Golden State Warriors
L’ultimo anno di college è stratosferico per numeri, meno per risultati. I suoi 28,6 punti a partita lo posizionano primo in tutta la NCAA. Davidson fallisce la qualificazione al torneo di marzo e finisce così la sua avventura universitaria, dopo aver distrutto tutti i record per triple realizzate.
Il 25 giugno 2009 è il giorno del draft. 12 anni fa. Nonostante le sue eccezionali doti di tiratore, passatore (quasi 6 assist di media a partita) e balistiche, le prime squadre a chiamare non sembrano interessate al figlio di Dell. Siamo alle solite: con quel fisico, di strada non ne farà poi così tanta.
Anche qui ci serve un allenatore visionario, e questa volta chi ci viene in soccorso è Don Nelson, il coach con più vittore nella storia della NBA: 1335.
Quando Nelson ricorda quel draft rimane ancora sorpreso. Si chiede come sia possibile che nessuna squadra abbia visto quello che per lui era chiaro. E cioè del fenomeno che era Stephen Curry. Non che alcune scelte prima di lui siano stato malaccio, con Blake Griffin alla numero 1 e James Harden alla numero 3. Dei Kings che scelgono Tyreke Evans alla 4 nemmeno ne parliamo. Certo che però, cara Minnesota, va bene Rubio che era considerato come il possibile crack venuto dall’Europa (preso alla 5), ma scegliere Jonny Flynn alla numero 6, prima di Steph, suona come una bestemmia.
Però la storia è fatta di sliding doors, e la porta giusta la aprono gli Warriors, selezionandolo alla numero 7.
Il problema iniziale è che in squadra c’è un certo Monta Ellis, grandissimo giocatore offensivo e indiscussa stella della squadra. Ma Don ha le idee chiare: Ellis giocherà da shooting guard, e al numero 30 verranno date le chiavi dell’attacco, sarà lui la point guard titolare.
In pochi, fino a quel momento, avevano visto Curry come un potenziale playmaker.
Il primo anno da rookie è molto buono, con ottime medie e da segnalare una tripla doppia da 36/13/10 contro i Clippers. Alla fine dell’anno, sarà record per triple segnate da un Rookie. Ma dai?
Anche la seconda stagione è buona, si inizia a scavare l’iceberg di quel che sarà.
Poi arriva la stagione 2011\12, la stagione del lockout. Curry gioca 26 partite, ne salta 40 per un grave problema alle caviglie.
Già, quelle caviglie maledette che fecero storcere più di un naso quando, in quell’estate, Golden State è convinta del talento del 30 e gli fa siglare un accordo da 44 milioni per 4 anni.
“Sono troppi soldi, non durerà con quelle caviglie” dicono tutti. Quel contratto, a conti fatti, risulterà essere la più grande mossa di un front-office della storia recente NBA.
In quegli anni, prima della stagione del 2012\13, succedono diverse cose importanti. Le riassumiamo:
- febbraio 2011. Don Nelson viene esonerato, la dirigenza vuole un allenatore giovane. Nel giugno di quell’anno, viene assunto Mark Jackson.
- draft del 2012. Golden State sceglie alla numero 35 (3-5) Draymond Green, l’orso ballerino.
- marzo del 2012. “The Mississipi Bullet”, a.k.a. Monta Ellis, capisce che gli Warriors non hanno intenzione di continuare a puntare su di lui. Chiede lo scambio e va a Milwaukee per Andrew Bogut e Stephen Jackson. Una trade a cui fece seguito una rivolta popolare di tanti tifosi Warriors.
Oltre alla crescita del 30, c’è un altro motivo per cui Ellis capisce che è diventato di troppo. Quel motivo ha un nome e un cognome. E anche una data: 23 giugno 2011, la notte del draft. Alla numero 11, Golden State sceglie Klay Thompson.