Tra tutte le disfatte europee di quest’anno, quella rimediata sul parquet dell’NSH Arena di Mosca è l’unica ad avere quasi il sapore di una vittoria. La Dinamo Sassari ha cambiato faccia, si è sporacata le mani e ha giocato da squadra operaia per quaranta minuti, facendo correre la palla in attacco e più di un brivido lungo la schiena degli uomini in maglia Cska. La squadra di Itoudis è stata salvata in extremis dalle doti della stella più luminosa del suo firmamento, Milos Teodosic.
Effetto Calvani? Probabile, ma il dottore ha appena cominciato a prescrivere la cura. Il neo coach non ha disposto del tempo necessario a modellare la squadra come un vaso d’argilla e renderla a sua immagine e somiglianza; ha trasmesso alcune tra le sue idee cardine, il cui effetto si è rispecchiato in un rinnovato atteggiamento difensivo, ma ha avuto al contempo l’umiltà e il buon senso di mitigare il passaggio di consegne lasciando ampio spazio agli assistenti Maffezzoli e Citrini durante i time out della gara. Il tempo risponderà a tutte le domande sulla bontà del suo operato, nel frattempo sono arrivati dei segnali che se non altro evidenziano una voglia condivisa di invertire il trend negativo di questi primi mesi.
Gli allenatori non hanno poteri magici e non esiste una filosofia di gioco migliore di un’altra. Ogni squadra ha degli interpreti che rendono di più o di meno a seconda del contesto, dei compagni e del sistema di gioco. L’attacco di Gregg Popovich, con le sue spaziature perfette e l’idea che tutti sappiano in ogni momento cosa fare, per rendere al meglio ha bisogno degli uomini giusti, non si può applicare con chiunque. Phil Jackson ha costruito i suoi successi sulla Triple post offence sviluppata da Tex Winter, ma aveva a roster giocatori in grado di interpretarla al meglio e sfruttarne i vantaggi. L’intento non è quello di fare paragoni, ma di trasmettere un concetto. La base del successo della Dinamo targata Meo Sacchetti risiedeva negli uomini chiave, le cui caratteristiche permettevano di mettere in atto una fase d’attacco tanto spregiudicata quanto spettacolare, imprevedibile e alla lunga vincente.
Quest’anno qualcosa è andato storto, la Dinamo è stata stravolta, sono arrivati nuovi innesti e il coach di Altamura si è trovato nuovamente a dover cominciare da capo. Stavolta la ciambella non è riuscita col buco, sono venuti fuori i limiti di una gestione priva di sintonia tra gruppo e allenatore e la conseguente carenza di risultati ha portato la dirigenza a optare per un cambio di rotta. Troppo costoso e difficile stravolgere la squadra a stagione in corso; i tagli paventati da stampa e tifosi si sono dimostrati impraticabili per ragioni economiche. La scelta è inevitabilmente caduta sul cambio dell’allenatore, nella speranza che il nuovo arrivato riuscisse a far suonare come un’orchestra armoniosa una banda di solisti scordati.
Quello che è importante comprendere è che, se la Dinamo dovesse risorgere come una fenice e tornare ai fasti di un tempo, tale evento non significherebbe che Calvani è un fenomeno e Sacchetti un brocco. Vorrebbe semplicemente dire che Calvani è l’uomo adatto a gestire questi uomini e questo tipo di squadra, e che il suo credo cestistico si sposa meglio con la Dinamo di questa specifica annata. La bella prestazione di Mosca dimostra che la strada intrapresa potrebbe davvero essere quella giusta, ma prima di dare sfogo ai dibattiti lasciamo che a parlare sia il campo, l’unico ed inappellabile giudice di questo sport.
Per NBA Passion,
Mauro Manca