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Jaylen Brown: “Non sono un complottista, io so come stanno le cose”

di Michele Gibin
jaylen brown

Jaylen Brown è tornato su X per un nuovo episodio del noir sulla sua mancata convocazione per le Olimpiadi di Parigi, e con una prontezza di riflessi felina ha risposto con 20 giorni di ritardo a una frase di Grant Hill, capo di USAB e soprattutto a capo della grande cospirazione ai danni della superstar dei Celtics.

Del resto, JB aveva promesso che avrebbe rivelato la terribile verità a puntate, un po’ come Julian Assange, per svelare al mondo la drammatica storia del suo boicotaggio olimpico per volere di Nike. Domenica, poche ore prima che Team USA scendesse in campo per l’esordio a Parigi 2024 contro la Serbia, Brown ha ri-chiamato in causa Grant Hill accusandolo di avergli dato del “complottista”.

Grant Hill che mi chiama cospirazionista è una delusione, io sono vicepresidente (del sindacato NBPA dei giocatori, ndr) da quando ho 21 anni e capisco bene le cose“, ha scritto Jaylen Brown. Che si riferiva alle parole con cui il 9 luglio scorso Grant Hill aveva liquidato la grande cospirazione ordita da Nike e USAB: “Ah, mi piace sempre una bella teoria della cospirazione, queste idee che c’è sempre qualcosa dietro…“. In quell’occasione, Hill aveva spiegato di aver preferito Derrick White per rimpiazzare Kawhi Leonard per ragioni tecniche e di adattabilità al basket FIBA. Motivazione discutibile ma che ha avuto a proprio modo una dimostrazione pratica nella partita di Team USA contro la Serbia, dove col rientro di Kevin Durant il CT Steve Kerr ha lasciato in panchina Jayson Tatum per 40 minuti, facendo giocare White e Jrue Holiday (addio cospirazione anti Celtics. E anche pro-Nike, Tatum è endorser del brand Jordan).

Sempre più convinto di aver scoperchiato un enorme vaso di pandora, Jaylen Brown sempre su X e poche ore dopo la partita contro la Serbia ha postato la prova che inchioda Grant Hill e Nike alle proprie responsabilità. Un thread di tal LEFT, PhD (che così fa più attendibile) che mette a nudo decenni di dominio Nike sui Cinque Cerchi olimpici: il famoso episodio di Barcellona 1992 in cui Michael Jordan, atleta Nike e stella del Dream Team originale, copre con una bandiera americana sul podio della premiazione il logo di Rebook, proud sponsor della nazionale, sulla sua divisa.

Il secondo indizio è l’altrettanto famosa copertina di TIME con il due volte medaglia d’oro e record del mondo nei 200 e 400 metri piani Michael Johnson a Atlanta 1996, ritratto con le medaglie al collo e le sue costose Nike in bella mostra. Anche il titolo “Golden feat” (un gioco di parole che suona come “piedi dorati”) non lascia dubbi.

Il terzo indizio è il lancio, avvenuto pochi giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi, di un’orripilante nuova serie di sneakersrealizzate col contributo della tecnologia AI driven” (qualsiasi cosa significhi) e con la quale Nike vorrebbe recuperare terreno e perdite sulle concorrenti che realizzano le scarpe da corsa e atletica (ma come, non dominavano il mondo?). Lancio che fa il paio con un altro buco nell’acqua, la campagna “Winning isn’t for everyone” inutilmente aggressiva e stron*a, e soprattutto passata inosservata.

La prova finale che ribalterà il mondo è però la notizia, sconvolgente, che Nike si starebbe muovendo per diventare sponsor principale di Los Angeles 2028, la prossima edizione dei Giochi.

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