Torna in mente quanto raccontava Dan Peterson in un paio di suoi scritti. Racconta il leggendario Coach che a Navy, nel suo primo anno di assistentato sotto coach Ben Carnevale, la squadra era partita 0-2. L’uomo di Evanston era preoccupatissimo, così chiese al suo capo allenatore consigli. La risposta: “Dan, abbiamo giocato solo due partite”. Sic et simpliciter. Questo per dire che il record di 0-3 dei Dallas Mavericks non deve poi spaventare più che tanto, o essere parimenti motivo di ansia. Certo, un inizio così è bruttarello parecchio, ma succede, alcune squadre ci mettono più tempo ad entrare in ritmo, e d’altra parte i conti si fanno alla fine. Le cicale che cantano prima, che costruiscono in maniera arruffona, poi dopo soffrono. Quindi, niente panico, gettare le fondamenta non è opera tanto immediata.
Concorrenza imperfetta
Che poi, non c’è neanche da farne troppo una tragedia greca. Riflettiamo un attimo: ad Ovest la concorrenza è tutto sommato livellata verso il basso. Verso il basso? Sì, signori. Facciamo un rapido check.
I Warriors sono nel pieno dei lavori in corso, se è lecito chiamare lavori in corso il metabolizzare Kevin Durant da seconda punta, la retrocessione di Klay Thompson a terza, e gli arrivi sotto le plance di David West e Javale McGee. Dal canto loro Gli Spurs hanno inserito Gasol, stanno trovando un Aldridge gagliardo anche se su di lui pesano ancora i rumors di mercato prestagionali, hanno trovato Mills galvanizzato dall’esperienza olimpica e… sono contatissimi. Simmons non è il fenomeno visto contro Golden State, l’età media della squadra è elevata e prima che Laprovittola e Bertans possano essere pronti per le platee NBA occorrerà almeno una stagione, forse anche due. Leonard fa sempre il Leonard, bontà sua, ma certo bisognerà che siano tutti sani per reggergli l’orlo quando verrà il momento del dunque, e come si sa sperare che siano tutti sani in una stagione che conta ottantadue partite di stagione regolare è come sperare di trovare una fontana zampillante nel Sahara.
Ci sarebbero i Clippers, che però trovano sempre il modo di spararsi sul piede. Auspicare che non lo facciano richiede lo stesso sforzo di fantasia della metafora precedente. Quindi in fondo i Mavs potrebbero anche farcela, ad iscriversi nelle prime posizioni, magari attorno al quarto/quinto posto. Portland forse sta davanti, come solidità, valore assoluto del roster e fluidità dell’attacco, e in effetti i rossoneri dell’Oregon sono il primo nome che faremmo se, con una pistola puntata alla tempia, qualche malcapitato dovesse chiederci il pronostico della sorpresa. In alternativa Minnesota, che fino ad ora ha giocato alla Thibodeau più in attacco (palla in movimento, passaggi) che in difesa, non ancora aggressiva come le squadre del coach ex Bulls hanno abituato a essere.
Ad oggi, a giocarsi le prime posizione sono le squadre nominate più Dallas. Non Houston che è il solito casino organizzato alla D’Antoni, il quale può anche avere convinto Harden a passarla di più (anche se l’impressione non è stata proprio questa…), ma come ci insegna la psicologia cognitiva nei momenti di forte stress tendiamo ad agire secondo risposte incondizionate dimenticando quelle condizionate, quindi non faremmo troppo affidamento sulla generosità della Barba quando si verrà al dunque. Magari gli Utah Jazz potranno essere pericolosi, ma con l’incognita che alla predicazione di coach Snyder basata su gioco di squadra, esecuzione e princìpi sloaniani nella metà campo propria come in quella altrui non corrisponda una adeguata cattiveria agonistica dei componenti del roster.
Aggiungiamo Grizzlies e Thunder ridotti all’osso per motivi diversi, ma insomma, la concorrenza pare andare in guerra armata di stuzzicadenti. Chiaro che la Lega delle Meraviglie ci ha abituato sempre a qualche uppercut, anche se per la prima quest’anno all’orizzonte se ne vedono proprio pochi.
Più di là che di qua
Ovviamente la situazione non è rose e fiori se il record di Dallas è quello che è, e anche siamo fiduciosi che i semi intravisti diano frutto, è pur sempre vero che tra il… riscontrare e il fare c’è di mezzo tutto quel che segue.
In particolare, i Mavs sono apparsi volenterosi ma non abbastanza arcigni in difesa. Contro i Pacers i primi tre canestri sono stati subito a un pollice dal ferro, il quarto con i guardiani a collassare sul penetratore che però ha panierato ugualmente. La difesa in occasione dell’esordio è stata lenta a reagire sui dai-e-vai o sui backdoor, e quando ha giocato d’anticipo Indiana per eluderla ci ha messo i gucciniani 3”2 decimi, non omologati perché con vento a favore. Identico discorso contro Houston, con l’aggravante stavolta che le squadre di D’Antoni una volta che ti hanno superato in anticipo poi è difficile che non ti segnino davanti agli occhi.
Segnali di miglioramento ce ne sono stati però, perché se Bogut alla prima aveva agito da protettore del pitturato, alla Chandler dei giorni d’oro per intenderci, ma con freno a mano tirato, perché evidentemente ancora condizionato dall’infortunio, alla seconda già era più mobile, da ambo i lati. La difesa allineata sotto la linea del tiro libero ha prodotto una maggiore efficacia nel chiudere l’area ma ha lasciato ai Rockets ampie praterie per trovare conclusioni da fuori o penetrazioni partendo da lontano. È stata una scelta, è andata male, ma la difesa qualcosa deve pur sempre concedere. Comunque della retroguardia ha tenuto, ha fatto sentire il fisico, non cambiando sui blocchi, lasciando l’uomo libero ora in punta, ora in ala, alla bisogna. Il difetto comune in entrambe le gare è stata la ricerca spasmodica della palla che ha portato più volte i difensori in maglia Dallas a perdere il proprio uomo. Più scienza e meno incoscienza avrebbero portato maggiori benefici. Ora l’auspicio è che l’esperienza insegni.
Le note positive, visto che di qua se ne sono viste poche, si sono avute… di là, ossia nella metà campo offensiva. L’impostazione in penetra-e-scarica, o le uscite dai blocchi con triple, si sono via via più affinate. Bogut come detto dopo l’esordio da semi-immobile è stato più dinamico, consentendo anche in attacco una maggiore e migliore spaziatura. Barea, promosso in quintetto per l’assenza di Nowitzki nel primo derby e con 31′ all’attivo nel secondo, in questo senso è stato cruciale: la sua rapidità di piedi, ma soprattutto quella di pensiero, ha consentito al play portoricano di buttarsi dentro e decidere al momento se le condizioni richiedevano un arrivo al ferro o uno scarico al compagno. La serie di blocchi sul lato o in ala hanno permesso varie volte di liberare il tiratore di liberarsi, mentre è successo che uno dei bloccanti (Anderson) “poppasse”, ovvero si aprisse lato per ricevere il passaggio. Il fronte dell’attacco di Dallas, poi, restava sempre attivo, soprattutto sul lato debole con blocchi, e cerca spesso l’extrapass, magari per il compagno che tagliando dietro ha creato un’occasione favorevole.
Con una rapida menzione Deron Williams, che ha giocato con il sangue agli occhi come se fosse in missione per conto di Carlisle, e che ancora possiede una lucidità formidabile in fase di tiro e un palleggio celestiale (a volte ruminato un po’ troppo, ma poi ha segnato…), le vere chiavi dell’attacco di Dallas sono state Matthews e Barnes. Il diavolo e l’acqua santa, perché al gettarsi ferocemente dentro del primo, il secondo, che si è trovato a suo agio tanto nello spot di “3” quanto di “4”, ha risposto giocando con raziocinio, selezionando di volta in volta quale fosse la soluzione più agevole. Wes jr., dal canto suo, al Toyota Center in un momento di trance agonistica ha infilato una serie notevole da oltre l’arco, e se avesse tirato D’Antoni avrebbe messo dentro pure lui.
Nel complesso, non possiamo ovviamente dire con certezza quale il futuro attenda Dallas. La gara contro Utah, una sfida con tra due squadre “di sistema”, può dire molto o ancora nulla. Chiaro per arrivare dove possono arrivare i texani dovranno mettere a posto quei difettucci che finora hanno tradotto con zero il numero di vittorie, e tuttavia tempo per lavorare ce n’è e per recuperare terreno pure. In fin dei conti, poi, questa è ancora la fase della stagione dove è un peccato non avere peccati.
Appuntamento al prossimo episodio di Dallas Buyers Club, ricordandovi sempre che per rimanere collegati a NBA Passion e non perdervi gli appuntamenti futuri potete disporre della app: https://play.google.com/store/apps/details…
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