La NBA non è stata sempre un fenomeno così globale come appare ai nostri occhi. Nel tempo sono stati diversi i giocatori che hanno fatto fatica a farsi rispettare dall’altra parte dell’oceano, rendendo la vita un pò più facile a quelli che sono arrivati dopo. Volendo analizzare l’impatto che i giocatori non provenienti dagli Stati Uniti hanno avuto sulla evoluzione a livello mondiale della Lega sportiva più conosciuta al mondo, questa settimana parliamo di Emanuel David Ginobili, bandiera dei San Antonio Spurs. Nel caso vogliate proporre un giocatore per le prossime puntate di questa rubrica, vi preghiamo di lasciare un commento.
“No puedo estar una semana, ni en vacaciones, sin ir a tirar unos tiritos. No puedo vivir sin el basquét“, musica e parole di Emanuel David Ginobili.
Annata 1977, nativo di Bahía Blanca, quella che sembra un’isola felice del basket separata dal resto dell’Argentina, dove si vive e si muore di calcio.
Proprio da questa città situata nel sud-ovest della provincia di Buenos Aires ci giungono le prime testimonianze sull’etica del lavoro di Manu. “Eravamo al campo a giocare quando incominciammo a sentire forti rumori. Era come se qualcuno stesse battendo sul ferro. Ma quando ci rendemmo conto che il rumore veniva dalla palestra dell’Estudiantes (la squadra professionistica di Bahía Blanca, nda), andammo a vedere. È stata una grande sorpresa. Manu, la giovane promessa, era lì, da solo in palestra, coi pesi sulle spalle. Era il 25 dicembre (1997), Natale! Quella è professionalità.” A parlare è LJ Terenzi, vecchio compagno di Manu all’Estudiantes.
All’epoca di questo racconto Ginobili aveva solo 20 anni. A quel punto avrà già smesso di segnare con delle tacche la sua altezza, contento di essere arrivato a 1.98 cm, abbastanza per una carriera nel basquét. La statura da sola non conta però, il suo obiettivo era diventare un giocatore di quelli che contano e solo il lavoro continuo può portarti a certi livelli. Ebbene, la sua etica del lavoro lo ha portato, a 38 anni, ad essere ancora uno dei pilastri fondanti di una delle squadre più vincenti dello sport professionistico americano. Durante tutto questo tempo ha fatto tanta strada, piena di effetti speciali: assist con l’effetto; contropiedi lanciati facendo un tunnel all’avversario; penetrazioni concluse da schiacciate tonanti (magari condite dalla skill che va tanto di moda ultimamente: l’Eurostep reso definitivamente famoso in Nord America dallo stesso Ginobili); super cojones sempre messi in campo, al servizio della squadra, specialmente nei momenti più importanti. “È uno di quelli che, a 50 anni, non sarà in grado di camminare” disse Nate McMillan, ex-headcoach dei Seattle SuperSonics.
Franco Montorro, ex-direttore di ‘Superbasket‘, lo descrive così in ‘Vivere vincendo‘, libro di Massimo Maccaferri sui primi anni di carriera di Ginobili: “Probabilmente, l’attaccante più divertente nella storia del campionato italiano. Altri hanno segnato di più e tirato in maniera ‘scientifica’. Altri ancora hanno realizzato canestri epici. Ma nessuno, come Ginobili, ha saputo sorprendere ed esaltare nelle sue esecuzioni; con la schiacciata come gesto-ciliegina di numerose e letali penetrazioni nell’area avversaria.” Sembra però che fossero in pochi a credere seriamente in lui alla fine degli anni ’90, precisamente il 30 giugno 1999, quando Manu divenne eleggibile per il Draft per essere scelto con la 57esima chiamata, la penultima assoluta di quell’anno.
Già, il Draft del 1999. Quante ne sono state dette, e quante se ne diranno ancora. È disponibile in rete il video dell’ultima parte del Draft in cui, più o meno tra gli sbadigli generali, con la penultima chiamata veniva scelto dai San Antonio Spurs un certo Ginobìli. Anche se in quel momento l’accento giusto non sembrava importante non c’è da preoccuparsi, tutto il mondo ha avuto modo di imparare a pronunciarlo correttamente. Un cognome in salsa italo-argentina (gli antenati di Manu provenivano dalle Marche) che in Italia avevano già imparato in molti, specialmente i tifosi della Viola Reggio Calabria di Tonino Zorzi, che hanno visto Ginobili nelle sue prime due stagioni ad alto livello in Italia.
Dal 2000 fu alla Virtus Bologna sotto la guida di coach Ettore Messina, dove per due stagioni consecutive il super talento argentino fu incoronato MVP del campionato italiano e anche MVP delle Finali di Eurolega del 2001, anno in cui la Virtus si portò a casa il massimo titolo continentale. Curiosità statistica: nella seconda stagione a Bologna in Serie A ruba 4.3 palloni a sera. Come scusa 4.3 recuperi a sera??? Nessun errore, anzi, recuperare palloni si è confermata nel tempo come specialità di Manu, durante tutta la sua carriera NBA, tanto che adesso è quinto nella speciale classifica dei giocatori in attività per quanto riguarda le palle rubate nei Playoff (197 recuperi in postseason).
La Generación Dorada. Un capitolo a parte nella sua carriera lo merita l’Argentina, la Nazionale con la quale ha vinto praticamente tutto. L’esordio già nel 1998, ai Mondiali che si svolgevano ad Atene. Ovviamente il suo miglior risultato con la Nazionale è quell’oro ai Giochi Olimpici di Atene 2004, quando in Finale la sua Albiceleste sconfisse i nostri azzurri per 84-69. Nessuno però, che io ricordi, ha mai inveito contro Ginobili per aver portato via il primo posto all’Italia. Un pizzico di arroganza, forse, ci ricorda che in ogni caso Ginobili è un pò figlio del basket italiano… Quella Nazionale argentina era composta da grandi campioni, che avrebbero contunato a giocare insieme ad alto livello per tanti anni. Solo oggi quel ciclo si sta chiudendo definitivamente. Qualche nome? Oltre al nostro protagonista c’erano Luis Scola, Fabricio Oberto (un’altro che avrebbe poi vinto con gli Spurs), Andrés Nocioni, Hugo Sconochini, Carlos Delfino, Pepe Sanchez. Una classe di giocatori talmente forte da meritarsi appunto l’appellativo di ‘Generazione Dorata’. Nel 2008, alle Olimpiadi di Pechino, Ginobili sarà il portabandiera argentino alla cerimonia d’apertura.
Nel frattempo, non ancora da protagonista ma da importante pezzo della panchina, Manu aveva già portato a casa il primo titolo NBA con gli Spurs. Accade nel 2003. Alla fine di una stagione interminabile le Finals vedono contrapposti Spurs e New Jersey Nets. La serie si risolve in 6 gare e vede vincitori i texani. L’ultima serie della carriera per David Robinson, leggenda degli Spurs, e anche per Steve Kerr, decisivo fino all’ultimo atto della sua carriera nella gara-6 contro i Dallas Mavericks, nelle Finali della Western Conference. Tim Duncan è l’MVP di quelle Finals, Tony Parker inizia a ingranare le marce alte della sua carriera. Ginobili è il secondo giocatore nella storia dopo Bill Bradley ad aver vinto Titolo NBA, Eurolega e Olimpiadi.
“È la mia occasione” dichiara Manu alla fine della serie contro i Mavs, “Una sensazione senza eguali. Capita a pochi di poter disputare una finale e voglio sfruttare fino in fondo questa opportunità, perchè nessuno ricorda i finalisti, ma solo i campioni. La stessa sensazione la provavo anche nell’attesa delle finali che ho giocato con la Virtus Bologna, la voglia di vincere, di realizzare un sogno. Allora il massimo era l’Europa, ora è la NBA.” Manu è semplicemente un vincente: perciò è nel posto giusto. Insieme a Duncan e Parker forma il trio più vincente di sempre del basket americano: il 1 novembre 2015 hannno raggiunto le 541 vittorie insieme, superando Robert Parish, Larry Bird e Kevin McHale dei Boston Celtics anni ’80.
Il titolo da protagonista non tarderà ad arrivare. Ma vogliono comunque due stagioni, dopo che la temporada 2003-04 è stata interrotta da uno dei tiri più assurdi della storia NBA: lo ‘0.4‘ di Derek Fisher in gara-5 delle Semifinali di Conference a San Antonio. In realtà gli Spurs in quella serie dilapidarono un vantaggio di 2-0 acquisito nelle prime due gare, perdendone 4 in fila e abbandonando la postseason sconfitti dai Los Angeles Lakers dei 4 Hall of Famers: Shaq, Kobe, Malone, Payton. I californiani saranno sconfitti in Finale dai Detroit Pistons, che torneranno l’anno dopo in Finale contro gli Spurs per difendere il proprio titolo di campioni NBA.
All’inizio della stagione 2004-05 Ginobili rischia addirittura di non rifirmare per gli Spurs, sulle sue piste ci sono soprattutto i Denver Nuggets e i Phoenix Suns. La situazione comunque si risolve e Ginobili dà vita a una delle sue migliori stagioni in assoluto, venendo anche convocato per la prima volta fra le riserve del Team Ovest all’All-Star Game. Ma interessano molto di più i suoi numeri nei playoff, dove raggiunge medie di 20.8 punti, 5.8 rimbalzi e 4.2 assist, ed è fondamentale nella vittoria del terzo titolo della franchigia texana. La sua importanza viene quantificata anche dai numeri di gara-7: 23 punti, 5 rimbalzi e 4 assist in 35 minuti con 8-13 dal campo, 2-2 da 3 punti e 5-5 ai tiri liberi. Semplicemente perfetto. Sarebbe anche un ottimo candidato all’MVP ma vince il collega e amico Tim Duncan. Nessun problema, figuratevi se Manu si scompone per una fesseria del genere.
Gregg Popovich ha subito compreso che un cavallo di razza come Ginobili spesso deve essere lasciato libero per poter dare il meglio. “Ci sono momenti in cui ho imparato a starmene zitto se c’era una giocata difensiva che voleva provare, per recuperare un pallone o cose del genere. Perchè lui fa le cose che vincono le partite“, e c’è da fidarsi se lo dice coach Popp.
Manu Ginobili è semplicemente un ragazzo abituato a vincere. E gli Spurs, d’altro canto, non sono intenzionati a smettere. Dopo il 2005 sono arrivati altri due titoli, nel 2007 e nel 2014. Il sistema Spurs ha dovuto reinventarsi col tempo, ma è talmente ben rodato e stabile che ha permesso a questi tre splendidi giocatori di centellinare lo sforzo fisico e allo stesso tempo di rimanere in squadra tanti anni, permettendo alle giovani leve di essere guidati in campo e fuori da alcuni dei più grandi giocatori di tutti i tempi (© Gregg Popovich). Accettando di far parte di questo sistema Ginobili, Duncan e Parker hanno magari lasciato da parte qualche risultato individuale che sarebbe stato sicuramente alla loro portata, ma hanno preferito riscrivere il libro dei record insieme, riempiendosi le dita di anelli nel frattempo.
Per quanto mi riguarda, le Finali 2014 sono la miglior espressione del basket moderno che io abbia mai visto, un gioco di squadra avvolgente e devastante che non potrà mai essere ripetuto. Un’esibizione d’insieme di livello inarrivabile, certo. Kawhi Leonard che fa il suo esordio sulla platea più importante e stoppa LeBron James, certo. Quella schiacciata di Manu sulla faccia di Bosh però ha un sapore speciale. Perchè il gruppo è straordinario, ma quella schiacciata a 37 anni… solo Manu!!!