“Signor Marcus, non mi stupirebbe se Orson Welles fosse la minaccia più grossa piovuta a Hollywood da anni”
Questa frase è scritta da Francis Scott Fitzgerald, in una serie di racconti riguardanti il cinema e pubblicati su Esquire nel 1940. Chi la pronuncia è uno dei suoi personaggi fittizi: Pat Hobby.
Fitzgerald, oltre che un geniale scrittore, è stato anche un amante e profondo conoscitore dell’arte cinematografica. E infatti, le parole che mette in bocca a Hobby risulteranno, a posteriori, come una precisa profezia. Perché?
Orson Welles è uno di quegli artisti che passano una volta sola, uno che il cinema l’ha fatto e l’ha fatto a suo modo. Innovatore e senza compromessi, Welles è divenuto nel tempo una imprescindibile icona artistica, ispiratore di intere generazioni e che a suo tempo fu responsabile di un vero e proprio stravolgimento del mondo cinematografico. Ma in che senso?
Passo indietro. Il cinema, già da qualche anno prima, diciamo dal 1929, sta attraversando profondi cambiamenti. Due i motivi principali.
Uno è interno, perché quelli sono gli anni dell’avvento del sonoro, la cui attuazione diventa paradossalmente più difficile a parole che nei fatti, dato il lungo filosofeggiare sui perché sì e i perché no.
L’altro è esterno, visto che in tutta America c’è la crisi, La Grande Depressione.
E in questo clima di incertezze, a Hollywood si stabilizza e si cementa il cosiddetto Studio System. Un modo di produzione in cui c’è la figura predominante del produttore a mo’ di “tiranno illuminato”, che non è soltanto la persona più importante del film, ma decide lui e solo lui per ogni step della filiera cinematografica.
In questo contesto viene fuori Welles. E la sua uscita sarà un fulmine a ciel sereno. Nel 1939 (un anno prima del racconto di Fitzgerald), a soli 24 anni, firma un contratto senza precedenti con la casa di produzione RKO: era libero di poter fare i film come avrebbe voluto. Mai nessun’artista prima di lui aveva avuto quel tipo di indipendenza e di autonomia su ogni singolo aspetto nella creazione dell’opera.
Nell’era dominata indiscutibilmente dalle case di produzione, questo contratto iniziava a minare quello che sembrava un incrollabile muro.
E il muro scricchiola definitivamente nel 1941, quando esce Citizen Kane, Quarto Potere: primo risultato della collaborazione con la RKO.
Ed è anche il primo film in assoluto di Welles, e il suo maggior capolavoro.
Sarà una vera e propria rivoluzione.
Diventato uno dei più grandi film della storia e definito “un labirinto senza centro” in una celeberrima recensione cinematografiche fatta da Luis Borges, possiamo dire che Quarto Potere ha distrutto le regole su cui fino ad allora era costruita la grammatica del cinema.
La profondità di campo, l’utilizzo della luce, il modo con cui è scritta e raccontata la storia e tanti altri elementi che non si erano visti prima, da lì in poi entreranno a gamba tesa nella settima arte, segnando un inevitabile punto di non ritorno.
Ma probabilmente, tra tutte le cose, quello che più di altro il film di Welles cambiò, è la libertà di sguardo offerta allo spettatore. Una libertà che il cinema non aveva mai offerto.
Alla fine, anche per altri eventi contingenti (alcune leggi in America, l’avvento della televisione), lo Studio System crollò qualche anno dopo. Ma Welles e quel film rappresentano il primo punto di singolarità in un sistema che sembrava particolarmente delineato e definito.
E non solo.
Perchè con il suo innovare e con la sua ineguagliabile bellezza, Quarto Potere divenne ispiratore di un’infinità di registi negli anni successivi.
Perciò chiudiamo con un’altra citazione, quella di un altro genio come François Truffaut:
“Appartengo a una generazione di cineasti che hanno deciso di fare film avendo visto Quarto potere.”
Ecco, Stephen Curry è l’Orson Welles (o il Citizen Kane) della pallacanestro moderna.
Perchè l’ha stravolta, l’ha cambiata drasticamente. Con un modo di giocare che sta ispirando e ispirerà generazioni di cestisti a venire. E offrendo anche lui una libertà di sguardo che non si era vista prima.
Può piacere e può non piacere, tra chi rimane attaccato ad antichi precetti e rifiuta l’evoluzione (in questo modo) del Gioco e chi invece abbraccia questo tipo di rivoluzione. Perchè “cambiare le regole” non significa soltanto una modifica dell’approccio dei giocatori, ma anche della tattica, del coaching, della preparazione e dell’allenamento.
Sarebbe successo lo stesso senza lui? Sì. Ma ci dev’essere sempre qualche innovatore, qualche avanguardista che volendo o non volendo emerge, portando alla luce quello che poi sarà.
Perchè, tra tutto e soprattutto, il basket non si guarderà più indietro.
Questa è la sua storia, in ordine cronologico e raccontata in 10 fatti.