«Final four Eurolega, frittatona di cipolle, familiare di birra gelata, tifo indiavolato e rutto libero»
Nell’immaginario del tifoso medio ogni finale, Eurolega compresa, dovrebbe essere vissuta più o meno così.
Nel nostro caso la redazione di Eurolega Devotion aspettava suddetto momento da MESI.
Mesi in cui ci siamo sorbiti partite dell’Unics senza Langford, il doppio mento di Ataman, imparare a pronunciare Crvena Zvezda e (ahimè) la tremenda regular season di Milano.
Diciamo che, partendo da venerdì, l’esito ha abbastanza ripagato la nostra agonia.
Ma cosa resterà di queste final four, prendendo in prestito una frase da una mitica canzone di Raf abusata più della pazienza di un tifoso di Milano? (scusate, è stato un anno difficile).
Cosa ci rimarrà quindi?
VASSILIS SPANOULIS E L’EUROSFIGA DEL CSKA
Fan della brexit spostatevi verso Mosca visto la rapida uscita del CSKA da queste final four.
Nemmeno il miglior/peggior sceneggiatore hollywoodiano avrebbe pensato ad un simile remake delle finali 2012 con conseguente psicodramma moscovita.
Eppure le premesse sembravano esserci tutte: un budget faraonico (35 mln di €), le due guardie più forti del torneo Teodosic – De Colo, il miglior allenatore Coach Itoudis e l’esperienza dell’anno scorso che hanno portato il CSKA sul tetto d’Europa.
Il club dell’armata rossa sembrava davvero sul punto di costruire una vera e propria dinasty, ma i fantasmi del passato sono tornati a bussare.
L’ organizzazione tattica è stata studiata nei minimi dettagli con Itoudis, ben conscio del vantaggio fisico di Printezis sui suoi numeri “4”, che ha pensato raddoppi sistematici proprio per evitare di lasciar libero spazio a Giorgione.
Il piano sembra anche funzionare a meraviglia, il CSKA ha solidamente in mano la partita e anche le “balle” di Coach Sfairopoulos che sembra aver una squadra non in grado di reggere l’impatto delle final four.
I greci provano a tenere i ritmi bassi as usual ma nonostante tutto a 44” dalla sirena dell’intervallo Teodosic scaglia una tripla irreale dagli 8 metri, con la naturalezza con cui io tiro una pallina di carta nel cestino.
Tutti a casa? Manco per idea.
Un buzzer beater greco riporta l’Olympiacos sul -7 e mai dico MAI lasciarli in fin di vita.
A questo punto i russi ricordano il Dorando Petri delle olimpiadi di Londra di inizio ‘900, che dopo una corsa in testa fino alla fine si vanno a spegnere poco prima del traguardo.
Il terzo quarto è solo De Colo, una punta di Teodosic ma tanto tanto Papanikolau e Mantzaris che bombardano il canestro: 64-60.
Il dramma si sta per consumare, Itoudis lo sente ma da generale qual’è non può crederci e soprattutto, l’ Olympiacos ha bisogno di qualcosa in più per sbancare.
SPOILER Se vi state ancora chiedendo come mai il paragrafo si intitoli “Vassilis Spanoulis ecc ecc” probabilmente siete caduti un po’ troppo spesso dal seggiolone da piccoli.
Fino a quel momento il condottiero greco era fermo a 4 punti imprigionato in una prestazione non altezza della sua fama.
Ma quello che succede dal canestro del pareggio sul 69 pari e la conseguente tripla del sorpasso, entra di diritto nell’epica del gioco.
Spiegarli non si può, dovete solo vederli.
Game, set and match. Olympiacos in finale, i Russi a casa e probabilmente anche in cerca di un bravo psicologo.
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI EKPE UDOH
“L’insostenibile leggerezza dell’essere” è un romanzo di Milan Kundera del 1982.
All’origine dell’insostenibile leggerezza dell’essere vi è, per l’autore, l’unicità della vita: Einmal ist Keinmal; ovvero, traducendo letteralmente il proverbio tedesco, ciò che si verifica una sola volta (einmal) è come se non fosse accaduto mai (keinmal).
Estremizzando l’argomento, l’esistenza e le scelte che ognuno compie nella breve o lunga durata appaiono del tutto irrilevanti, e in ciò risiede la loro leggerezza.
Ekpe Udoh per tutto l’anno ci ha fornito prestazioni stellari, guadagnandosi di diritto anche un posto tra i nostri migliori cinque.
Ma come diceva Kundera se è successo una sola volta non basta: ci vuole una conferma.
L’abbiamo avuta decisamente in questo weekend di final four, soprattutto nella semifinale.
I numeri: 18 punti, 12 rimbalzi e 8 assist e un incredibile intervista di metà partita; alzata la testa al tabellone si è accorto di quanti punti avesse fatto Sergio Llull nel solo primo tempo: “Nineteen?! Jesus Christ!”.
Risiede anche in questo la sua leggerezza, la capacità di essere, anche nel momento più importante della sua carriera, assolutamente non curante di ciò che gli accade intorno.
Domina la scena in toto ed attorno a lui si sviluppa la partita.
Troppo schiacciante la superiorità del Fenerbache rispetto al Real Madrid, mai veramente in partita
Gli uomini di Laso non riescono a fare il loro gioco e gli interpreti hanno steccato come nell’incubo più oscuro di ogni direttore d’orchestra. Sergio Llull a parte ovviamente.
Doncic dimostra tutta l’insicurezza dei 18 anni, sembrando cosi anche lui finalmente più umano.
Panchinando il suo giovane talento coach Laso si vede costretto a ripiegare sulle seconde linee, peccato che Rudy Fernandez non sia nella sua giornata migliore e Maciulis è ripiombato nella sua versione Olimpia Milano.
Il supporting cast madrileno lascia così troppo solo Llull che tenta di ricompattare il distacco con il solo aiuto di Carrol, tiratore mortifero.
Ma il Fenerbache ne ha semplicemente di più, troppo schiacciante la preparazione alla partita di Obradovic che sa di non poter fallire questa occasione.
Spreme al massimo i suoi tre tenori (Kalinic, Bogdanovic e Udoh) con quasi 38 minuti di utilizzo, dimostra una supremazia dominante e si prepara alla grande sfida di domenica.
Ne ha già vinte 8: dubitate davvero di come potrebbe finire?
CAPITANI CORAGGIOSI
Potremmo parlare della partita. Davvero, potremmo.
Potremmo raccontare di come il Fene è stato schiacciante ben più dell’ 80-64 finale.
Potremmo dire che Spanoulis, in lacrime a fine partita, semplicemente non aveva le forze per continuare a combattere come Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso.
Potremmo parlare per ore di come i turchi siano stati superiori in tutte le final four, con anche scarti di 16 e 20 punti.
Ma, alla fine, quello che rimarrà sono le storie di tre capitani coraggiosi.
Il primo è un rude coach che ha iniziato la carriera non esattamente ieri ma bensì nel 1991.
Zelimir Obradovic prende il comando del Partizan Belgrado, sua squadra da giocatore, e lo conduce alla conquista di 2 coppe campioni e non solo.
Finito il suo percorso balcanico passa a quello Iberico: Real Madrid, ovviamente coppa dei campioni a iosa ma senza il titolo nazionale.
Dopo le parentesi a Treviso ed in nazionale, passa al Panathinaikos dove vince non una, non due, non tre ma QUATTRO titoli continentali. Unico.
Il 9 però è uno dei più speciali. Prendere una squadra di un paese che non aveva mai vinto l’eurolega, aggiungici una squadra che solo nel 2015 è arrivata per la prima volta alle final four e se non bastasse, ha ricostruito questa franchigia a sua immagine e somglianza.
Insieme a Maurizio Gheradini, ha voluto solo giocatori adatti al suo credo: perché Obradovic chiede ai suoi uomini fede e sottomissione.
L’unico sopravvissuto dal primo anno di Zelimiro è il capitano del Fenerbache: Melih Mahmutoglu.
Il tiratore turco non è un giocatore che leggete spesso nei tabellini ultimamente, l’emblema del “capitano non giocatore”.
Ancora una volta più che le parole usiamo un video, per far vedere come Melih ed il pubblico di Istanbul siano una cosa sola.
Il terzo capitano è anche il nostro leader; il capitano della nostra nazionale Gigi Datome.
Oltre ad essere italiano, Gigi incarna le doti del ragazzo che qualunque mamma vorrebbe per sua figlia. Un ragazzo con la faccia pulita, uno che si fa tagliare i capelli con una forbice per fasciatura da Pero Antic, non propriamente il barbiere di Siviglia, solo per onorare una scommessa. Un ragazzo che si fa amare da tutti, che dedica la vittoria alla mamma, alla fidanzata, alla Sardegna (sua terra natia) e all’ Italia. Uno di noi.
Non a caso Ettore Messina, coach della nazionale, gli ha voluto dedicare queste parole, che penso siano il commiato migliore per queste finali oltre il sorriso del nostro Gigigante.
“Gigi Datome campione d’Europa, sono felice per te, per averti come capitano della Nazionale, ma soprattutto perché potrò raccontare di te a mio figlio, spiegandogli che impegnarsi come un pazzo, rispettare compagni, allenatori, avversari e arbitri, non trovare scuse quando giochi poco o male, e, perché no, anche leggere un libro ogni tanto, sono cose “cool” e possono darti grandi soddisfazioni. Un abbraccio forte e a quest’estate”.