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Boston, il futuro nelle mani di Ainge tra Draft e Free Agency

di Rosario Forlano

Cambiare è facile ma se pensate che massicce e ripetute operazioni di mercato siano la soluzione ai problemi di una franchigia basta citofonare a Thunder, Suns, Lakers, Heat e Bucks per fugare ogni dubbio. Dovessero rispondervi, vi diranno che no, cambiare non è sinonimo di migliorare; almeno in NBA.

Quando trovi la quadratura del cerchio, quindi, bisogna andarci cauti, ma allo stesso tempo essere pronti a far fronte agli imprevisti. Quando poi gli imprevisti sono di quelli da catalogare sotto la voce Playoff l’euforia sale di colpo, e di punto in bianco la parola rebuilding perde l’amara accezione che ha preso per diventare sinonimo di opportunità e diventare più appetibile agli occhi dei Free Agent. Alzi la mano infatti chi si sarebbe aspettato che dopo il record di 25-57 dell’anno scorso, condito con la cessione a Dicembre della stella della franchigia, Rajon Rondo, diventato oggetto misterioso prima e sacrificabile poi in quel di Dallas, e quella di Jeff Green a Gennaio ai Grizzlies, un approdo dei Celtics ai Playoff 2015.

I Celtics sono andati avanti dritti per la loro strada, con un allenatore al suo secondo anno, firmato per 6 anni, Brad Stevens. L’ex allenatore dei Bulldogs ha da subito portato alla squadra la sua tranquilla leadership e la sua sapienza tattica: fatta di blocchi solidi, tagli efficaci, decisione rapide e molto movimento di palla. Lo step successiovo è stato fatto dalla dirigenza, che ha portato in quel del Massachussets Isaiah Thomas, subito diventato idolo indiscusso del TD Garden, Jonas Jerebko e il Nostro Luigi Datome, la cui riconferma sembra sempre meno un miraggio. Una squadra senza la stella, poco “vendibile”, ma con quello spirito operaio che a Boston piace tanto. Con questi effettivi, dopo l’All-star Game i numeri sono di 19 vittorie e 11 sconfitte, che portano il totale a 40-42. Playoff raggiunti, quindi, con la testa di serie numero 7 ad Est e primo turno che dice Cleveland Cavaliers: un po’ come scalare l’Everest con un triciclo. E infatti i Leprechauns subiscono un sonoro Sweep per mano del Re e dei suoi. Questo però è il passato, il presente è caratterizzato dalle opportunità, che in questo giochino si chiamano Free Agency e Draft, alle quali i nostri si presentano quasi con l’obbligo di portare a casa un vero big-man che dia un po’ di protezione sotto canestro.

Free Agency:
La palla, a spicchi, passa ora nelle mani sapienti di Danny Ainge. Nonostante questa Free Agency sia meno folta della passata, vede un buon numero di giocatori utili alla causa. Se ne ha per tutti i palati: Unrestericted, Restricted e Player Option; basta saper scegliere. Ovviamente le cose non sono facili come potrebbero sembrare: le variabili sono molte e molti General Manager si troveranno a far fronte ad un cambiamento epocale, l’innalzamento del tetto salariale di almeno 20 milioni. Va da se che firmare grandi nomi diventa più difficile in questo anno di transizione. I Celtics però hanno una buona situazione salariale, per la prima volta dopo anni, e avranno spazio, che è un po’ come dire “obbligo” di firmare un Free Agent al massimo salariale. In soldi, lo spazio si attesta sui 40 milioni, ai quali andrebbero aggiunti, non dovessero essere pareggiate le QO, quelli derivati dalla mancata riconferma di Jae Crowder e il Nostro Luigi Datome. Nella peggiore delle ipotesi, rifirmando Crowder per cifre ragionevoli e a netto dei contratti dei restanti giocatori della rotazione e i rookie, si avrebbero 20 milioni freschi freschi. Oltre a questi venti milioni Ainge ha un totale di oltre 26 milioni di TPE, da usare in alternativa allo spazio salariale, oltre alla montagna (leggi 4) di scelte ed i contratti in scadenza di Gerald Wallace e Evan Turner che saranno unrestricted nel 2016. Non è quindi detto che gli obbiettivi di Ainge possano essere proprio i Free Agent, ma è comunque un’opzione assai plausibile. I nomi caldi sono LaMarcus Aldridge, Kevin Love e Greg Monroe Se per quanto riguarda il Californiano in maglia Cavs sembra esserci stato un ritorno di fiamma condito dalla volontà di restare ancora al fianco del Prescelto, nonostante i problemi incontrati in questa sua prima esperienza da secondo, se non terzo, violino per dare la caccia a quelle Finals che i suoi giocheranno ma che lui potrà guardare solo da bordocampo, complice l’infortunio procuratogli proprio da quello che avrebbe potuto essere, pre dichiarazioni di amore alla causa Cavs, un suo nuovo compagno di squadra, Kelly Olynik. Dovesse Love ripensarci andrebbe ad aprire ulteriormente il campo e costituirebbe l’opzione offensiva per eccellenza, dati gli schemi di coach Stevens. Di contro però c’è da dire che, nonostante quest’anno sia cresciuto anche nella metà campo difensiva, lo 0 dei Cavs non sarà mai il rim-protector che Boston cerca.
La pista Monroe sembra molto più praticabile. Il lungo, Unrestricted Free Agent in forza ai Detroit Pistons, non ha mai negato la volonta di cambiare aria e Boston guadagnerebbe un lungo di 2 metri e 11 da piazzare sotto canestro. Non di certo uno per il quale dilapideresti i miolioni, ben messi da parte, ma un giocatore solido e affidabile dalla lunetta, per il telaio che si porta dietro (201 su 273 lo scorso anno e 270 su 392 nella stagione appena conclusasi) e difensivamente molto più presente ed efficace dell’opzione Kevin Love. Last but not the list, LaMarcus Aldridge. Il texano in uscita dai Trail Blazers, deludenti in questa postseason anche se giustificati dall’infortunio di Wes Matthews che lo ha tenuto lontano dai Playoff, sembra però già essere promesso sposo dei campioni in carica, ancora per qualche giorno, i San Antonio Spurs. Dovesse cambiare idea e cedere alle lusinghe, franchigia più titolata dell’NBA prenderebbe due piccioni con una fava: un All-Star capace di numeri offensivi praticamente ineguagliabili dalle altre PF della lega, e una buona, anche se sarebbe meglio dire discreta, presenza difensiva.

Draft:
Certo, illudersi che il Draft, date le scelte basse a disposizione, possa essere determinante è quantomeno utopistico. Quattro sono le scelte a disposizione dei Boston Celtics: la 16°, la 28°, la 33° e la 45°. Non certo di quelle che ti fanno fare il salto di qualità, ma se si pensa che Ginobili nel 1999 venne chiamato con la 57, per non citare i vari Stockton (chiamato da Utah alla 16; stessa scelta nelle mani di Boston) mai disperare. La prima chiamata dovrebbe essere spesa per uno fra Sam Dekker, il compagno in maglia Badgers Frank Kaminski, anche se le sue quotazioni stanno prendendo sempre più quota portando il “Tank” più in alto nel Draft, Rondae Hollis-Jefferson, specialista difensivo, e Trey Lyles . Chiunque dovesse essere la scelta faticherà non poco anche solo a trovare un numero da indossare, data la lunga sfilza di numeri ritirati dai Leprechauns; che avranno si faticato in questi anni, ma gattopardescamente non hanno mai perso il loro animus pugnandi e aspettano il prossimo, ed ennesimo, Happy Ending!

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