Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti “I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

“I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

di Giacomo Seca
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La Baia

Perché Kevin Durant è andato a Golden State? È la domanda che si sono fatti tutti gli insider e appassionati per mesi. E spesso si fanno tutt’ora. Ma la verità è che non c’è una verità singola.

Si è parlato del merito di una birra galeotta bevuta da Steve Kerr e compagnia, si è parlato del corteggiamento in particolare di Draymond Green durato quasi tutto l’anno, si è parlato di tante altre cose.

Sicuramente ha influito il padre, Wayne Pratt, che in una lettera scrisse di come avesse consigliato al figlio che era arrivato il momento “to be selfish”, di essere egoista.

Sono tanti e diversi i motivi che hanno spinto Durant agli Warriors, che sicuramente vanno ricercati anche nel suo background complesso, nella sua voglia di primeggiare e di scrollarsi tante etichette assegnatogli negli anni e che non gli sono mai piaciute.

Anche se potrà essere impopolare, la scelta di KD di andare ai Golden State Warriors non è stata così semplice. Inimicarsi tutta la NBA, cambiare completamente la narrazione su te stesso. Per un ragazzo che ha nella fragilità emotiva un suo punto cardine (vedasi la storia balorda su degli account social fake creati da lui stesso per difendersi, o volendo si possono riprendere anche le sue vergogne da piccolo dovute alla altezza), caricarsi sulle spalle tutto ciò non dev’essere stato semplice.

E nello sport, chi alla fine vince ha (quasi) sempre ragione.

Torniamo ai 3 punti del paragrafo precedente.

Il primo, lo abbiamo più o meno raccontato, anche se il discorso potrebbe essere ben più lungo.

Per il secondo, parlano i fatti.

Le prime due stagioni sono poesia pura. Non tanto in regular season, dove gli Warriors passeggiano, quanto nei playoffs. 16-1 è il record nella post-season. In finale c’è sempre Cleveland ma non è come l’anno scorso, questa volta non c’è storia: 4-1 e arriva anche il primo MVP delle Finals.

Il secondo anno è un po’ più complesso, a quei livelli ripetersi non è mai facile. Le difficoltà maggiori arrivano in Finale di Conference, dove Houston porta la serie alla settima. Ma è 4-3 per Golden State e in finale è paradossalmente più semplice: ancora i Cavs, ma stavolta “sweeppati”: 4-0. Spicca la tripla doppia di KD in gara 4, e arriva il secondo MVP.

In quel momento mette quasi tutti d’accordo: Kevin Durant è il giocatore più forte della NBA. E stavolta a dirlo non sono i premi.

Arriviamo al terzo punto = Il terzo anno agli Warriors.

È un anno tormentato, con anche una serie di infortuni che rendono tutto più difficile, e anche con i rapporti intra-squadra non sempre idilliaci. Uno tra tutti, l’episodio celeberrimo con Draymond Green.

 Ancor più grave, però, è quello che succede durante i playoffs. KD si infortuna al polpaccio in gara 5 contro Houston. Salta ben nove partite. Golden State arriva comunque in finale, dove ci sono i resilienti Raptors. Un’altra squadra del destino.

Siamo in Gara-5, la serie è sul 3-1 Toronto. Rick Celebrini e lo staff sono più o meno sicuri, Kevin è pronto, scenderà in campo.

E scende in campo. Il primo quarto di quella partita è probabilmente il più grande quadro di pallacanestro offensiva mai visto su un parquet. Purtroppo, però, nel secondo quarto, dopo una delle sue solite partenze laterali, il polpaccio fa “pop”. La diagnosi è impietosa: rottura del tendine d’Achille.

Golden State alla fine perderà quelle Finals, perderà anche Klay Thompson (rottura del crociato anteriore) e, il 30 giugno di quell’estate, perderà definitivamente Durant.

Con mezza NBA di nuovo sulle sue tracce (e qui ritornano i vecchi Wizards, anche perchè c’è Scott Brooks, che sono molto speranzosi ma poco considerati dal giocatore), il 30 giugno del 2019 annuncia il suo passaggio ai Brooklyn Nets.

Il resto è storia recente. Tutta ancora da scrivere. E già il fatto che pare essere tornato esattamente come prima il brutto infortunio fa sognare milioni di tifosi. Anche di chi gli voleva male, perchè un campione del genere difficile rimanga dal lato sbagliato del cuore.

A pesare sulla sua scelta di andarsene via, anche qui diversi motivi. La lite con Green, la, a detta di qualcuno, noncuranza con cui è stato rischiato in gara 5. Ma soprattutto, il suo carattere, particolare e unico, nel bene e nel male.

“Non mi sono mai sentito uno di questi ragazzi (degli Warriors ndr). Non sono stato scelto qui, non sono come Steph Curry, come Klay Thompson, come Draymond Green. Anche il resto dei ragazzi ha riabilitato agli Warriors le proprie carriere. E io? Come dovrei riabilitarmi? Come puoi darmi qualcosa in più per la mia carriera? Sono già stato capocannoniere della lega. Sono già stato MVP.”

Kevin Durant sulla sua esperienza agli Warriors.

Record

Con Kevin Durant si ha a che fare con un giocatore unico, come mai si è visto prima e come difficilmente si vedrà.

Perché Durant non è il prototipo di qualcosa e difficilmente è nella sua struttura fisica l’indicazione per il giocatore del futuro. KD è unico nel suo genere perché ha una versatilità di gioco che lo rende fisicamente e tecnicamente schierabile in tutte le posizioni in campo.

Quando tira, ha una “piuma” che gli esce dalle mani. Quando la mette per terra, tra il primo passo e il ball-handling non puoi contenerlo. Quando si mette spalle a canestro è troppo alto e troppo lungo: al massimo puoi dargli fastidio, poi casomai inizi a pregare.

Ora è a Brooklyn, alla ricerca del suo terzo titolo e anche qui in discreta compagnia per raggiungere l’obiettivo. È vero, questo glielo si può imputare, ma ricordiamoci che è sempre a fine carriera che si tirano le somme. E non ci stupiremmo se alla fine sarà ricordato come la più grande arma offensiva della storia recente NBA.

Qui, alcuni dei suoi record raggiunti:

  • Primo “freshman” a vincere tutti i riconoscimenti come giocatore al college;
  • 2 volte campione NBA e 2 volte MVP delle Finali;
  • 2 medaglie d’oro Olimpiche;
  • MVP della stagione NBA 2014;
  • Giocatore più giovane ad entrare nel 50-40-90 club.;
  • Vincitore del titolo di capocannoniere per 3 stagioni di fila;
  • Vincitore del titolo di capocannoniere 4 volte;
  • 25 o più punti in 40 partite di regular season consecutive;
  • Secondo posto All-Time per numero di serie di playoffs concluse con una media di 25 punti o più.

“In tutto quello che faccio, cerco solo di essere me stesso.”

Kevin durant

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