La California non è solo un’ambita meta turistica. È anche una fucina di fenomeni con la palla a spicchi. Ecco allora un quintetto made in California. “C’è una teoria che dice che presto o tardi tutto ciò che è divertente in America verrà rovinato dalle persone della California”. L’affermazione del giornalista Calvin Trillin potrà valere in altri ambiti, magari politici ed economici, ma non nel mondo NBA. Da Crimson a Chino Hills il Golden State, soprannome della California, ha sfornato, dalla fine degli ottanta in poi, un’autentica generazione dorata.
Raggrupparli tutti in un quintetto è impresa ardua, visto che ci sarebbe materiale per fare non una, ma addirittura due squadre, con tanto di rotazioni ruolo per ruolo. Per non snaturare troppo le qualità dei golden boys, quello presentato è un quintetto da small ball, con giocatori undersize vista l’assenza di un vero e proprio centro dominante. Unica menzione speciale l’inserimento del sesto uomo, obbligatorio in questo caso vista la caratura del giocatore, come supporto di lusso nel quintetto made in California.
“Vieni in California, vedrai che bello, ci divertiremo da matti…” (John Mclane nel film Die Hard: Trappola di cristallo)
1) RUSSELL WESTBROOK (Long Beach, 12 novembre 1988)
In un quintetto made in California è impossibile non partire da lui. Mr. Triple Double, l’uomo che dopo 55 anni ha frantumato il record di Oscar Robertson di triple doppie in una stagione. Militati due anni a UCLA, il numero 0 più famoso della NBA viene scelto nel 2008 con la numero quattro dai Seattle Supersonics, divenuti poi Oklahoma City Thunder. Discutibile sulla corretta gestione dei possessi, indiscutibile dal punto di vista energetico e di agonismo messo in campo, Westbrook è arrivato a giocarsi il titolo nelle Finals 2012, perse per 4-1 contro i Miami Heat di LeBron-Wade-Bosh. MVP della passata stagione grazie a un ruolino di marcia formidabile (31.6 punti, 10.4 rimbalzi e 10.7 assist a partita) quest’anno sta cercando la quadratura del cerchio dopo gli innesti di altre due superstar (una delle quali presente in questa formazione più avanti) per diventare il vero competitor dei Golden State Warriors nella Western Conference. Il centro di questa formazione, ai tempi del college, ha detto di lui: “Battagliavamo anche sulla temperatura della stanza”.
2) JAMES HARDEN (Los Angeles, 26 agosto 1989)
Nel ruolo più ostico da decidere, alla fine spunta la barba. Harden sta facendo registrare un tabellino di marcia da MVP (31.1 punti, 9.8 assist, 4.9 rimbalzi a partita) pur essendo già finito secondo nella classifica del premio l’anno scorso. Fear the beard è un cartellone che tutti temono in Nba, e la presenza di finte barbe sugli spalti dei palazzetti è in continuo aumento. In uscita da Arizona State, Harden viene scelto sempre da OKC nel 2009 con la terza chiamata assoluta (secondo Hasheem Thabeet, è sempre bene ricordarlo), chiudendo così un terzetto di puro talento con Durant e Westbrook. Nel 2012 viene scambiato con i Rockets insieme a Cole Aldrich, Daequan Cook e Lazar Hayward in cambio di Kevin Martin, Jeremy Lamb più scelte varie al draft. In cinque anni di Texas è diventato l’autentico uomo franchigia e quest’anno, con l’arrivo di Chris Paul alla corte di Mike D’Antoni, si candida seriamente anche i Rockets ci sono per il ruolo di contender di Golden State.
3) KAWHI LEONARD (Riverside, 29 giugno 1991)
Altro ruolo, altra incetta di talento, altro fenomeno scelto. Non si sa mai da dove iniziare quando si parla di Kawhi Leonard. Parliamo di un giocatore stellare in entrambe le fasi del campo: scelto da quel genio del male a nome Gregg Popovich per aumentare il tasso difensivo in una suqadra più che collaudata come i suoi Spurs. Popovich, invece, si ritrova in mano un’autentica macchina da basket, che con gli anni ha affinato e implementato anche il suo gioco d’attacco, diventando il go to guy per le situazioni critiche in una delle franchigie contemporanee più vincenti della lega. Uscito da San Diego State, è stato scelto alla undici nel 2011 dai Pacers e girato subito a San Antonio per George Hill. Dire altro sarebbe solo ridondante. Il leader silente del quintetto made in California.
4) PAUL GEORGE (Palmdale, 2 maggio 1990)
Uno dei californiani che non ha saputo resistere alla tentazione di tornare in patria. Dopo sette anni in Indiana, nella scorsa estate Paul George decide di riportare i suoi talenti in California, raggiungendo Westbrook agli Oklahoma City Thunder. Insieme a lui e a Carmelo Anthony, George fa parte del nuovo core guidato da Billy Donovan, ancora in piena fase di rodaggio. Comunque sia, del ragazzo cresciuto nel periodo universitario a Fresno, non si può che parlar bene: fisico e talento offensivo notevole, George può essere impiegato anche da stretch-4, vista le sue spiccate doti difensive e di tiro dall’arco. Tutto condito da una grande forza di volontà che hanno permesso al 4 volte All Star e Most Improved Player del 2013 di tornare dopo il terribile incidente occorso alla gamba destra con il Team Usa. In stagione sta registrando una buona media di 21.8 punti, 6.2 rimbalzi e 2.6 assist a partita.
5) KEVIN LOVE (Santa Monica, 7 settembre 1988)
Chiude il quintetto made in California un altro prodotto di UCLA. Kevin Love vince il ballottaggio con Brook Lopez per diverse ragioni: è il nipote di Mike Love. E’ l’autore della grande difesa su Curry nella storica gara 7 tra Warriors e Cavaliers. E’ stato compagno di squadra di Westbrook ai tempi del college. Scherzi a parte il giocatore dei Cleveland Cavaliers ha sempre vissuto una carriera altalenante, tra momenti esaltanti come produttore seriale di doppie doppie a partite giocate in maniera del tutto passiva, che gli sono valse l’appellativo di giocatore troppo soft per certi livelli. Invece due anni fa, al termine dell’incredibile titolo vinto in rimonta su Golden State, le parole di LeBron che lo scagionano da ogni accusa (“se la mia su Iggy può essere considerata the block, quella di Kevin su Curry può essere definita the defense”), facendolo entrare di diritto non solo in questo quintetto ma anche nella storia della Cleveland sportiva. Tra alti e bassi, l’ex matricola di Minnesota sta viaggiando anche quest’anno con le sue solite medie (18.4 punti e 10.3 rimbalzi a partita), dimostrando di poter essere ancora una volta una chiave di volta nel supporting cast del Re.
Sesto uomo: KLAY THOMPSON (Los Angeles, 8 febbraio 1990)
Quella che da molti può essere vista come una retrocessione, in realtà è un’autentica investitura: al figlio di Mychel viene chiesto di equilibrare, nei momenti di difficoltà, entrambe le fasi di gioco della squadra. Il backcourt Westbrook-Harden sarà anche esaltante ma latita fin troppo nella metà campo difensiva. Così Thompson è pronto a uscire dalla panchina per dare il suo supporto sia nella produzione di gioco offensivo, sia per equilibrare un quintetto che, con la presenza di Leonard e George, diventa veramente difficile da battere. Per il resto anche qui le discussioni stanno a zero: come già scritto su questa pagine, parliamo di un giocatore possibile MVP e uomo franchigia in qualsiasi altra compagine, colonna portante in quel panzer cestistico che risponde al nome di Golden State.
A chiudere, non possiamo dimenticare gli esclusi dal quintetto made in California: Lillard, DeRozan e Jrue Holiday. Tre giocatori che da soli fanno capire la portata del talento partorito in California. Perché, come recita l’inno dello Stato governato dal 2011 dal democratico Jerry Brown: “I love you, California, you’re the greatest state of all”.