“I don’t like the look of you. You gotta go.” “Non mi piace il tuo stile, devi andartene.”
Si potrebbero utilizzare queste parole per iniziare uno dei racconti più belli dell’NBA. L’NBA, come sappiamo, non si limita ad essere la massima lega cestistica, è molto di più. Per ogni ragazzino, americano e non, con una palla a spicchi in mano l’NBA rappresenta il culmine dei propri sogni. Ogni bambino al campetto con la passione per il basket desidera giocare in NBA. È come la luna per chi vuole fare l’astronauta, come Hollywood per chi vuole fare l’attore o come Wall Street per un broker. Però solo in pochi ci riescono, solo in pochi hanno il talento, la costanza, la testa, la voglia di riuscire a far parte di questo campionato. Uno di quelli che ci è riuscito, quando aveva 13 anni, venne cacciato fuori di casa dalla madre che non approvava il suo stile di vita, lui però ha continuato imperterrito, ed oggi con la maglia #21, cerca di riportare i Chicago Bulls ai fasti che meritano. Il ragazzo in questione è una delle shooting guard più interessanti della lega ed ha appena riscritto un record che apparteneva ad un certo Michael Jordan, autore di una stagione che lo candida al premio MVP, stiamo parlando di Jimmy Butler.
Jimmy Butler III nasce a Houston, Texas, il 14 Settembre 1989. L’infanzia di Jimmy è da annoverare tra le peggiori nella storia dello sport. Costretto a crescere senza il padre che lo ha abbandonato appena nato, Jimmy vive in un paesino non troppo lontano dalla città in cui è nato, con la madre. Fino a qui tutto più o meno normale, l’America è piena di casi di madri single che crescono il bambino, in più la situazione economica non è disastrosa dato che mamma Londa ha un lavoro stabile da cameriera. Nel 2003 però tutto cambia drasticamente. Jimmy è un ragazzo solare, tranquillo che però, come ogni ragazzino della sua età segue le mode. In particolare segue lo stile e il modo di vestire dei vari rapper, molto famosi in quegli anni. Quando Jimmy torna a casa dal campetto, ha sempre pantaloni larghissimi, catene e collane d’oro (finto) al collo. E questo alla madre non va bene, per niente. Quando Jimmy ha solo 13 anni viene letteralmente mandato via di casa, in quanto la madre non approvava il suo “stile”. Ora, è difficile per chiunque rimanere senza una casa, ma pensate per un ragazzino di 13 anni. Dopo un periodo da vagabondo, casa dopo casa, senza soldi e senza parenti viene ospitato da una famiglia, la famiglia Leslie, dopo che Jimmy aveva fatto amicizia con Jordan, il figlio più giovane della famiglia. È la classica famiglia americana, forse un po’ più allargata: 7 figli (8 se contiamo Butler), una bella villetta che affaccia su di un viale alberato, la passione sfegatata per i Texans e per i Rockets, e la messa ogni domenica. La vita di Jimmy subisce un’altra drastica rivoluzione, questa volta positiva.
In questo clima sereno il ragazzo si può finalmente concentrare sulla sua più grande passione, dopo i modellini delle macchinine: il basket. Iscritto all’High School di Tomball ha però subito uno scontro con il coach della squadra. Jimmy accusa il coach di non credere abbastanza in lui, e che questo gli stia precludendo la possibilità di ottenere una borsa di studio. Alla fine Jimmy avrà ragione e le borse di studio non arriveranno. Si iscrive allora in Junior College, a Tyler. Qui domina con prestazioni raramente sotto i 25 punti. Chi lo vede giocare capisce che uno così passa solo una volta ogni 50 anni. E lo capiscono anche i college: Kentucky, Clemson, Mississippi State farebbero carte false per averlo, ma Michelle Lambert (la “nuova mamma”) lo spinge a Marquette, dove secondo lei Butler può ricevere la preparazione accademica migliore nel caso in cui non vada bene con il basket. A Marquette si ritrova in conflitto con coach Williams che lo lascia in panca l’intero anno da sophomore. Butler però è fortissimo, è solo questione di tempo. Ed infatti nell’anno da senior diventa l’uomo immagine della squadra al punto di cominciare a ragionare in ottica DRAFT. E infatti dopo una stagione eccezionale con medie di più di 30 punti a partita, si dichiara eleggibile per il DRAFT 2011.
Si presenta al draft NBA come uno dei prospetti più interessanti, ok forse non la prima scelta anche perché Kyrie Irving è decisamente più allettante, ma entro le prime 10. E invece David Stern continua a chiamare altri giovani, fino a quando, finalmente, con la scelta numero 30 del draft viene selezionato dai Chicago Bulls. Inizia un altro capitolo della sua incredibile vita, l’ennesimo e forse il più soddisfacente.
Le sue prime tre stagioni non sono da incorniciare, gioca poco e anche la squadra non ottiene grandi successi. Le cose però iniziano a cambiare nella stagione 2014-2015 quando, dopo essere diventato un titolare del quintetto iniziale, comincia a registrare medie interessanti, tant’è che viene nominato giocatore del mese di Novembre e a fine a stagione viene nominato MIP “Most Improved Player”.
La sua storia NBA è ancora da scrivere, in parte ha cominciato a scriverla quest’anno quando, il 3 Gennaio 2016 ha infranto il record di Jordan per punti in un tempo, segnandone 40 nella vittoria contro i Raptors. Le soddisfazioni per “Jimmy Buckets” e i suoi tifosi arriveranno, è solo questione di tempo, intanto però può godersi il fatto di essere lì.
È una delle storie più belle dell’ NBA e dello sport in generale. E’ la storia di un ragazzo che ha dovuto affrontare l’abbandono di sua madre, il trasloco di casa in casa, la povertà, la paura, la mancanza di fiducia nelle sue abilità. È la storia di un ragazzo che ha fatto prevalere la voglia di farcela sull’impossibilità di riuscirci. È la storia di un ragazzo che avrebbe avuto tutte le ragioni per fallire e invece ci è riuscito. È l’esempio di come l’umiltà e la voglia di fare possano sconfiggere anche i nemici peggiori. E state tranquilli che per i prossimi anni sentiremo spesso parlare di lui.
“So che pubblicherai la mia storia. L’unica cosa che ti chiedo è di non scriverla in maniera tale che le persone si sentano in colpa e provino compassione per me. Non lo sopporto, non c’è niente di cui dispiacersi. Queste difficoltà mi hanno reso l’uomo che sono“
Jimmy Butler