Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti “I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

“I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

di Giacomo Seca
kevin durant contratto nets

KD 35

Contemporaneamente alla carriera negli AAU, c’è anche quella liceale. Ed è molto particolare.

Durant cambia tre high school diverse.

I primi due anni li fa alla National Christian Academy, a Fort Washington. Lì continua a crescere fisicamente e inizia ad allargare il suo gioco, anche grazie alle quotidiane 8 ore di allenamento a cui si sottopone.

Anche a causa di alcuni screzi con compagni di squadra più ”anziani” e dopo essere stato nominato dal Washington Post miglior giocatore dell’area di Washington, per il terzo anno Durant decide di andare in Virginia, alla Oak Hill Acadamy.

Per chi non lo sapesse, la Oak Hill è uno dei licei americani più preparato per la formazione cestistica. Una vera e propria fucina di talenti, che negli anni ha sfornato, oltre a KD, giocatori come Josh Smith, Rajon Rondo o Rod Strickland. Ah, sì, c’è anche un certo Carmelo Anthony in questo roster.

 Anche in Virginia il matrimonio non dura a lungo. Per l’ultimo anno di liceo, Durant ritorna in Maryland, alla Montrose Christian School allenata da Stu Vetter, vera e propria leggenda liceale tra i coach.

L’ultimo anno di Liceo è fenomenale: 23,6 punti e 10,9 rimbalzi a partita più i “consueti” riconoscimenti liceali.

Arriva il college, e KD, checché ne dica Ty Lawson, ha già scelto da tempo: giocherà per i Longhorns, University of Texas.

La crescita sia fisica che tecnica è esponenziale. Entra a Texas che è alto 206 cm. Un momento, ma è anche adesso alto così! Arriveremo anche a questo.

Comunque, è tutto il resto ad impressionare. Le sue mani dolci e morbide, il suo ball-handling che non può appartenere a uno della sua altezza, la capacità di prendere tiri diversi e di scegliere come e quando attaccare la difesa. Non si è mai visto uno così.

Quell’anno, quell’unico anno nei Longhorns, è da Libro dei Record.

25,8 punti a partita, 11,1 rimbalzi sono le sole statistiche. A rendere unica quella stagione sono però i premi: vince tutti e otto i riconoscimenti individuali, tra cui spiccano il John R. Wooden Award e il Naismith College Player of The Year.

Mai successo prima che un freshman, un ragazzo al primo anno, avesse quel tipo di credito.

A livello di squadra, invece, la stagione non è stata altrettanto gentile. Eliminata malamente al secondo turno dalla non stupefacente USC (Università della California del Sud). Per USC, in quella partita, da ricordare una grande prestazione di Daniel Hackett.

Finisce l’anno. Finisce anche la sua carriera universitaria. Lo sanno tutti, entrerà nella NBA. Ed è così. Dopo una stagione in Texas, si passa al piano superiore.

I Texas Longhorns decidono di ritirare la sua maglia. Il numero 35.

Già, il 35…

Charles Craig

Prima di parlare della sua carriera NBA, è doveroso fare un passo indietro.

Dopo la fine del liceo, Durant si è avvicinato all’università con tanti occhi puntati addosso e una acquisita profonda fiducia. Poco prima di entrare a Texas, nel 2005 precisamente, accade però qualcosa che cambierà per sempre la sua percezione delle cose. 

E qui che introduciamo la figura di Charles Craig. Probabilmente l’uomo più importante della sua vita giovanile.

Se abbiamo detto che Wayne Pratt, il padre naturale di Kevin, dopo tanti bassi e pochi alti inizia finalmente a far parte della sua vita dai circa 13 anni, prima di allora Durant aveva trovato un’altra figura paterna. Da quando ha all’incirca 8 anni, perché è lì che incontra Charles Craig. Alto circa un metro e ottanta, e di una corporatura che lo rende affabile solo a guardarlo. È per tutti, infatti, semplicemente Big Chucky.

Craig è uno di quegli uomini che passa il suo tempo cercando di non far provare ai ragazzi più giovani quello che ha passato sulla sua pelle.

Ogni giorno passa con il suo furgone, preleva un gruppo di bambini e li porta nella palestra del Seat Pleasant Activity Center, un centro ricreativo. Perché Chucky oltre che cercare di rendere meno amare alcune infanzie (interessanti qui i racconti di sua madre Claudette, che racconta di come si presentasse spesso a casa dicendole “Ehi mamma, qui ho un gruppo di bambini affamati, puoi dar loro da mangiare?”), fa anche l’allenatore. L’allenatore di basket.

Craig è fondamentale, tra le altre, per dare la possibilità a Durant bambino di poter giocare a basket quotidianamente, oltre l’insegnamento dei fondamentali.

Ma la vita è dura, e purtroppo arriviamo all’evento peggiore possibile.

30 aprile 2005, siamo fuori il J’s Sports Café, un locale di Washington. L’atmosfera non è delle più semplici, con una forte pioggia a farne da cornice. Quella sera Craig non è il Chucky che conoscono tutti, ma sta avendo un forte alterco con altre persone. L’alterco sfocia in una rissa, non esattamente questa sconosciuta da quelle parti. Ma quella notte è diversa. Craig, ormai stanco, decide finalmente di lasciare il locale: va nel parcheggio per riavviarsi a casa. Ma per qualcun altro, non è finita lì. Raggiunge Craig alle spalle, quando sta per salire in macchina, e spara diversi, fatali, colpi di pistola.

Kevin Durant ha 16 anni, a breve ne avrebbe compiuti 17. A breve sarebbe entrato al college e a breve avrebbe fatto il salto dai grandi.

Kevin Durant, poco tempo dopo quella notte, decide di indossare il numero 35. 35, come gli anni di Charles “Big Chucky” Craig quando morì.

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