Giannis Antetokounmpo ha 50 punti in gara 6, ciascuno per i 50 anni che i Milwaukee Bucks hanno atteso prima tornare in cima alla NBA.
Tanto ci è voluto ai Bucks per trovare un giocatore della statura, in tutti i sensi, di quello che sarebbe poi diventato una leggenda col nome di Kareem Abdul-Jabbar e che l’anello NBA del 1971 lo vinse quando si chiamava ancora Lew Alcindor.
Giannis Antetokounmpo ha giocato una delle migliori serie di NBA Finals mai viste a livello individuale, in gara 6 e con i suoi Bucks esausti, a implorarlo quasi di vincere la partita e mettere la parola fine a una stagione massacrante, ha segnato 20 punti nel solo terzo periodo (e per la seconda volta nella serie, un primato), 33 nel secondo tempo e chiuso con 50 punti.
Giannis è diventato così solo il settimo giocatore della storia delle finali NBA a segnare almeno 50 punti in una partita singola. Roba che lo accomuna a Michael Jordan, a LeBron James e a Elgin Baylor, per citare tre membri dell’esclusivo club.
Dopo la sirena finale (e anche qualche secondo prima per la verità, tanta è la gioia) Antetokounmpo è un fiume in piena: salta, abbraccia tutti, sorride, piange, parla sul podio della premiazione e dice pure le parolacce (“we f*****g did it“, rivolto a Khris Middleton). E’ l’anima della festa al Deer District dove per due settimane, quelle delle NBA Finals per la città di Milwaukee, anche la pandemia è un retro pensiero e ci sono 65mila persone a guardare.
“Parte dei motivi del perché ho rifirmato con i Bucks, è per questa città“, spiega Giannis dal podio delle interviste, abbracciato al doppio trofeo di MVP delle finali e al Larry O’Brien Trophy “Non potevo andarmene, questa città aveva fiducia in me, credeva in noi. E inoltre volevo portare a termine il lavoro, e questo è il lato ostinato del mio carattere. Sarei potuto andare in un superteam a vincere altrove. La via più facile, fare solo la propria parte e vincere“.
“Ma questo è il modo più difficile per farlo, ed è l’unico modo. E c***o, noi ce l’abbiamo fatta“, parola dell’uomo che un superteam, per quanto in stampelle, lo ha eliminato sulla strada per il titolo NBA 2020\21.
A 27 anni ancora da compiere il resumé di carriera di Giannis Antetokounmpo è già di quelli da far impallidire. 2 volte MVP stagionale, una volta difensore dell’anno e ora MVP delle finali e campione NBA. Giannis è appena il secondo giocatore nella storia NBA a tenere una media di almeno 35 punti, 10 rimbalzi e 5 assist in una serie finale, dopo LeBron James nel 2015, e il primo All-Time ad aver chiuso una partita di NBA Finals con almeno 40 punti, 10 rimbalzi e 5 stoppate (ah si, ci sono anche 5 stoppate una diversa dall’altra, nella sua gara 6).
Se dessero il premio di difensore delle finali, Antetokounmpo lo avrebbe vinto comunque, magari in coabitazione con Jrue Holiday. In gara 6 ha terminato con 5 stoppate sbarrando la strada al canestro a tutti: Devin Booker, Deandre Ayton, Mikal Bridges. Un paio di suoi voli difensivi a canestro non sono finiti a referto perché arrivati un centesimo di secondo troppo tardi, ma il terrore nei tiri di chi si avvicinava al canestro dei Bucks col greco nei paraggi lo si è quasi toccato. Chiedere al povero Deandre Ayton per conferme.
Antetokounmpo ha persino tirato bene i liberi: 17 su 19 come un Damian Lillard o uno Stephen Curry qualunque, una performance tratta dal Vangelo secondo Shaq (paragone scelto NON a caso) che da qualche parte recita: “quando conta li metto“.
“La gente continua a dirmi che non so tirare i tiri liberi. E io ho segnato i tiri liberi, e ora siamo campioni NBA!“, scherza Giannis nel post gara.
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“Questa vittoria la dedico a mia mamma. Ha lavorato duro ogni giorno della sua vita per darmi la possibilità di arrivare qui, e non mi ha mai messo pressione. Per mio padre che guarda da lassù. Per la mia compagna (Mariah Riddlesprigger, ndr) che ogni giorno fa di me una persona migliore. Lascia che io faccia quello che penso di saper fare e si prende cura di nostro figlio. E per i miei fratelli“.
“A volte so di essere ostinato. Posso sembrare distaccato dalla realtà ma solo perché voglio fortemente una cosa. E me la sono presa. Ma non ho fatto nulla da solo, in tanti mi hanno aiutato, giorno dopo giorno e li ringrazio tutti“.
Giannis Antetokounmpo ha poi parlato del suo viaggio dalla Grecia e dalla serie B con il Filathlitikos, alla NBA e a toccare il cielo con un dito. Una storia di riscatto sociale da film, e che infatti diventerà anche una docuserie targata Disney: “Bisogna credere nei propri sogni, anche quando le cose non vanno e niente di quel che fai sembra funzionare, anche quando potresti non farcela. Nel basket come in qualsiasi altra cosa (…) mai lasciare che qualcun altro ci dica che cosa possiamo o non possiamo fare“.
“E’ difficile trovare altre parole per descrivere quello che ha fatto“, a parlare è coach Mike Budenholzer cui Giannis ha riservato uno degli abbracci più lunghi dopo la vittoria “Il modo in cui ha segnato i suoi tiri liberi. in cui si è imposto, la sua leadership e la fiducia nei suoi mezzi… lui ci ha sempre lavorato su, abbiamo sempre detto che per noi è importante che Giannis vada in lunetta, ci fidiamo di lui. L’estate scorsa ne avevamo parlato. Vuoi vincere il titolo? Allora devi segnare i liberi e devi fare canestro“.
Giannis Antetokounmpo ha accettato la sfida, e l’ha vinta.
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