Ci sono casi in cui una Jersey mi viene regalata (cosa che succede di rado).
Nel caso di questa NBA collection stories è un regalo che ha più di 20 anni, quando giocavo e basta senza avere alcun tipo di patologia da collezionismo. C’ è una cosa che rende speciale questa maglia, è la mia N° 1. Quella che ha dato inizio ha tutto, quella di Grant Hill.
NBA Collection Stories Episodio 3 – Grant Hill, “Mr. Nice Guy”
“Una persona che per eccezionali virtù di coraggio o abnegazione si impone all’ammirazione di tutti”. Questa è la definizione del termine Eroe.
Grant Henry Hill, nato a Dallas da una madre impegnata in politica e da un padre stella della NFL è un predestinato. Un’intelligenza superiore alla media e capacità fisiche… anche. Tanto da essere una vera star ancor prima di mettere piede nella NBA. All’università di Duke, North Carolina, arriva a 3 finali NCAA in 4 anni, nei primi anni ’90, vincendone due. Meglio di lui solo Kareem Abdul-Jabbar, più di 20 anni prima.
È talmente sveglio da essere un passaggio avanti agli altri sul campo e quella testa, unita a quel corpo, girano per la nazione come componenti di un essere umano speciale, il degno erede di Michael Jordan, che intanto si era dato al Baseball.
Nel draft NBA del 1994 viene preso con la terza scelta dai Detroit Pistons e le enormi aspettative non verranno deluse… anzi.
Capitolo 1 – G-Money
Passano 5 secondi per mettere la prima schiacciata nel suo esordio NBA. È atterrato a Detroit G-Money, è su tutte le copertine. In campo è già la stella di una squadra orfana dei Bad Boys con Joe Dumars unico superstite a fargli da chioccia. Vince il Rookie Of the Year in condivisione con Jason Kidd e, in quanto rookie, è il primo della storia ad essere votato per far parte del quintetto di partenza al All-Star Game.
Tutto secondo i piani e va sempre meglio. I Pistons l’anno dopo cambiano anche il look, avendo un testimonial del genere, con la maglia che mi ha portato a scoprire la sua storia e che è stata usata da Detroit solo negli anni in cui Hill ha giocato per loro. Con questa maglia ha realizzato il suo career high, 46 punti con la stoppata finale ad evitare agli Washington Wizards il tiro del pareggio.
Nei primi sei anni fa segnare statistiche che solo Oscar Robertson, Larry Bird prima e LeBron James dopo sono riusciti a far meglio. Unica nota dolente, una squadra in ricostruzione che non è al suo livello e il suo livello era davvero alto. Infatti non riesce mai a superare il primo turno di playoffs.
Poi arriva il 15 aprile del 2000. Hill si infortuna alla caviglia pochi giorni prima dei playoffs, che Grant prova a giocare lo stesso contro i Miami Heat, ma quell’infortunio sarà, purtroppo, un nuovo inizio.
Capitolo 2 – In The Dark, l’infortunio di Grant Hill
Quell’estate il nuovo general manager dei Pistons Joe Dumars, (si, proprio lui) ritiratosi l’anno precedente, lo scambia mandandolo agli Orlando Magic che presero anche Tracy McGrady formando una coppia da far sognare tutta la Florida.
Ma per i tifosi il sogno diventa realtà, mentre per Hill si trasforma in incubo. Le prime 3 stagioni gioca 57 partite, cioè la quantità di poco più di mezza stagione.
Nel marzo 2003 decide allora di procedere ad un operazione molto delicata ma definitiva. Frattura volontaria e riposizionamento dell’osso all’interno del piede. Cinque giorni dopo manifesta febbre ad oltre 40 gradi e convulsioni. I medici lo ricoverano scoprendo un’infezione da stafilococco. In questi casi la malattia diventa pericolosa quando il batterio riesce ad aggredire aree profonde dell’organismo, quindi se raggiunge il sangue o le articolazioni viene riconosciuta come emergenza grave. Nel suo caso, per via dell’operazione, il batterio raggiunge addirittura le ossa.
Grant sta lottando per la vita. Rimane intubato una settimana sotto strettissima osservazione, ma tiene duro. Per curarlo lo sottopongono a tre cicli di antibiotici endovena ogni giorno, Resta in terapia 6 mesi perdendo tutta la stagione 2003\04. Come se non bastasse, quell’estate alla moglie Tamia viene diagnosticata la sclerosi multipla… ha 28 anni.
Come un treno che ti tira sotto ad alta velocità, poi si ferma e torna indietro più veloce.
E lui cosa fa? Sorride. Non si chiede mai il perché, prosegue e basta. Iniezioni, piscina, palestra, ma soprattutto sta vicino a sua moglie. Lui stesso oggi ammette: “Emotivamente non so se sarei capace di superare nuovamente quel periodo e sinceramente non so nemmeno come ci sia riuscito”.
Diventa un esempio per tutti, ricordate la definizione di eroe?
Capitolo 3 – Piss & Vinegar
Nonostante tutto, torna a giocare e pure alla grande. Ovviamente non è più la super star di Detroit, ma a Phoenix trova un nuovo modo di affrontare il gioco tecnicamente e fisicamente. Arriverà anche a giocare le finali di Conference, trovandosi però davanti un certo Kobe Bryant. Finirà con l’ultima stagione ai Clippers a quasi 41 anni.
Prima idolatrato come giocatore e poi ammirato come uomo. Solo i fans di Detroit, abituati ai Bad Boys, lo ritenevano troppo liscio, troppo coerente sul campo, senza “Piss & Vinegar” che in gergo significa furia e acidità, esuberanza… tirare fuori gli attributi insomma.
Ma, innanzitutto se prendiamo come esempio quel giorno contro la solita vittima Alonzo Mourning (per capire leggete la puntata su Vince Carter), non è sembrato poi così accondiscendente. Poi il suo modo di affrontare le situazioni col sorriso e positività non è stato poi così sbagliato visti i risultati.
È stato anche definito un What If, cioè “chissà cosa sarebbe stato se”, ma si è rivelato molto di più.
Lui era un signore, con la maglia bianca con un cavallo fiammante e due scarichi davanti e il 33 dietro. Lui era Grant Hill, Full of Piss & Vinegar, ma anche… Mr Nice Guy.