“Ma la stagione dei King, chiedi il coraggio dei vinti(…)”
Rabbia. Rabbia, ma anche incredulità, sconforto, e la sensazione di avere sprecato un’occasione per fare nuovamente felice un popolo, quello di Golden State, che per anni ha sofferto come pochi altri sanno, forse solo quelli della Grande Mela in blu-arancio: sempre in basso in graduatoria, sempre record perdente, via vai di giocatori, allenatori, scelte sbagliate sul mercato e al draft. Poi dal 2009 Steph, due anni dopo Mark Jackson, a cui Kerr deve come minimo le fondamenta sulle quali lui ha poi costruito il titolo del 2015. Era già pronta un’altra gioia alla faccia di quelli che “Può forse venire fuori qualcosa di buono da Golden State?”. Invece, niente.
Parlare di una sconfitta come questa è impresa alquanto improba. Verrebbe da sparare sulla Croce Rossa, da schernire chi, appassionato o addetto ai lavori, era pronto a esultare per San Francisco ancora una volta sul tetto del mondo. Noi, che non siamo addetti ai lavori ma neanche se è per questo addetti ai livori, ci asterremo, sostenendo vibratamente e accoratamente che non sarebbe giusto. Anche se è inevitabile ci stupiamo di un tracollo del genere, non lo comprendiamo, e scattano immediatamente i paragoni con i Lakers di Kobe, i Celtics dei Big Three, gli Spurs di Pop o persino i Mavericks di Dirk, ci viene spontaneo pensare che tutte queste squadre sul 3 – 1 sarebbero state in grado di arrivare a chiudere i conti e portarsi a casa l’anello
Ma ci stiamo perdendo. I Warriors, dicevamo. Attaccarsi alla squalifica di Green, agli arbitraggi (comunque sempre abbastanza equidistanti), sarebbe avere mentalità piccola (e, aggiungiamo con punta polemica, molto italica) da “Non è colpa mia, ma è di…”. La realtà, molto semplicemente, è che Golden State l’ha persa perché non ha avuto il killer instinct per infliggere il colpo di grazia ai Cavs, che viceversa quando si sono ritrovati con le spalle al muro hanno reagito con spirito imbelvito. Sotto di due gare e con una pioggia di critiche per le pessime prestazioni offerte, gli oro-vinaccia hanno avuto una reazione uguale e contraria, a cui viceversa Curry e compagni non hanno saputo far fronte. Hanno pensato che fosse tutto finito? Che Cleveland e il suo re si sarebbero automaticamente fatti da parte? Hanno valutato la forza dell’avversaria dalle prime quattro gare, di fatto sottostimandola? Chi può dirlo, non essendo nello spogliatoio e nella palestra dei californiani possiamo solo avanzare ipotesi, che ovviamente lasciano il tempo che trovano.
Quello che si può dire, alla luce della sconfitta di gara-7, è che a partire da oggi, fino alle Finals 2017, ai Warriors serviranno forza e coraggio. Forza per ignorare le critiche in arrivo, per le quali verosimilmente si baseranno sull’idea che Golden State è una squadra da statistiche e/o da regular season, che non ha mentalità da guerra, che l’anno scorso ha vinto perché non c’erano Irving e Love, che un sistema di gioco così libero alla fine non porta lontano. Mezze verità e mezze banalità, che comunque dovranno servire come benzina, stimolo e sprone ai giallo-blu, tenendo sempre e comunque a mente che in questa situazione ci si sono messi da soli, o, come avrebbe puntualizzato serafico un vecchio premier italiano, se la sono andata cercando.
Coraggio perché a settembre, a bocce ferme, quando i fumi della sconfitta si saranno parzialmente diradati e i Warriors si ritroveranno in spogliatoio, dovranno guardarsi negli occhi, capire chi ha sbagliato e dove, cosa è andato bene e quanto in là si può arrivare, perché il bello del sistema americano, tra draft e mercato, è che ogni anno impone equilibri differenti. La differenza, in questo redde rationem, la faranno la trasparenza e la disponibilità di ogni membro a riconoscere le proprie responsabilità. Impresa non facile, considerando cha si tratta di un gruppo di miliardari competitivi in un ambiente ricco di testosterone.
Se nel 2016/2017 le ferite saranno ricucite e gli occhi torneranno ad ardere, i Warriors saranno un cliente davvero osstico. Indipendentemente dai record battuti.