Steph lo ha sempre saputo.
E’ sempre stato consapevole di essere più basso della media, di essere più magro della media e di sembrare troppo più piccolo della sua età.
Steph lo ha sempre saputo, ha deciso di accettarlo, e di farne il suo mantra. Underrated.
Steph credeva di poter diventare una star, spinto dall’adrenalina causata dalle voci che giravano ovunque. Si diceva che era troppo basso, che non avrebbe potuto farcela nella NBA, fino ad essere chiamato addirittura “l’assassino con la faccia da bambino”, quando era ancora un semplice scolaro a Toronto.
“Lo sapevo, lo sentivo” ha detto. “Ho combattuto, poi alla fine l’ho accettato e trasformato in una sorta di sbocco. Mi sono detto: ‘Ok, questa è la mia sfida’. Mi ha portato ad avere quest’etica del lavoro e a sviluppare le mie abilità, che mi hanno accompagnato per tutta la mia carriera”.
E ora che Steph è una delle più grandi star della NBA, ha deciso di condividere la storia dei suoi inizi nel basket, e di come l’essere sempre messo in dubbio e l’essere sempre sottovalutato abbiano finito per alimentare la sua fame, e il suo voler diventare uno dei più grandi giocatori della storia della lega.
E, ancora oggi, quando scende in campo, porta con sé quella mentalità.
“Quella mentalità era diventata un distintivo d’onore” sostiene il diretto interessato. “È lì che nasce la fiducia in me stesso. Se mi applico, posso essere bravo come gli altri, anche se non ho il fisico adatto”.
Ora che stato nominato per due volte MVP, una volta MVP delle Finals, e ha vinto 4 anelli NBA, l’ultimo grande progetto di Steph si concentrerà sul suo periodo precedente al professionismo.
A maggio dello scorso anno, Steph ha poi completato il suo percorso di laurea in sociologia a Davidson.
Riflettere sui suoi anni universitari e sentire gli altri ricordare quelle stagioni speciali ha significato molto per lui, che spera la sua storia possa motivare altri “underrated” a perseguire la loro passione.
Questo perchè c’era una questione in sospeso, che potrebbe aver spinto Steph a realizzare ora questo documentario, per far capire ai suoi figli qual è il messaggio: l’importanza di mantenere una promessa e quanto conta l’istruzione.
Quando lasciò il college per partecipare al Draft NBA, Steph promise a sua madre che, nonostante la sua carriera nel basket professionistico, avrebbe conseguito la laurea. Era stato l’unico studente-atleta allenato da coach McKillop a non essersi laureato e, finché non lo avesse fatto, non avrebbe potuto ritirare la sua maglia a Davidson.
Eppure, nell’agosto del 2022, ha attraversato il palco di Davidson in giacca e cravatta, ha lanciato in aria la sua tesi e la luce ha finalmente illuminato la sua maglia n.30 sulle travi della palestra di Davidson.