Ogni anno ci sono sempre giovani guardie e ali nel draft NBA che vengono scelte nonostante abbiano problemi, più o meno seri, con il tiro. Da quando gli Spurs hanno scambiato George Hill per ottenere Kawhi Leonard nel 2011 e l’hanno trasformato in un potenziale MVP, “l’effetto Kawhi Leonard” sta prendendo sempre più piede.
Un non-tiratore con altre qualità, di solito fisiche, incredibili può facilmente convincere i front office del fatto che potrebbe essere il prossimo Kawhi. Dopotutto il tiro è forse l’unica caratteristica insegnabile del gioco, anche se si parte da basi non molto solide.
Per ogni Kawhi ci sono però un Tyreke Evans ed un Michael Kidd-Gilchrist che ancora oggi faticano a trovare la propria dimensione nel tiro da fuori. Puoi essere una trottola impazzita, uno schiacciatore fenomenale o un difensore incredibile: è il tuo jump shot che può convertire il tuo status da “role player” a “superstar”.
Su una cosa gli allenatori del tiro sono completamente d’accordo: non è mai troppo tardi per migliorare il jump shot.
Questo processo è avvenuto in modo estremamente rapido per Leonard, che ha imparato dal migliore dei maestri: Chip Engelland. Questi è infatti considerato da molti il migliore al mondo nel suo lavoro.
Aspettarsi un miglioramento del genere da qualsiasi giocatore è sbagliato. Kawhi è l’eccezione, non la regola.
Negli ultimi anni ci sono stati diversi rookie che sono entrati in NBA senza possedere l’abilità di segnare da fuori dal “day one”. In questa stagione Andrew Wiggins, Marcus Smart e Justise Winslow stanno vedendo le loro carriere sbocciare oppure rimanere impantanate. Tutto per merito, o colpa, del jump shot.