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Nikola Jokic, la rivoluzione arriva da Sombor

di Giacomo Seca
nikola jokic

Giugno 2017

E questa volta, al posto di partire dall’inizio, per capire il mondo del centro serbo, possiamo iniziare di nuovo da un giugno, quello del 2017.

Siamo alla della sua seconda stagione nella lega, quella che, come vedremo, lo ha messo sulla cartina di (quasi) tutta la NBA e che gli ha fatto conquistare definitivamente un posto in quintetto nei Denver Nuggets.

Michael Malone, arrivato a Denver nello stesso anno di Jokić, ha la buona abitudine di conoscere a fondo i suoi giocatori, specialmente quando questi: A) sono giovani, B) sono potenziali stelle.

A giugno, perciò, decide di partire in direzione Sombor, la città natale di Jokić.

Sceso dall’aereo, ad aspettarlo c’è Nemanja, il fratello di mezzo dei tre Jokić (l’altro è Strahinja), che lo prende e lo carica in direzione… ippodromo!

Eh si, perché la passione più grande del neo-MVP NBA non è il basket, macché. Bensì l’equitazione, i cavalli. Cosa avrebbe fatto se non il giocatore di basket? “Sarei uno stalliere”, risponde Nikola. E non scherza.

Proprio qualche mese prima, Jokić “il piccolo” ha infatti coronato il suo sogno da bambino: ha comprato Dream Catcher, uno splendido cavallo con cui conta di vincere qualche gara di ippica e il quale è diventato uno dei suoi migliori amici. Perché, a detta sua, “lui non parla, e a me va bene così. Ma io posso parlare con lui”. Quel giorno, dunque, si va all’ippodromo, con Dream Catcher che è ancora alla ricerca della prima vittoria in carriera.

Sarà la presenza dell’allenatore che porta fortuna, ma quella sera Dream Catcher ce la fa, vince la gara. “Coach, questo non è un buon segno”, dice Nemanja a Malone.

L’allenatore non capisce, ma il significato è presto chiaro: non importa che sulle spalle ci sia un jet-lag abbastanza importante o che tu sia praticamente il capo di mio fratello, se sei venuto dagli USA per vivere come vive la tua stella, devi fare come ti diciamo noi. Quella notte, si va a bere tutta la notte. Malone ha un ricordo preciso di come è andata: “Semplice. Ogni volta che il mio bicchiere era vuoto, in un attimo si riempiva”.

Nei giorni seguenti, Michael Malone segue Jokic nella sua quotidianità, raccontando di come vada ancora ad aiutare nella stalla di un amico, del suo essere schivo in giro per la città nonostante non si tiri indietro di fronte a un bambino che chiede un autografo, o delle infinite sfide con i fratelli a qualsiasi tipo di gioco capitasse a tiro. Con la particolarità di non puntare sempre al rispetto delle regole.

Questo racconto, fornitoci dal giornalista Howard Beck, ci permette di capire l’orbita in cui gravita Jokić. E che volendo racchiude anche quanto scritto nel paragrafo precedente.

Un grande senso di appartenenza, uno spiccato senso dell’umorismo e la caratteristica di dire “sì, tu sei il mio allenatore, sì io sono un giocatore NBA, ma oltre questo tra me, te e gli altri non ci sono differenze”.

E adesso, invece, facciamo il consueto passo indietro.

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