Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti “I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

“I’m me, I do me and I chill”, la storia e la vita di Kevin Durant in 10 atti

di Giacomo Seca
kevin durant contratto nets

Nel 2002, il romanziere inglese Chris Greenhalgh pubblica uno scritto chiamato Coco & Igor, in cui ipotizza una plausibile relazione tra la stilista Coco Chanel e il compositore, nato in Russia, Igor Stravinskij. Dalla novella è stato tratto anche un film omonimo (più o meno riuscito) del 2009.

Ma perchè Greenhalgh ipotizza questa relazione? Partiamo dalla Russia.

Quando Igor Stravinskij si avvicina alla musica non è esattamente giovanissimo. Pur avendone conoscenza fin da piccolo, fino ai 20 anni Stravinskij si dedica ad altro, laureandosi addirittura in Giurisprudenza. Ma il destino è il destino, e a praticamente 20 anni inizia a capire che il suo è nella composizione.

Da lì è una escalation, anche grazie all’incontro che fa con Sergej Djagilev, un direttore artistico che vede in lui l’incredibile talento di cui è dotato e per cui inizia a scrivere le prime opere.

Il primo balletto scritto da Stravinsky è L’Uccello di Fuoco, del 1910, con cui inizia a stravolgere il mondo della composizione e fa intravedere quello che sarà il suo futuro.

E infatti, tre anni dopo, presenta, sempre sotto Djagilev, La Sagra della Primavera, un assoluto capolavoro. L’opera viene composta e presentata a Parigi, dove Stravinsky si è trasferito, e ha tra le sue particolarità quello che ha reso il compositore russo unico: la capacità di rielaborare i canoni classici della composizione, attraverso nuove regole e nuove messe in scena che assomigliano a quelle postmoderne.

E ad uno degli spettacoli parigini de La Sagra della Primavera, assiste proprio Coco Chanel. Per una delle maggiori icone culturali del ‘900 la visione del balletto è un vero e proprio colpo di fulmine, anche perchè è una concreta rappresentazione della sua massima principale: “La vera eleganza non può prescindere dalla piena libertà del movimento”. È quello che fa Stravinsky, in musica, reinventando.

La folgorazione di Chanel va anche oltre il semplice apprezzamento, perchè quando nel 1920 la compagnia di Djagilev ha gravi problemi finanziari, decide di realizzare lei stessa gli abiti di scena per La Sagra della Primavera.

Da qui inizia l’ipotesi di Greenhalgh, ma a noi importa relativamente. Quello che è interessante, è però il fatto in sé.

Perchè se la liaison è probabile frutto della fantasia, è vero invece che Chanel “compose” quegli abiti. Quello del 1920, perciò, è uno dei maggiori incontri artistici dell’eleganza, la raffinatezza e l’avanguardismo tra due Arti diverse.

Ma questa non è la monografia né di Stravinskij, né di Coco Chanel e nemmeno dell’eleganza.

Questa è la storia breve e in 10 parti di Kevin Durant. E allora perchè tutto questo preambolo?

Perchè Durant, nella pallacanestro, è proprio questo. È il post-modernismo di Stravinsky e l’eleganza di Chanel. Una rielaborazione del prototipo classico del giocatore (il cosiddetto “lungo”) dotato di una grazia che non si era mai vista prima e di una straordinaria capacità di messa in scena.

Sì, perché con mezzi fisici particolari e unici, a Durant è stata donata (e si è donato da solo) una raffinatezza nei diversi gesti tecnici, con il garbo degno di un compositore o di uno stilista. Una gioia per gli occhi a cui non eravamo stati abituati prima.

Wayne Pratt

Kevin Wayne Durant nasce in un fine settembre del 1988, a Washington D.C., e trascorre la sua infanzia nella contea di Prince George, nel Maryland, lo stato confinante alla Capitale (Washington D.C. non fa parte di nessuno stato, è un distretto federale). Curioso pensare che KD sia cresciuto nell’ambiente non troppo semplice di Prince George, quando qualche anno dopo (facciamo due estati fa per l’esattezza), dalla vicina Washington, gli avrebbero donato anche lo Smithsonian pur di farlo giocare per gli Wizards. Ma ci arriveremo.

Un’altra “curiosità”, se così vogliamo chiamarla, è che Kevin non nasce Durant di cognome. Durant, infatti, è il cognome di mamma Wanda, figura che rincontreremo in questo racconto e che è assolutamente la persona più importante della sua vita. E Wanda ha 21 anni quando partorisce il piccolo Kevin.

Il padre è Wayne Pratt, che non rappresenta solo l’ennesimo esempio di padre-che-chiama-suo-figlio-come-lui, ma anche, purtroppo, un altro caso di padre che abbandona il figlio. A 23 anni, Pratt lascia la famiglia, lascia mamma Wanda da sola a crescere sia Kevin che suo fratello Tony.

Wanda è costretta a far gli straordinari per far crescere in maniera adeguata i due piccoli. I suoi sforzi, alla fine, saranno più che ricompensati, ma potete solo immaginare quanto possa essere difficile, in quel tipo di situazioni, riuscire a riaggiustare pian piano i pezzi.

A differenza di altre storie simili (vedasi James Harden ad esempio), Wayne Pratt anni dopo è riuscito a tornare nella vita del figlio. Precisamente da quando ha 13 anni, quando ha iniziato a seguirlo, accompagnarlo e seguirlo specialmente tra i vari tornei di basket.

Anche Wayne sarà molto importante per e nella carriera di Durant (come vedremo). A testimonia, anche una commovente lettera scritta da Pratt nel 2018 per la festa del Papà, che potete trovare qui.

“Grazie per avermi perdonato e per averci permesso di avere l’ottimo rapporto che abbiamo oggi”

Wayne Pratt

La giovinezza

KD cresce con una sorella e due fratelli, tirati su sia da Gloria che dalla nonna, Barbara Davis, altra figura cardine. Specialmente con Tony, che ha due anni di più, ha un grande rapporto. Diverse le passioni in comune, soprattutto una: lo sport. E anche se la famiglia cresce nel Maryland, è nella vicina Washington che si strizza l’occhio per quanto riguarda il tifo.

E quando Durant inizia la high school, agli Washington Wizards chi è arrivato come giocatore? Michael Jordan, che incide definitivamente la passione per la palla a spicchi in KD. Piccola curiosità, alla fine di un torneo giocato al liceo, Durant, incoronato MVP, riceve il saluto proprio da sua Maestà.

Non è esclusivamente Jordan però che fa scattare in Durant la voglia della pallacanestro, a quello ci ha pensato (anche) madre natura. È il più alto, per distacco, della sua classe (1,83m a 13 anni), con gambe e braccia lunghe e magre.

In quegli anni Durant detesta il suo fisico, dicendo di “sentirsi in imbarazzo” data la differenza con gli altri della sua classe. Allora, mamma Gloria ha risolto il problema sia chiedendo ai suoi professori di metterlo sempre in ultima, sia dicendo al figlio “aspetta e vedrai, questo fisico ti porterà fortune”.

E qualche anno dopo, quello stesso fisico, lo aiuterà a diventerà il giocatore più singolare della pallacanestro contemporanea.

Le prime, vere esperienze nel basket avvengono nei soliti AAU (campionati americani per dilettanti) con i Prince George Jaguars, con cui: vince due campionati nazionali, comprende che il suo destino è nel basket che conta, conosce il suo migliore amico. Tale Michael Beasley. Quel Michael Beasley, uno dei talenti più nitidi e meno riusciti della storia recente della NBA.

Entrambi cresciuti senza padre, tra i due (e tra le loro madri) si crea una simbiosi sia in campo che fuori: dalla colazione alle partite, sempre insieme. Qualche anno dopo, i Jaguars si sciolgono e Durant va a giocare con i DC Blue Devils, dove condividerà il campo con Ty Lawson. Lawson, qualche anno dopo, farà di tutto per cercare di portare Durant a North Carolina ma, come vedremo, non ci riuscirà.

Per concludere questo paragrafo, non si può non citare quello che diventa a tutti gli effetti l’idolo di gioventù di KD: Vince Carter.

Lo rivela in questa intervista rilasciata poco tempo fa a Rachel Nichols, in cui afferma di essere cresciuto nel suo mito e che, da giovane, aveva manifestato la volontà di seguire la legacy di Vincredible ai Raptors.

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