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Harden: il futuro del ruolo del playmaker

di Alessandro Cozzi

Mike D’Antoni l’ha reso ufficiale durante il training camp: James Harden è il nuovo playmaker degli Houston Rockets. Da un certo punto di vista, questo cambiamento è solo semantico. Harden la scorsa stagione ha avuto uno degli usage rate (statistica che misura il numero di possessi offensivi su 100 in cui il giocatore prende parte attivamente alla manovra della squadra) più alti nella lega, e avrà la palla in mano per la maggior parte dei possessi della sua squadra, a prescindere dalla sua posizione in campo. La differenza tra giocare guardia o play però conta, soprattutto per il giocatore che si troverà di fianco a lui, più che per Harden stesso.

I Rockets hanno cercato un compagno di reparto perfetto per Harden fin da quando è arrivato a Houston nel 2012. Una guardia che gioca accanto ad Harden idealmente dovrebbe avere il fisico e l’atletismo per difendere entrambe le posizioni del backcourt: in questo modo potrebbe marcare il giocatore più pericoloso degli avversari, lasciando ad Harden completa libertà dall’altro lato del campo. Oltre a ciò dovrebbe avere l’abilità al tiro necessaria per essere un buon target per gli assist del buon James, beneficiando così di diversi metri di spazio una volta che la difesa collassa sulle penetrazioni dell’ex OKC. Per ultimo, ma non meno importante, dovrebbe avere una certa dimestichezza con la palla tra le mani, per attaccare i closeout e creare occasioni per sé e i compagni, così l’attacco di Houston non sarebbe monodimensionale.

Le guardie che fino ad ora hanno occupato quel ruolo non hanno esattamente rispettato le aspettative:

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non proprio di fulmini di guerra, diciamo.

Cambiando almeno nominalmente la posizione di Harden in campo, D’Antoni come si suol dire dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Infatti è impossibile trovare un playmaker che giocando accanto a lui in campo lo possa complementare alla perfezione, perché di fatto è l’ex Arizona State ad essere il playmaker. La cosa più interessante in tutto ciò è che questo cambio di ruolo permetterebbe la squadra di affiancare ad Harden un 2 tradizionale, aumentando così le dimensioni del proprio reparto guardie, che non fa mai male.

Essendo James HardenHarden come direbbero negli USA 6-foot-5 (1.98 m) con una apertura alare di 6-foot-11 (2.10 m), in questo momento è uno dei play maggiormente dotati fisicamente della NBA. Il modo più facile per avere una buona difesa di squadra (in questo caso almeno accettabile) è sovrastare gli avversari per velocità e atletismo, e far giocare Harden accanto a un esterno sarebbe sicuramente un miglioramento rispetto a Patrick Beverly, che fisicamente fa fatica a stare dietro alle guardie più atletiche, nonostante sia un vero e proprio bulldog. Beverly infatti non brilla né per doti fisiche né per atletismo, perciò i Rockets non potrebbero sfruttare alcun mismatch nel caso in cui i team avversari decidessero di far marcare Harden da un esterno, cosa che invece avverrebbe nel caso in cui quest’ultimo giocasse accanto a una guardia pura.

Quest’estate i Rockets hanno firmato Eric Gordon con un contratto da 4 anni, $53 milioni e far giocare lui e Harden insieme sarebbe un boost immediato nella metà campo offensiva. Gordon nonostante gli infortuni si è dimostrato un ottimo tiratore (16.6 punti per partita con il 38.3% da 3 in carriera). Inoltre è in grado di segnare i tiri da 3 creati da Harden, e a sua volta crearli per quest’ultimo. I due si complementano alla perfezione dal punto di vista offensivo.

Gordon purtroppo non è mai stato considerato un buon giocatore dall’altro lato del campo, e ciò è stato aggravato dai numerosi interventi alle ginocchia che ne hanno limitato l’immenso atletismo mostrato i primi anni nella lega, ma la possibilità di farlo giocare in quintetto insieme ad Harden potrebbe essere troppo interessante per resistere per coach D’Antoni. Infatti non è mai stato un coach convenzionale (giocava con i  quintetti small ball con i suoi Suns anni prima che diventasse di moda) e non sarà di certo spaventato dall’idea di schierare quintetti atipici. Idealmente il sistema di D’Antoni prevederebbe 5 giocatori tra i 2 metri e 3 e i 2 metri e 6 capaci di giocare in tutte e cinque le posizioni, che corrono avanti e indietro per il campo prendendo decisioni veloci e tiri efficienti dall’arco o al ferro.

Le componenti principali dello spread pick-and-roll (utilizzato da D’Antoni a Phoenix a partire dal 2004, oggi utilizzato da quasi la totalità dei team) sono il ball handler, il rollante e i tiratori. Era rivoluzionario per l’epoca perché ha deciso di spostare Marion da 3 a 4, Stoudemire da 4 a 5, eliminando l’ala grande dal suo quintetto. Questo nuovo modo di schierare in campo, sebbene fosse spregiudicato creava costantemente tiri da 3 punti non contestati e schiacciate, i due tiri più efficienti della pallacanestro.

Oggi il resto della lega ha recuperato il divario creato da D’Antoni dal punto di vista tattico, andando addirittura a superarlo nel caso di Golden State e Cleveland, e ora l’allenatore dei Rockets ha bisogno di tirar fuori un altro asso dalla manica. Può succedere alle point guard tradizionali quello che è successo alle “veccD'Antonihie” ali grandi? Houston non è l’unico team che sta andando verso questa direzione. I Bucks stanno tentando una cosa simile con Antetokounmpo, e lo stesso fanno i Nuggets con Mudiay, i Lakers con Russel e  i Timberwolves con Dunn, giovani playmaker che si possono considerare per doti fisiche delle “combo guard”. Tutti loro potrebbero dare il meglio sul campo se affiancati da esterni “3 and D”, più che da un playmaker di 1.80 m.

Spostare i giocatori dal proprio ruolo, che essi considerano naturale, è un rischio ma il gioco vale la candela. Harden quest’anno sarà chiamato a fare una stagione da leader assoluto, e deve fare un grosso salto di qualità per quanto riguarda la leadership. Per la prima volta è il padrone assoluto della squadra e deve dimostrare di essere un possibile MVP guidando Houston a un buon piazzamento e, perché no, tentando di impegnarsi ogni tanto in difesa. In tal senso D’Antoni ha fatto la mossa migliore spostandolo a playmaker, mettendolo così ancora di più al centro del progetto. L’NBA moderna è una lega dei playmaker, ma il ruolo sta cambiando. Harden potrebbe essere il simbolo di questa rivoluzione, intanto come ha dimostrato alla prima stagionale, il talento non gli manca.

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