E’ fine ottobre. Iniziano i giochi. Tutti i riflettori sono puntati sul parquet. Mentre scendi in campo sale l’emozione, si acuisce la tensione e solo allora comprendi che il tuo sogno, accessibile a pochi, si sta coronando. Ti accorgi di avere accanto Kobe Bryant con la tua stessa casacca, i tuoi stessi colori, lo sguardo concentrato sulla sfida. Dall’altra parte Harden e Howard, nemici di lusso, ti scrutano per la prima volta. L’arbitro fischia e l’avventura inizia, ma il dramma è dietro l’angolo e ti colpisce duro, prima alla gamba, poi alla mente e infine al cuore, perché Julius Randle, settima scelta dei Lakers al draft Nba del 2014, non avrebbe mai pensato di cominciare il suo sogno così, con due miseri punti e una tibia fratturata. Il sogno è rimandato di un anno e la pazienza non si acquista da nessuna parte, la si coltiva, la si padroneggia. E allora Randle, che di pazienza ne ha poco, dopotutto ha solo 19 anni e una speranza che si sta frantumando sotto i suoi occhi, chiede aiuto all’unico che di pazienza ne ha accumulata tanta e che, in certi momenti, l’ha trasformata in sete di vittoria. Chiede aiuto al Black Mamba.
A distanza di un anno Randle è un uomo nuovo, un ragazzo più maturo, che ha saputo estrapolare il positivo da un anno di attesa, mentre guardava i suoi compagni affondare sotto i colpi dell’agguerrita Western Conference. Adesso Randle può ricominciare a muovere i passi di quel sogno che si era fermato in Texas contro gli Houston Rockets.
Come riporta Adrian Wojnarowski di Yahoo Sports, dietro il recupero del prodotto di Kentucky non ci sono solo medici e fisioterapisti, ma anche il simbolo giallo-viola per eccellenza, Kobe Bryant, che ha intuito l’enorme potenziale del suo compagno, ma soprattutto quella forza mentale e una disciplina che convertono una materia prima come il talento in un prodotto finito, nella corazza di un campione.
“Di gran lunga, la persona più importante è stata Kobe” ha dichiarato Julius.
La scelta del cinque volte campione di educare un ragazzo così giovane è la chiara dimostrazione di quali siano le capacità dell’ex Wildcats. Perché tutti sanno che Kobe è un solitario che ama spronare i suoi compagni, ma nella scelta di seguire Randle c’è qualcosa di più, c’è l’intuizione di un futuro brillante per la franchigia. Bryant è una pantera che ti osserva con attenzione , ma difficilmente ti sceglie, ti appoggia, ti fa sentire a tuo agio. Ricerca negli altri l’intensità che lui stesso promuove, ma lui è Kobe e gli altri sono solo giocatori. Ma se lui ti sceglie e ti intima di avere pazienza, convinto che ritornerai più forte di prima, allora devi avere qualcosa di straordinario, qualcosa che lo ha attirato. Julius Randle è ritornato con più fame di prima, con una struttura fisica più forte, sviluppando un’etica del lavoro che ha impressionato tutti, non solo Kobe, ma anche Metta World Peace, veterano dal sorriso difficile. Quest’estate la PF di LA ha avuto qualche work out con l’ex Cantù. L’ha sfidato in un uno contro uno, consapevole di poter battere uno dei migliori difensori di sempre. Metta, che non si tira mai indietro ad una sfida, ha accettato. L’ha spintonato, ha rallentato il suo ritmo, ha usato trucchetti incanalati durante anni e anni di esperienza, l’ha messo all’angolo, ma Julius ha continuato ad attaccare ancora e ancora. A un certo punto in una situazione di pick up, Metta ha interrotto il gioco e gli ha consigliato qualche filmato degli Spurs, per apprendere come gli speroni si muovono senza palla. La settimana successiva, come racconta con orgoglio lo stesso Randle, si sono affrontati di nuovo e Metta, dopo un po’ ha esclamato: “vedo che hai visto il filmato”. Randle è rimasto estasiato dall’intelligenza difensiva dell’ex campione con i Lakers e ha cercato di assorbire tutti i movimenti e i concetti che questa opportunità gli stava offrendo.
Adesso per Randle è giunto il momento di assaggiare di nuovo la regular season, di esprimere quel potenziale su cui, non solo la dirigenza, ma sia Bryant che World Peace hanno scommesso, per condurre i Lakers ai fasti di un tempo.
Per NBA Passion,
Gabriele Timpanaro.