4. Breakout
La sua breakout season è in arrivo. È la stagione 2016-2017 e sveliamo subito il finale.
Alla fine dell’annata, Antetokounmpo diventa il quinto giocatore della storia a essere il leader della sua squadra nelle cinque categorie principali (punti, rimbalzi, assists, recuperi e stoppate). Vince il premio di Giocatore più migliorato (MIP) e riporta la squadra ai playoffs, i primi della sua carriera. Il cammino si interrompe subito, al primo turno, contro i Raptors.
Perdono 4-2, nonostante in gara 6 Giannis ne metta 34. Ma Milwaukee, da allora, è più che una buona squadra con un paio di potenziali buoni giocatori: il duo che arriverà in cinque anni sulla vetta del mondo ha iniziato a conoscersi ed apprezzarsi sempre di più. Anche Middleton, infatti, sta salendo di livello.
Quell’anno, inoltre, c’è un’altra enorme soddisfazione personale. Il 19 gennaio viene nominato, per la prima volta, nel quintetto titolare dell’All-Star Game, svolto a New Orleans. Diventa il più giovane giocatore della storia dei Bucks a partire in quintetto in un All-Star e, senza manco dirlo, il primo giocatore greco a farlo.
Già se fosse finita lì, la sua sarebbe stata una storia da film.
Alla fine dell’anno è ormai chiaro a tutti che si è davanti a qualcosa di nuovo, ma erano già in molti a sospettarlo.
Basta vedere all’inizio della stagione. Giannis firma il suo primo rinnovo: 100 milioni di dollari per i futuri 4 anni. Non sono pochi soldi, ovvio, ma non sono nemmeno esagerati rispetto ad altri contratti fatti. Di reazioni ce ne sono di ogni tipo, ma la tendenza generale è una: Giannis non è il “solito” giocatore da 100 milioni. Anzi, c’è chi già dice che Herb Kohl (allora proprietario dei Bucks) e la sua truppa hanno fatto il furto del secolo nel 2015, una delle steal of the draft per eccellenza. Ma quindi era stato scelto o no troppo in alto?
A posteriori, sono uscite fuori, come di consueto, molte più storie riguardo quella chiamata rispetto a quel che si pensava. Perché Giannis era sì un signor nessuno per tutti, ma non per alcuni GM della Lega.
Tant’è che la prima volta che mette piede in America non lo fa in Wisconsin, ma bensì in Georgia, a casa di Danny Ferry, GM degli Hawks, tre settimane prima della notte del Barclays Center. L’impressione era stata buona ed Atlanta era convinta di sceglierlo al draft. E chi era l’allenatore degli Hawks quel periodo? Proprio Mike Budhenolzer, colui che, alla fine, Antetokounmpo lo ha portato al titolo (o forse il contrario). Ma ci arriveremo.
Ora è il momento, quindi, di dare il merito dovuto all’allora GM dei Bucks, il grande John Hammond, che praticamente tre giorni prima del draft si reca in Grecia e parla con Alex Saratsis, l’agente di Giannis.
Hammond capisce due cose. Che A: il ragazzo di Sepolia è più conosciuto di quello che sembra (già dall’anno prima c’era qualcuno che voleva prenderlo a tardo secondo giro e “nasconderlo” in qualche squadra europea); B: è più forte di quello che poteva immaginare.
Hammond fa con Saratsis un accordo verbale: “se Giannis accetta di venire in Wisconsin, noi lo chiamiamo alla 15”. Saratsis conferma, Masai Ujiri, neo-GM dei Toronto Raptors fa di tutto per cercare di avere una scelta più alta di Milwaukee ma non riesce e Hammond chiama il greco alla 15, facendo disperare anche gli Hawks che avevano, indovinate, la scelta numero 17 e 18.
Il resto è storia.
“John Hammond mi ha arruolato, ha creduto in me, ha creduto nella mia famiglia, li ha portati qui. Mi ha fatto sentire a mio agio. Mi ha fatto sentire come se fossi suo figlio quando avevo nostalgia di casa ed ero da solo in albergo”.
Giannis Antetokounmpo