Le operazioni di ricerca del nuovo capo del front office dei Chicago Bulls, scelta poi caduta su Arturas Karnisovas, aveva suscitato alcune polemiche per il fatto che tutti i candidati intervistati dai Bulls fossero bianchi, una vicenda che ha riportato in auge la questione dell’effettiva opportunità per gli americani neri di ricoprire incarichi di vertice in una franchigia NBA.
A Chicago, Karnisovas prenderà il posto di John Paxson, storico presidente dei Bulls che farà un passo indietro pur restando – probabilmente – in squadra. Il general manager uscente Gar Forman dovrebbe comunque restare a Chicago, in altra veste, ed il primo compito dell’ormai ex general manager dei Denver Nuggets sarà ristrutturare il front office. A partire dal nuovo gm.
Come riportato da Vincent Goodwill di yahoo Sports, il piano di Karnisovas e della franchigia è quello di selezionare un general manager nero, una prima e logica scelta potrebbe cadere sull’ex giocatore NBA Calvin Booth, già assistant gm di Arturas Karnisovas a Denver, qualora Booth non vada a sostituire il suo ex principale ai Nuggets.
Ma da dove sono arrivate le accuse di “white washing” ai Chicago Bulls? Dai profili di alcuni dei candidati intervistati per il ruolo poi affidato a Karnisovas. I Bulls hanno sondato il terreno per l’ex demiurgo del “the Process” a Philadelphia Bryan Colangelo, finito nel 2018 nella polvere dopo lo scandalo Twitter che lo coinvolse, poi Danny Ferry, che nel 2014 finì nell’occhio del ciclone con accuse di razzismo nei confronti dell’allora giocatore proprio dei Bulls Luol Deng (Ferry, allora agli Atlanta Hawks, fu accusato di aver usato un linguaggio discriminatorio in alcune mail di scouting report su Deng, la questione lo spinse persino alle dimissioni e ad un accordo di buonuscita con gli Hawks nel 2015), e Wes Wilcox degli Hawks, che nel 2017 fu sanzionato per una sua uscita infelice, con connotati razzisti (“ho una moglie nera e tre figli misti, so cosa vuol dire trattare con persone irascibili e litigiose“).
Una tesi che sarebbe in parte smentita da altri canditati sondati dai Bulls, cui però le squadre di appartenenza non hanno dato il consenso ad un colloquio: è il caso di Bobby Webster dei Toronto Raptors, di origini giapponesi, e Troy Weaver degli Oklahoma City Thunder, un nero.
Chicago Bulls: il destino di coach Boylen è segnato?
Jim Boylen fu scelto da Paxson e Forman del novembre del 2018 per sostituire coach Fred Hoiberg, la cui presa sulla squadra era ormai svanita. Dopo una stagione perdente, in cui l’ex assistente allenatore di Gregg Popovich ai San Antonio Spurs si era comunque fatto apprezzare per il suo temperamento deciso in una squadra di giovani, i Bulls gli avevano accordato un adeguamento contrattuale fino al termine della stagione 2019\20.
Col cambio al vertice, ed i problemi di crescita di una squadra con del talento a disposizione (Zach LaVine, Lauri Markkanen, Wendell Carter Jr, Coby White, Daniel Gafford) ma incompleta (nessuna delle soluzioni Satoransky-Dunn-White si è dimostrata definitiva nello spot di point guard), è probabile che il contratto di coach Boylen non venga rinnovato.
La scelta sarà nelle mani di Karnisovas, come tutte le scelte dei Bulls che riguarderanno d’ora in poi il campo. Col tempo, coach Boylen ha instaurato un rapporto non privo di contrasti ma schietto (e produttivo) con la star Zach LaVine, e Coby White ha lasciato intravedere del potenziale offensivo di livello. A pagare nel sistema Boylen è stato il finlandese Lauri Markkanen, reduce da una stagione 2019\20 deludente e caratterizzata da alcuni problemi fisici.
Nei giorni scorsi era trapelata l’insoddisfazione di Markkanen per la sua attuale situazione ai Bulls, una delle sfide che il nuovo vice presidente Arturas Karnisovas dovrà affrontare sarà la chimica interna della squadra.