Home NBA, National Basketball AssociationLeBron James Charles Barkley smonta le speranze dei Lakers: “Non sono un top team, LeBron ha scelto Hollywood”

Charles Barkley smonta le speranze dei Lakers: “Non sono un top team, LeBron ha scelto Hollywood”

di Michele Gibin
Charles Barkley

Charles Barkley non poteva certo esimersi. Nelle ore e giorni immediatamente successivi il passaggio di LeBron James ai Lakers, sostanzialmente chiunque s’è sentito in dovere far sapere la propria opinione. Ci sono quelli che “ha fatto bene”, quelli che “ha fatto male”, quelli che “è già d’accordo con Kawhi (forse)-George (nope)-Durant (parliamone)…” Quelli che “devi restare a Cleveland, sei già nella leggenda. Anzi, no” (grazie, Shaq). Quelli che sagacemente si chiedono quanto varrebbe James in un mercato libero come quello del calcio (ESPN), visto l‘affaire Cristiano Ronaldo. E chissà cos’altro.

Anche Charles Barkley ha dunque detto la sua sulla questione. “Sir” Charles è uno che – per cogliere un esempio tra mille – nel lontano 1992 a Barcellona rispose “Non so un tubo di Angola, ma so che per Angola saranno guai grossi” a chi gli chiedeva cosa sapesse di Angola (nazione o annesso team, poco importa), futuro avversario del Dream Team alle Olimpiadi. Il pensiero di Barkley non può essere pertanto assegnato alla categoria “frasi di circostanza”.

In una conversazione telefonica con Ben Golliver di SportsIllustrated, e successivamente durante un evento promozionale organizzato da Panini America (la celebre compagnia produrrà card, palloni, magliette e memorabilia in edizione limitata autografati dall’ex Phoenix Suns), Barkley ha dunque risposto alle inevitabili domande su LeBron James ed i Los Angeles Lakers.

Charles Barkley su LeBron ed i Lakers: “James vuole Hollywood, i Lakers non mi piacciono”

Così Sir Charles a Ben Golliver di SportsIllustrated:

Speravo (James) rimanesse a Cleveland. Vedo il suo trasferimento a L.A. come una pura questione d’affari. LeBron è nella fase discendente della carriera, vuole diventare un ‘pezzo grosso’ (“mogul” è la parola usata da Barkley, ndr) ad Hollywood. In futuro, si ritroverà a guidare lungo la spiaggia tutti i giorni, invece di perdersi in mezzo alla neve (a Cleveland). I Lakers non sono neanche lontanamente un top team, assomigliano più ad una quinta o sesta testa di serie ad ovest, al massimo

– Charles Barkley su James e Lakers –

LA Bron

Dopo essersi assicurati James, i Lakers non hanno trovato (voluto trovare?) l’accordo con i San Antonio Spurs per portare Kawhi Leonard in California, ed una volta sfumata l’ipotesi Paul George, il duo Magic Johnson-Rob Pelinka ha preferito affidarsi a provati veterani (Rondo, Caldwell-Pope, “Born Ready” Stephenson, Beasley, JaVale McGee, rigorosamente firmati con contratti annuali), proseguire nello sviluppo del giovane quartetto Ingram-Ball-Kuzma-Hart, e soprattutto risparmiare in vista della free agency 2019 (Leonard, Jimmy Butler, Irving, Durant, Klay Thompson anyone?).

A Charles Barkley, manco a dirlo, la strategia dei Lakers non convince per nulla. Intervistato a latere dell’evento Panini di cui sopra, Chuck esprime un giudizio piuttosto tranchant: “È una situazione ingestibile per Luke Walton. Avrà LeBron che vorrà fare a modo suo, avrà questi giovani che ne rimarranno completamente ammirati. Avrà poi questo nucleo di veterani con le loro pretese. Non credo che Lance (Stephenson) o Rondo accetteranno di fare i noni o decimi della rotazione tutto l’anno senza dire una parola. Vorranno minuti e possessi“.

Barkley vede in tale situazione un ostacolo per la crescita dei Ball e Ingram di questo mondo: “Non mi piace cosa stanno facendo (i Lakers). Finirà per nuocere ai giovani nel roster. Ball, Ingram, Kuzma sono buoni giocatori, e vuoi provare a farli crescere. Con tutto quello che si verrà a creare, non credo che sarà un ambiente giusto per loro“.

La decisione di LeBron James ha chiaramente connotati che – come peraltro sempre sostenuto da LeBron stesso – vanno oltre la pallacanestro. James è ormai personaggio attivo in tanti ambiti, è un prossimo leader della comunità afroamericana. È il volto pulito della NBA, esattamente come lo furono all’epoca Michael Jordan (scommesse a parte…) ed il suo prossimo presidente Magic Johnson. Dopo 15 stagioni, otto finali, tre titoli ed infiniti riconoscimenti e record personali, il palcoscenico del miglior giocatore di sempre (oh, yes) è diventato più grande di un rettangolo di gioco, di un’arena, o di una franchigia NBA. Quel palcoscenico è oggi grande come L.A.

 

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