Stati Uniti e Australia a confronto
Nella lotta verso la medaglia d’oro ai giochi Olimpici di Rio 2016 sono rimaste solo 8 squadre: Croazia, Serbia, Lituania, Argentina, Spagna, Francia, Australia e Stati Uniti. Le nazionali più discusse sono state proprio quest’ultime due. Gli oceanici sono stati sulla bocca di tutti visto il loro impressionante exploit che li ha portati ad un passo dagli americani, sia in classifica che nello scontro diretto. Team USA è stato invece molto chiacchierato a causa delle partite con Australia e Serbia, in cui la vittoria si è decisa solo negli ultimi minuti di gioco.
Prima di trarre conclusioni affrettate bisogna però analizzare il contesto ed i fattori in gioco. Questa edizione delle Olimpiadi è infatti la più popolata di giocatori NBA di sempre: sono presenti ben 46 atleti da 23 diversi team della lega americana. Evidentemente l’associazione guidata da Adam Silver è ormai un fenomeno globale e raccoglie talenti da ogni angolo del pianeta, che inevitabilmente si ritrovano sui parquet di Rio. Altro fattore molto importante è l’unicità di ogni evento, che rende quindi ogni partita una sorta di finale per chi la gioca.
Detto questo possiamo comunque analizzare in modo obiettivo i meriti e i demeriti delle due squadre evidenziate.
Bene Team USA, meno bene gli altri
Nonostante le assenze importanti (James, Curry, Westbrook, ecc.) il Team USA rimane la squadra favorita per la conquista del gradino più alto del podio. Il talento dei 12 convocati da Coach K è indiscusso e in diversi momenti di queste prime partite abbiamo potuto assistere alla loro netta superiorità rispetto agli avversari. Il palleggio di Kyrie, lo strapotere fisico di Cousins e Jordan e l’esperienza di Anthony sono solo alcuni dei fattori che mostrano il divario tra gli atleti americani e il resto del mondo.
La possibilità di schierare 12 giocatori di altissimo livello obbliga gli avversari a mantenere un’intensità di gioco elevata per tutti i 40 minuti di partita. Lo sforzo viene inevitabilmente pagato nei minuti finali degli scontri, durante i quali i talenti americani possono esprimersi al meglio e conquistare la vittoria. Questa abbondanza di campioni permette, inoltre, di non avere un unico punto di riferimento per i momenti decisivi, costringendo le difese avversarie a lavorare su tutti i giocatori in campo, nessuno escluso.
Le frecce in faretra di Australia & Co.
Come detto ci sono due squadre in particolare che hanno dimostrato di essere all’altezza dei campioni olimpici uscenti: Australia e Serbia hanno fatto sudare freddo tutto lo staff USA sfruttando i propri punti di forza e attaccando le debolezze degli americani. Sì perchè oltre al talento Team USA mette in campo anche una serie di difetti che potrebbero finire per costargli caro. Anche Paul George ha avvertito i compagni della pericolosità di questi problemi, sia difensivi che offensivi. Sia australiani che serbi hanno dimostrato di saper giocare di squadra e di sapersi muovere molto in attacco, anche senza palla. Blocchi, tagli backdoor e pazienza sono le armi usate dagli avversari degli americani per metterli in difficoltà, i quali spesso e volentieri comunicano male in difesa e finiscono per dimenticare qualche avversario, che puntualmente li punisce.
Gli australiani possono vantare due campioni NBA, secondi a nessuno in questi fondamentali, come Andrew Bogut e Matthew Dellavedova, che hanno trovato un ottimo feeling in campo. Il lungo ex Warriors ha dato sfoggio non solo delle sue abilità nel portare blocchi per liberare i compagni, ma anche della sua intelligenza cestistica nel leggere gli errori della difesa americana, punendola con tagli backdoor e passaggi illuminanti. Il playmaker dei neo campioni NBA ha, invece, dimostrato la sua capacità di leggere le intenzioni dei compagni e la sua incredibile dedizione al sacrificio e al lavoro duro, correndo dal primo all’ultimo minuto sia in difesa sia in attacco. Se si aggiungono due specialisti del calibro di Patty Mills e David Andersen si ottiene una squadra che può seriamente intaccare la solidità dei campioni olimpici. La panchina riserva ancora due nomi NBA come Joe Ingles e Aron Baynes, che non avranno il talento dei loro compagni americani, ma all’interno del sistema di gioco degli oceanici sembrano trovarsi a meraviglia.
Quest’anno per Team USA ci sarà quindi qualche grattacapo in più lungo la strada che conduce alla medaglia d’oro. E chissà che qualcuno non riesca anche a soffiargliela da sotto il naso..