Home NBA, National Basketball AssociationApprofondimenti Giannis Antetokounmpo: la storia del “re che è arrivato dal mare”

Giannis Antetokounmpo: la storia del “re che è arrivato dal mare”

di Giacomo Seca
Giannis Antetokounmpo

3. Welcome to the NBA

Il sogno del Zaragoza è durato praticamente 227 giorni. E poi è iniziato quello di Giannis.

Adesso gioca nella NBA e fino a due mesi prima non era nemmeno cittadino di una nazione. A dir poco incredibile.

L’interesse c’è, sono tanti a voler scoprire cosa c’è in quel ragazzo, e si deve ammettere che raramente l’aggettivo di “diamante grezzo” è stato più calzante.

Ma il soprannome che presto gli viene affibbiato è un altro, e che col tempo è diventato decisamente iconico: The Greek Freak. L’origine non se la ricorda nemmeno lui, pare che sia dovuta a qualche gesto barbaro fatto in allenamento. Ma più semplicemente lo hanno iniziato a chiamare così perché nessuno era in grado di pronunciare correttamente il suo cognome. In entrambi i casi, non fatichiamo a crederci.

Freak in inglese ha diversi significati, quelli che interessano a noi possono essere in particolare due: “fenomeno”, che calza abbastanza, ma soprattutto “anomalia”.

Nonostante sia enormemente acerbo, inesperto, con palese mancanze tecniche e di giocato, è chiaro a tutti dall’inizio (specialmente a chi ha la possibilità di vederlo da vicino) che quel ragazzo ha davvero qualcosa di diverso.

Ed è stato baciato da madre natura. Le sue leve sono lunghe, infinite, a cui abbina una innata velocità di apprendimento e un trattamento della palla non incredibile ma sicuramente non comune per uno di quell’altezza. E per quello dobbiamo ancora tornare a Spiros, che lo faceva giocare da guardia per sviluppare quel lato del gioco.

E un’altra cosa importante, è che nonostante non venga scelto troppo in basso, con lui Milwaukee ha la lungimiranza di andare piano. Non c’è bisogno di forzare la mano e non c’è la volontà di vedere da subito un impatto vero e proprio in partita. Forti anche del fatto che, alla fine della stagione 2012, i Bucks decidono di ripartire da zero.

Eliminati 4-0 dagli Heat futuri campioni, Milwaukee ricostruisce mandando via Brandon Jennings e Monta Ellis, le stelle della squadra, e ripartendo prendendo Giannis al draft e, nello scambio per Jennings, un giovane al secondo anno in cui i Pistons non hanno creduto molto: Khris Middleton.

Possono iniziare così gli anni della transizione.

All’interno del sistema Bucks, in una squadra lontana dai riflettori sportivi e in una città molto lontana dalle sirene della movida, Giannis inizia a scoprire sé stesso e un mondo a cui non avrebbe mai immaginato di appartenere.

Gli aneddoti fuori dal campo sui suoi primi anni sono parecchi, tutti molto già letti. Da un lato è come un bambino, con una purezza nelle reazioni e una spontaneità non vicina a quella che è il campionato con più testosterone del mondo. Da un altro lato, è già più uomo del dovuto, dopo tutto quello che ha passato. Questo insieme di cose lo porta ad assorbire ed apprezzare ogni novità che si presenta, rimanendo però il ragazzo che faceva il venditore ambulante per far mangiare sé stesso e la famiglia. Non devono stupire perciò, conoscendo il background, i famosi episodi della Playstation regalata o della strana cena al ristorante con il fratello.

Volendo riassumere, parte della sua forza è data chiaramente dalla sua genuinità mascherata da ingenuità.

Sul campo, come detto, non è semplicissimo. Ma fretta non c’è.

Il primo anno le partite sono tante, i punti pochi (6,8 di media), ma ci sono tante giocate che fanno strabuzzare gli occhi e che spesso si concretizzano in stoppate elettrizzanti. A fine stagione è selezionato per la seconda squadra NBA All-Rookie.

Il secondo anno i numeri crescono, i punti diventano quasi 13, partecipa allo Slam Dunk Contest e fa segnare a marzo, contro i Pelicans, il suo career high di 29 punti a cui aggiunge 12 rimbalzi.

Il marmo inizia a scolpirsi.

E poi arriva la stagione 2015-2016. L’ultima prima dell’esplosione.

I punti salgono a quasi 17, e arrivano altre soddisfazioni personali, tra cui l’aver contribuito in maniera decisiva a far perdere agli Warriors la loro prima partita dopo l’inizio da 24-0 (sì, era la stagione del 73-9 di Golden State). Ma quello che più impressiona è la crescita fisica e tecnica.

Ha messo su tanti muscoli, ma non ha perso in agilità e velocità. In molti riguardano al draft 2015 e, soprattutto chi aveva storto il naso, ha già iniziato il processo di pentimento.

Il Greco sta diventando l’Anomalia.

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