Molto spesso il filo che divide l’essere un comprimario dall’essere un pilastro per il presente e per il futuro è sottile, tanto da potersi spezzare in un attimo. Una svolta, un cambiamento repentino, che ti può investire da un momento all’altro. In tal senso ne sa qualcosa Harrison Barnes, ormai ex ingranaggio del sistema dei Golden State Warriors nonchè nuova pedina fondamentale dei Dallas Mavericks. L’avvento alla corte di Mark Cuban del classe 1992 è giunto grazie ad una concatenazione di eventi: la decisione, da parte dei Mavs, di non rifirmare al massimo salariale ma soprattutto la firma di Kevin Durant coi Warriors. A quel punto bisognava fare spazio e la franchigia di Oakland rinunciò all’ala piccola, che volò a Dallas insieme al compagno di squadra Andrew Bogut, protagonista di una piccola trade.

Free Agency 2016

Harrison Barnes con la casacca dei Golden State Warriors.

 

Squadra nuova, ruolo nuovo. Vita nuova. Eh sì, le praterie, le montagne e i deserti del Texas non avranno lo stesso fascino del panorama della Baia, così come coach Rick Carlisle non ha proprio le stesse idee di Steve Kerr. Tutt’altro. Il ragazzo andrà sul parquet con il compito di recitare una parte di primo piano rispetto a quella risalente agli ormai andati tempi in casacca Warriors.  Barnes accanto a Stephen Curry e compagnia cantate indossava i panni del classico role player, soprattutto dal punto di vista offensivo: se precedentemente doveva rendersi utile di più sugli scarichi con il suo tiro da tre, ora sarà necessariamente responsabilizzato. Già, senza Curry, Klay Thompson o Draymond Green a prendersi i loro possessi, il ragazzo nato ad Ames dovrà ampliare il suo stile di gioco, tenendo per più tempo il pallone fra le mani.

Senza portarla troppo per le lunghe, sarà una delle principali opzioni per l’attacco, probabilmente la seconda dopo Dirk Nowitzki. Avrà il dovere di prendere decisioni importati, di fornire ulteriore atletismo e di portare in dote al team una buona dose di punti grazie alla sua pericolosità dal perimetro e in penetrazione. Facile pensare che gli 11.7 centri di media possano aumentare, una volta che lo stesso giocatore troverà la giusta quadratura nello scacchiere di Carlisle.

Ma non bisogna fossilizzarsi solo su questo aspetto. In una recente intervista, Barnes ha svelato di aver parlato a lungo col suo nuovo allenatore, che gli ha ricordato non solo di segnare, ma anche di difendere forte e di andare a rimbalzo, mansioni che svolto ad Oakland. Archiviata la filosofia Warriors, l’ala piccola non deve far altro che seguire le indicazioni di Carlisle, che dovrebbe chiedergli di dare il massimo su entrambe le metà campo. Oppure, gli si chiederà di concentrare più gli sforzi offensivi facendo il minimo sindacabile nella retroguardia.

Saranno anche i Mavs ovviamente a cambiare pelle. Lo starting five, per quanto riguarda lo spot di 3, beneficerà delle prestazioni di uno scorer puro e versatile invece che di un’elemento bravo ad attaccare ma anche a garantire alternative alla costruzione della manovra, come lo era Parsons. Non è da escludere inoltre che per un minutaggio limitato i texani possano adoperare lo small ball con Barnes da 4, per garantire più imprevedibilità. Gli scenari sono tanti, ed aperti ad ogni strada. Intanto il buon Harrison non deve far altro che aspettare l’inizio della sua nuova ed intrigante vita.

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