto unico fra i due:
E’ come un figlio. Siamo anime gemelle, più nella vita che nel basket.
~ Gregg Popovich su Tim Duncan ~
“Il ventennio”: successi e consistenza targati Spurs
In questi vent’anni e più di Spurs à la Popovich i successi e i record si sprecano. Per raccontare le vittorie e la grande storia dei nero-argento che hanno attraversato il millennio lasciando una scia di ammirazione al loro passaggio bisognerebbe scrivere un libro, anzi 73. La cosa che più incanta dell’opera di Popovich a San Antonio è la consistenza dei risultati, figlia, fra tante cose, soprattutto della cultura che Pop è riuscito a instillare grazie alla sua “dedizione alla disciplina e all’eccellenza” (riprendendo le parole del Generale McDermott). Il tratto più affascinante del mondo Spurs è proprio la sua filosofia, la sua etica attorno alla quale è stata costruita un’organizzazione funzionale che ne dipende alla lettera. Il collettivo prima del singolo, il bene della squadra prima del successo di uno, un sacrificio in difesa vale più di mille giocate spettacolari. Concetti semplici e quasi banali, recitati continuamente da chiunque ma che assumono una consistenza reale, che puoi toccare con mano, a San Antonio come forse in nessun altro spicchio del mondo sportivo.
Nella città dell’Alamo adesso tutti lo riconoscono a Pop, “verrebbe eletto in qualunque votazione, su qualunque cosa, qui,” dice oggi Red McCombs. Lui che ha reso la quinta città più piccola della NBA, il più grande modello sportivo d’America e non solo. Negli ultimi vent’anni gli Spurs sono la franchigia più vincente fra tutti gli sport USA. Ogni singola stagione ai playoff, ogni singola stagione sopra il 60% di vittorie. La stagione più disastrosa? Il 2009-10 con 32 sconfitte, poi sempre meno di 30 sconfitte, ogni benedetto anno per 21 anni consecutivi. Ad averne di stagioni così disastrose… I titoli sono 5 (1999, 2003, 2005, 2007, 2014) e sono storia. Ma più dei titoli impressiona la costanza dei risultati negli anni, in un sistema, come quello NBA, creato apposta per impedire lunga vita ai successi di una stessa franchigia. La forza delle idee che piega il sistema. E se ci sono dei numeri che possono misurare la “forza” delle idee, della cultura Popovichiana sono quelli difensivi, perché è la difesa lo specchio dell’elevazione morale di un gruppo, della voglia di sacrificarsi per gli altri e della dedizione altruistica al bene comune della squadra.
Leggere la classifica NBA del defensive rating durante l’era Popovich è, con non troppa sorpresa, impressionante. Questi i numeri dei San Antonio Spurs:
’96-’97: 113.16 (29°) | ’03-’04: 94.79 (1°) | ’10-’11: 106.23 (11°) |
’97-’98: 100.22 (2°) | ’04-’05: 99.59 (1°) | ’11-’12: 103.83 (10°) |
’98-’99: 95.90 (1°) | ’05-’06: 100.32 (1°) | ’12-’13: 102.26 (3°) |
’99-’00: 99.45 (2°) | ’06-’07: 100.64 (2°) | ’13-’14: 102.93 (3°) |
’00-’01: 98.64 (1°) | ’07-’08: 102.54 (3°) | ’14-’15: 102.61 (2°) |
’01-’02: 100.38 (2°) | ’08-’09: 105.01 (5°) | ’15-’16: 99.55 (1°) |
’02-’03: 100.29 (3°) | ’09-’10: 105.17 (8°) | ’16-’17: 104.25 (1°) |
San Antonio è attualmente seconda (103.48) nella stagione in corso dietro soltanto ai Boston Celtics (102.87).
Le origini della devozione per la difesa
Che il ragazzo fosse nato con l’idea di difesa come massima espressione del suo gioco preferito, lo si era capito subito. Lo ha capito per primo Jim Vermillion, un assistente allenatore delle squadre di basket e baseball della Merrillville High School, Indiana. “Ma chi diavolo è che bussa con così tanta insistenza”, deve aver pensato Vermillion all’interno del suo ufficio mentre tentava invano di combattere il caldo torrido di quell’estate 1967. Un’idea in testa ce l’ha di chi potesse essere e le parole della persona dietro la porta gliene danno subito conferma.
“Coach, mi può fare entrare in palestra?”
Non c’è dubbio, è lui, per l’ennesima volta. Già, è il diciottenne Gregg Popovich, per tutti “C.C.” a Merrillville, da quando coach Bill Metcalf non riuscendo a pronunciare il suo nome lo chiamava “Craig” che, facendo il paio col secondo nome Charles, ha generando quel nickname che tanto dava fastidio al giovane Gregg. Popovich è appena tornato a casa dopo il primo anno di College alla Air Force Academy. E’ l’inizio di una intera estate passata in palestra a ripetere continuamente le stesse routine difensive.
Cosa farebbe un qualunque ragazzino quando lo fai entrare in palestra? Ti dirà, ‘dammi la palla.’ Non Gregg. Lui andava per un’ora, senza palla, facendo scivolamenti difensivi tutto da solo. Questa è dedizione.
~ Jim Vermillion ~
Il presente e il futuro: l’amore per i suoi “figli”
Fra 365 giorni Pop compirà 70 anni. Sarà ancora lì, sulla panchina dell’AT&T Center a far uscire dalla panchina Tony Parker e diventare paonazzo sgridando chicchessia per un mancato aiuto in difesa? Probabilmente sì. Perché quando sei “padre” lo sei per sempre. Ed è proprio questo che Pop rappresenta per molti, tantissimi ragazzi che hanno giocato per lui. Popovich è sempre stato capace ad instaurare un rapporto, forse unico, certamente sincero, a volte duro con quelli che lui stesso definisce i suoi “figli“. Una combinazione quasi commovente di disciplina, lealtà, affetto, empatia e integrità morale. E’ probabilmente questo il vero segreto della “famiglia” Spurs capitanata da papà Pop.
Ancora una volta ci sarebbero mille storie da raccontare, mille anneddoti da svelare sul rapporto che Popovich ha instaurato con i suoi giocatori in questi anni. Ma a volte basta solo una frase per farsi un’idea di chi è Gregg Popovich per i suoi giocatori e viceversa. Un uomo capace di profonda ironia, di parole durissime ma anche tenerissime. Eccone solo alcune:
Tony Parker: “Non mi ha dato tempo. Pop mi ha detto: ‘o riesci o fallisci. Se fallisci, scambierò il tuo culo’.”
Popovich su Boris Diaw: “Mi manca Boris. Senza di lui le nostre cene sono molto meno divertenti. Era l’unico giocatore che beveva vino con me. Sto provando a corrompere i miei giocatori. Ma lui era davvero un bersaglio facile.”
Popovich a Danny Green appena appreso della selezione nel secondo All-Defensive Team 2017: “Non so cosa ho visto finora, perché faccio attenzione a come giochi in difesa… ma qualcuno pensa che sei un bravo difensore. [pausa] Sono orgoglioso di te.”
Danny Green, messaggio vocale lasciato a Popovich dopo essere stato firmato e tagliato per due volte in pochi giorni dagli Spurs: “Sono pronto. Se avrò una seconda chance farò qualunque cosa possibile per rientrare in squadra. Porterò gli asciugamani, passerò l’acqua. Questa volta non la prenderò alla leggera. Farò ogni piccola cosa che potrò.” Il giorno dopo Popovich firmerà Danny Green per tutta la stagione.
Popovich su Kawahi Leonard, parlando di una palla rubata a Curry e contropiede concluso con una schiacciata: “Non ha alzato il pugno né guardato il pubblico facendo il fico né una di queste robe da idioti. Non ha fatto nulla. E’ solo andato dall’altra parte, come se fosse annoiato a morte. E’ questo che amo di lui.”
Popovich su Dejounte Murray, parlando della rissa fra Aldridge e Ibaka: “Stavo andando lì per calmare le acque e lui [Murray] mi ha spinto via, come per dire ‘Ci sono. E’ ok. Non mi servi tu qua.’ E’ stato piuttosto fico.”
Ma le migliori parole per descrivere perché dopo tutti questi anni, le fatiche e l’età che avanza Pop sia ancora lì, ogni giorno in palestra fischietto in bocca, instancabile e insaziabile, non possono che essere che quelle dello stesso Gregg Charles “C.C.” Popovich su Gregg Charles “C.C.” Popovich:
Adesso ho dei nuovi, più giovani figli come Kawhi e Dejounte. Iniziare una nuova generazione. E’ una delle cose che veramente amo di quello che faccio. Ti stanchi del pick and roll. Ti stanchi di camminare nelle arene. Ti stanchi di parlare con i media di tutti quei generi di cavolate. Ma guardare quei ragazzi crescere dentro e fuori dal campo è l’essenza di insegnare e allenare.
~ Gregg Popovich ~