Seguendo la definizione, il cubismo è un movimento d’avanguardia sviluppatosi agli inizi del 1900 e caratterizzato dall’uso di figure geometriche come rettangoli, triangoli e, ovviamente, cubi. L’obiettivo era quello di rompere la rappresentazione naturalistica e catturare più piani contemporaneamente sulla superficie di un dipinto.
Le motivazioni che hanno spinto i vari artisti ad espandere le loro visioni alla ricerca di qualcosa di nuovo possono essere ritrovate in tanti fattori. Il clima di quegli anni era fervente, l’uomo si stava espandendo mentalmente e preparava il suo ingresso nell’epoca moderna.
Pablo Picasso, pittore malagueño che non crediamo abbia bisogno di ulteriori presentazioni, agli inizi del ‘900 è in profonda e continua ricerca. Medita tanto, studia tanto e studia tutti i migliori artisti della sua epoca. La vera svolta, però, arriva nel 1905, quando arrivato in Olanda, entra a contatto con l’arte iberica preromana, un’arte che non bada alle proporzioni o all’armonia della disposizione. Scatta la scintilla.
Figlio della sua epoca e ancora più avanti di essa, arriva nel 1907 al bisogno massimo di esprimere qualcosa di nuovo. Semplicemente, Pablo Picasso non poteva non rispondere al suo essere genio.
Ed eccolo lì, Les Demoiselles d’Avignon. Un quadro conturbante, immorale (per l’epoca), rivoluzionario. Sono in molti a far risalire lì la nascita del cubismo.
Cinque donne nude, con forme e volumi scomposti e secondo il criterio della visione simultanea a più lati. Che non tiene conto delle normali leggi anatomiche.
Da lì, quindi, il cubismo, che di per se non avrà una vita così lunga ma influenzerà gran parte dell’arte, della letteratura e del cinema futuri.
Ma senza dilungarci in una narrazione artistico-storica, qual è l’importanza del cubismo?
Semplicemente, questa corrente ha fatto sì di far cambiare la percezione delle cose, non limitandosi al puro guardare ma costringendo a indagare. E ciò implica l’indagine approfondita sulla struttura delle cose e sul loro funzionamento. Mai prima di allora si era avuto una rivoluzione del genere, che andasse, appunto, contro le regole dell’anatomia e contro le normali regole della prospettiva e della pittura ingenerale.
Se volessimo ricostruire il tutto in un’unica frase, potremmo dire che questo tipo di arte ci ha insegnato a capire che la realtà non è semplicemente ciò che vediamo e che ci si presenta davanti. La realtà è più complessa, più profonda dell’impressione iniziale che ne abbiamo.
Ma ormai lo sapete, questo è un racconto di basket. E questo è quello di Nikola Jokic. Il nuovo MVP della NBA.
Uno dei nuovi artisti della pallacanestro moderna di cui ne incarna alcuni dei concetti, ma che li ripropone in una chiave di lettura diversa, sovvertendo i preconcetti comuni dovuti a, per esempio, dimensioni fisiche e ruolo svolto in campo. Il chiaro esempio in cui la percezione che si ha non si deve limitare alla sua apparenza, a come si muove su un parquet o a come si presenta fuori, dal parquet. Perché Nikola Jokic è una rivoluzione, ed è stato capace di permetterci di vedere il basket moderno da altre angolazioni a cui non eravamo stati abituati.
Arrivato in America da Sombor, una città al nord della Serbia, con un modo di essere, fisico e comportamentale, decisamente diverso agli standard a cui la NBA (e noi osservatori del Gioco) era abituata. E su cui nessuno, fino a solo una manciata di anni fa, avrebbe scommesso qualcosa.