gliLa stagione deludente degli Atlanta Hawks si può riassumere esattamente nel destino di una bolla di sapone: che sia la più piccola possibile o la più grande mai vista, basterà comunque solo un lieve tocco e puff la bolla scoppierà.
In questo senso è bastato il primo problema (sicuramente di grande impatto) a rompere un giocattolo che in pre-season sembrava potesse essere molto più che un semplice pezzo di plastica, come in realtà si sta rivelando. La squalifica occorsa a John Collins (arrivata dopo appena 5 partite a causa di una valore eccessivo di un ormone della crescita) ha fatto infatti cadere il castello di carte che aveva messo in piedi la franchigia.
25 partite dopo, il lungo ex Wake Forest è sì tornato, ma con il team in totale caduta libera e con una percentuale di vittorie pari al 20% (6-24). Il record è rimasto invariato da quando Collins è rientrato in campo, nonostante ottime prestazioni personali, con la zona playoffs ormai lontana 9 gare e quasi irraggiungibile.
Cosa è possibile salvare nella stagione deludente degli Atlanta Hawks
In una situazione cestisticamente desertica è quasi effimero e pretestuoso cercare e sottolineare i lati positivi di un’ultima posizione complessiva, ma, effettivamente, nella stagione deludente degli Hawks non tutto è da buttare, perlomeno se si parla di individualità.
- Jabari Parker
Quest’anno Jabari Parker sta vivendo probabilmente la stagione più continua, di presenze e soprattutto di prestazioni, da quando ha messo piede sui parquet NBA. Dopo anni e anni di infortuni più o meno gravi quest’anno l’ex Duke sta finalmente trovando una buona continuità di prestazioni (15 punti e 6 rimbalzi di media uscendo dalla panchina fino ad ora), risultando sempre coinvolto e spesso tra i migliori del roster, anche nelle serate più nere.
- Vince Carter
Al tramonto dei suoi 42 anni (saranno 43 il prossimo 26 gennaio), Vincredible ha già impresso il suo nome sull’ennesimo record, essendo il primo giocatore della storia della NBA a scendere sui parquet NBA in ben 4 decadi differenti (’90-’00-’10-’20). Aumentano gli anni, diminuiscono conseguentemente minutaggio e punti, ma Carter è uno degli pochi in squadra a saper regalare queste chicche qui…
Nonostante l’età, Vince Carter non finisce di entusiasmarci.
- Trae Young
La terza scelta del draft 2018 sta dimostrando con i fatti quanto la sfida a distanza con l’altro protagonista della trade più importante di quel draft (ovvero Luka Doncic) lo galvanizzi e lo spinga ad altissimi livelli. La point guard 21enne attualmente sta viaggiando a 28.8 punti e 8.3 assist di media, risultando già dalla scorsa stagione spesso decisivo anche quando il pallone comincia a pesare di più.
Atlanta Hawks: cosa non va
Messe da parte le note positive, per gli Hawks si scoperchia quel “vaso di Pandora” di speranze, prospettive e obiettivi distrutti da un inizio di stagione sciagurato.
- Profondità della panchina
Probabilmente il punto focale dell’inizio di stagione deludente degli Atlanta Hawks sta tutto qui. E’ bastato che si fermasse John Collins, che Kevin Huerter perdesse una decina di partite (a causa di una lesione alla spalla) e che pure Trae Young dovesse dare forfait per un paio di partite.
Coach Lloyd Pierce si è trovato varie volte a dover ridisegnare il quintetto e la panchina stessa, non riuscendo a trovare nei vari giovani e veterani di contesto (come Crabbe, Parsons, Turner e Len) qualcuno in grado di sopperire con efficienza alle varie assenze occorse in questa prima parte di stagione.
- I rookie
Di certo non è stato esaltante l’ingresso nel palcoscenico più importante dei giovani pescati dall’ultimo draft. La chiamata numero 4 DeAndre Hunter al momento sta risultando il rookie meglio inserito nel contesto degli Hawks, sia dal punto di vista delle medie tenute (12 punti e quasi 4 rimbalzi), sia per quanto si è dimostrato pronto a calarsi nella parte del rookie di spicco della franchigia.
Lo stesso di certo non si può affermare per le altre due chiamate del primo giro, Cam Reddish e Bruno Fernando, che stanno confermando tutti i dubbi che c’erano su loro alla vigilia del draft. In particolare l’ex Duke Reddish già dalla seconda parte della sua unica stagione universitaria ha visto la luce della propria stella affievolirsi, anche perché oscurato dagli altri due Blue Devils, R.J. Barrett e, soprattutto, Zion Williamson.
- I centri
La mancanza di un centro vero e proprio di livello è un altra delle note dolenti della stagione della franchigia della Georgia. La scommessa Alex Len si è dimostrata una scelta decisamente sbagliata, il centro non è mai riuscito a fare il salto di qualità vero e proprio supposto dalla dirigenza da quando approdato in squadra da Phoenix nell’estate 2018. Ma dietro il centro ucraino il solo Damian Jones, dopo l’esperienza nella baia con Golden State, si sta dimostrando inadatto come role player, quando per i Warriors risultò essere ben più significativo il suo apporto quale giocatore di contesto.
Con la presenza dei giovani ruspanti Young, Huerter, Hunter, Reddish e Collins, è probabilmente proprio la mancanza di un centro di sostanza ciò che separa gli Hawks dall’essere una zattera che imbarca acqua al diventare un’outsider pericolosa per tutti.
In questo senso si è parlato a lungo fino a qualche giorno fa della possibilità di una trade che portasse in Georgia Andre Drummond, big man di un progetto, quello dei Pistons, ormai totalmente naufragato (nonostante Detroit sia a sole 3 gare e mezzo dall’ottavo posto ad est), dopo la decisione di Blake Griffin di operarsi al ginocchio sinistro che lo terrà fuori per il resto della stagione. Il centro è stato accostato ad un’altra manciata di squadre, nonostante dichiari di voler rimanere con i suoi Detroit Pistons. Il suo futuro, dunque, rimane ancora incerto.
- Difesa
La mancanza di un centro di livello si riversa direttamente sulla bassa consapevolezza difensiva dei vari quintetti degli Atlanta Hawks. Sebbene offensivamente sia comunque produttiva, Atlanta risulta avere il terzo peggior defensive rating della lega (113.2 davanti solamente a Washington e Cleveland), e questo già dice tanto su quanto conceda la squadra di coach Pierce.
Le criticità nascono soprattutto all’interno dei 7.25 (qui ben tre occasioni consecutive finalizzate da Orlando contro una resistenza quasi nulla della difesa Hawks).
Dentro l’area infatti arrivano la maggior parte dei punti avversari: ben 53.2 punti a partita arrivano dentro il pitturato, con quasi 20 di questi arrivati da una palla persa in fase di costruzione di gioco d’attacco. L’area risulta per questo il miglior territorio di conquista per le squadre avversarie, la zona su cui deve intervenire maggiormente coach Pierce per far cambiare il vento dal punto di vista difensivo. Di certo, l’arrivo di un centro di spessore cambierebbe sicuramente questo trend negativo.
Il gioco
Offensivamente gli Hawks dimostrano di essere una squadra comunque interessante (discreto il dato sull‘assist ratio 16.6, in media rispetto alle altre squadre). La squadra gioca ad un ritmo abbastanza elevato, con un pace di 102.7 (in top 10 nella lega). La gestione del pallone passa sempre per le ottime mani di Trae Young e l’azione si conclude molto spesso con una tripla in transizione, o una serie di scarichi volti a trovare il miglior uomo libero dal perimetro.
Il problema sta nell’efficienza dei tiri presi dagli Atlanta Hawks, spesso o casuali o non costruiti bene, il che ha un sostanziale peso specifico se il playbook prevede nel tiro dalla lunga distanza la via preferenziale d’attacco (top 10 della lega per percentuale di tiri presi dalla lunga distanza). Ciò è testimoniato dalla peggiore media dalla lunga distanza di tutta la lega (32%). Statisticamente la stagione deludente degli Atlanta Hawks sta tutta qui, perché evidentemente chi “vive” tirando dal perimetro deve avere percentuali almeno discrete per competere anche solamente nella singola partita.
Prospettive
Sono ormai lontani i tempi del miracolo firmato coach Mike Budenholzer nella stagione 2014/15, quando gli Atlanta Hawks raggiunsero incredibilmente le Finali della Eastern Conference dopo una regular season da 60 vittorie. Da tre anni ormai la squadra è in completo rebuilding, processo che con tutta probabilità continuerà anche in questa stagione a meno di clamorosi cambi di passo, magari dovuti a qualche nuovo arrivo prima della trade deadline (il prossimo 6 febbraio).
Di certo la presenza di giovani ruspanti quali Trae Young, John Collins e DeAndre Hunter permette di dare uno sguardo al futuro con un pizzico di fiducia in più, ma c’è assoluto bisogno di cambiare passo. Perché ad oggi rimane il rimpianto per una stagione decisamente negativa, iniziata con ben altre prospettive, che alla fine potrebbe costare il posto a coach Pierce (nonostante la rinnovata fiducia di poco meno di un mese fa), pur essendo chiaro che una grande fetta di questo ultimo posto solitario sia dovuta alle molteplici defezioni.
N.B: le statistiche utilizzate nell’articolo fanno fede alla data di pubblicazione dello stesso.