L’etichetta di secondo violino che lo ha accompagnato per l’intera carriera. E per quanto si possa caratterizzare come una delle più costanti e di qualità nella storia del gioco, Scottie Pippen ha portato a riemergere il proprio orgoglio. Un fattore spesso rimasto nascosto nel corso dei gloriosi anni ai Chicago Bulls. Dove hanno decisamente prevalso etica di lavoro, spirito di sacrificio, forza di volontà e determinazione. Una formula di grandezza che ha portato Scottie Pippen ad essere il terzo giocatore nella storia degli NBA Playoffs a rientrare in top-15 in numero totale di rimbalzi, assist e palloni rubati. In compagnia di LeBron James e Larry Bird. Così, nel corso di un’intervista rilasciata a GQ Sports, Scottie Pippen ha illustrato il suo viaggio. A partire dalla costruzione della dinastia dei Chicago Bulls. Dove è secondo All-Time per punti segnati, minuti giocati, assist, palloni rubati e canestri realizzati dal campo.
Il rapporto con Michael Jordan viene circoscritto a quanto realizzato sul campo. “Se ripenso a come ci comportavamo in campo, la relazione è stata impeccabile. Entrambi spingevamo l’altro ad essere migliore. Il grado di rispetto era massimo dal punto di vista della pallacanestro. Ma fuori dal campo non abbiamo mai realmente legato. Michael (Jordan, ndr) era più grande dell’intero gioco, già dal mio arrivo nella lega.” Alla ricerca di maggior riconoscenza personale, questi racconti riceveranno una nuova prospettiva in occasione dell’uscita del libro Unguarded. In maniera autobiografica, Scottie Pippen intende concedere la propria visione della storia. “Le persone meritano di conoscere più profondamente la mia vita. Al fine di comprendere perché ho compiuto ogni scelta nel corso della mia carriera.”
Michael Jordan l’eroe e Scottie Pippen l’aiutante: “Il basket è un gioco di squadra”
Nel corso del 2020 si è assistito alla realizzazione di una delle produzioni artistiche legate al mondo dello sport più potenti e celebri. Il rilascio di The Last Dance ha generato un livello di coinvolgimento tale da rendere presenti degli avvenimenti terminati da più di due decenni. La centralizzazione sul personaggio di Michael Jordan può apparire incontestabile. Non a caso, una delle storie più avvincenti dello sport americano trova il suo principio nella notte del 19 giugno 1984 (Draft NBA, ndr). Lo stesso Scottie Pippen solleva una questione di spicco. “I media stavano vivendo qualcosa mai successo prima. Perché potevano vivere in prima persona la nascita e lo sviluppo di una icona globale (Michael Jordan, ndr). E spesso si comportavano come dei fan. Vi erano addetti ai lavori che provenivano dall’altra parte del mondo soltanto per vedere Michael Jordan. Era scioccante.”
Dalla visione del documentario sulla storia del doppio three-peat dei Chicago Bulls, di Scottie Pippen si apprende l’enorme devozione e dedizione al valore fondamentale della famiglia. Inizialmente anteposto persino al successo professionale. D’altro canto, la stesura del libro è indirizzata a ricostruire un rispetto verso la sua persona, venuto meno al tempo. Tanto dalla stampa quanto dall’organizzazione dei Chicago Bulls. “Nel libro ho trattato ogni tema con l’intento di esaltare la squadra. Perché questo è ciò su cui si fonda il successo nella pallacanestro. Quando si parla di grandi giocatori, li viene attribuito uno status ancor più elevato grazie al contributo della squadra di cui hanno fatto parte. I Chicago Bulls hanno battuto ogni avversario che abbiamo affrontato. Non Michael Jordan. Non è un gioco individuale.”
Scottie Pippen su KD: “Non ha raggiunto LeBron”
Quest’ultima dichiarazione citata da Scottie Pippen è la prima nel corso dell’intervista che trova una linea diretta con quanto accaduto negli attuali NBA Playoffs. Il particolare riferimento è all’uscita dei Brooklyn Nets nel secondo round contro i Milwaukee Bucks. Il bersaglio è su Kevin Durant, in campo per 48 minuti in gara 5 e 53 minuti nella decisiva ultima gara della stagione di rientro dall’infortunio al tendine d’Achille. Ispirato dall’accezione riferita all’impossibilità di vincere ricorrendo in via esclusiva alla ricerca di record personali, Scottie Pippen ha espresso il suo punto di vista.
“Questa è stata la prima volta nella quale Kevin Durant si è ritrovato in solitaria a dover condurre una squadra in una gara senza domani. Era necessario che realizzasse giocate, ma anche che le creasse per i compagni. Per quanto magnifiche siano le sue doti offensive, ha cercato di sconfiggere i Milwaukee Bucks senza ricorrere all’aiuto dei suoi compagni. Ha cercato individualmente di rispondere colpo su colpo. Mentre i tuoi avversari disponevano di tre minacce offensivo di alto livello (Holiday, Middleton, Antetokounmpo, ndr). Questo è il motivo per cui ritengo che Kevin Durant non abbia superato LeBron James. Senza dubbio è da sempre un miglior attaccante, ma non conosce il gioco di squadra al livello di LeBron. Sono convinto che lui si sarebbe adattato e comportato meglio in questo genere di situazione.”
Ad ogni modo, numerose condizionanti hanno forzato Kevin Durant ad attuare questo approccio dominato da spirito di sopravvivenza. Gli infortuni di James Harden e Kyrie Irving hanno reso più debole la minaccia offensiva. La quale si riduceva al due volte MVP delle Finals. Per quanto in gara 5 è stato determinante l’aiuto di Jeff Green (27 punti dalla panchina, 7 su 8 da tre, ndr), Kevin Durant è stato il solo giocatore dei Brooklyn Nets a oltrepassare quota 15.0+ punti di media nelle semifinali della Eastern Conference. Ad eccezione di Kyrie Irving, che ha mancato le ultime tre sfide della serie. E infine Joe Harris ha chiuso il confronto con 16 su 49 da tre punti (32.7%). Oltre tutto ciò, la differenza nei 48 minuti in gara 7 si è ridotta a qualche centimetro.
Il commento su Ben Simmons: “Quanto visto non mi sorprende”
Il secondo estratto dall’intervista che trova corrispondenza con il presente riguarda Ben Simmons. Tutto ha inizio quando Scottie Pippen sottolinea che “dal punto di vista finanziario, avrei potuto ottenere molto di più. Ma nulla mi ha dato longevità e apprezzamento da parte del pubblico come i successi ottenuti. Un benefit che prosegue tuttora.” Il pensiero giunge con immediatezza a quel contratto di sette anni a 18 milioni di dollari firmato da Scottie Pippen durante le NBA Finals del 1991. Un accordo che nella lega odierna non è nemmeno più contrattabile, in quanto gli accordi collettivi prevedono regole che allora non figuravano. Si trattò dell’estensione al contratto da Rookie iniziato nel 1987 (quinta scelta, ndr). Poi perdurato sino all’ultimo titolo conquistato, dove Scottie Pippen era il giocatore numero 122 tra i più pagati nella lega.
A tal proposito, il valore del contratto in essere riflette sempre una corrispondente mole di aspettative in termini di impatto sulle dinamiche di squadra. Per Scottie Pippen erano visibilmente sproporzionata verso un salario non degno del suo contributo. Mentre il corrente dibattito riguarda il non accettabile apporto offensivo di Ben Simmons in relazione al peso sul libro paga dei Philadelphia 76ers (29 mln nel 2020/21, approssimativamente 100 milioni nei prossimi tre anni, ndr). Negli interi playoffs ha registrato il 34.2% dalla linea del tiro libero (25 su 73), con sei tiri dal campo tentati nei quarti periodi.
“Abbiamo visto giocare Ben Simmons per cinque anni oramai. Ognuno di noi è consapevole della sua debolezza: non sa tirare dal campo, ed è spaventato di finire in lunetta”, ha detto Scottie Pippen. “Questo è il giocatore che abbiamo visto sin dall’inizio. Per quanto sia ottimo in altri aspetti del gioco, questa incapacità di reagire ad un punto debole lo limita. Anche Giannis (Antetokounmpo, ndr) presenta problemi al tiro. Ma non ha interesse a venire umiliato. In gara 7 (vs Nets, ndr) non ha centrato nemmeno il ferro dalla linea del tiro libero per ben due volte. Ma il possesso successivo è ancor più determinato a entrare in area e schiacciare sopra la testa dell’avversario. Questa è la differenza tra lui e Ben Simmons.”
Scottie Pippen, come personaggio pubblico, non si è mai esposto in questa dimensione riguardo le tematiche del gioco che lo ha visto protagonista per diciassette anni. Coloro che rappresentano una o più generazione precedente, propendono a tenersi stretto e mettere in auge la loro pallacanestro. Sempre con un senso di rispetto e volontà di continuare a rendere il prodotto costantemente di qualità con nuovi interpreti. Nonostante il trascorrere di decenni e la propositiva evoluzione, il racconto del gioco troverà sempre riferimenti e legami con il passato. Da ciò, la costruzione di un dibattito più o meno proficuo testimonia un comune senso di appartenenza.