Quali sono i termini principali che vengono in mente per descrivere un buon giocatore NBA? Istintivamente in molti direbbero talento! Vero, ma è un vocabolo alquanto generico che a mio avviso include una moltitudine di sfaccettature non indifferenti, per esempio: tecnica, concentrazione, forza di volontà, potenza fisica, visione – abilità di lettura sul campo, interpretazione del gioco, studio dei filmati, dedizione, intuito, capacità di ragionare,prendere decisioni…si, decisioni bisogna prenderne veramente molte e se si erra a prenderne una, ci sono delle conseguenze spesso poco felici; sbagliare un passaggio, può portare a subire un contropiede, ed in base alla situazione della partita, la gravità di quella palla persa varia drasticamente.
Bisogna scegliere alla svelta!
Dover scegliere, è parte del gioco, ma la difficoltà vera, sono le tempistiche con cui bisogna farlo; dopo aver sbattuto le palpebre, bisogna far si che la decisione sia stata presa e non solo…già messa in atto. Siamo sinceri, nella successione di caratteristiche elencate sopra, ne manca una indispensabile per sopravvivere nell’Nba contemporanea: la velocità. Salvo particolari casi, in qualsiasi posizione si giochi, serve essere più rapidi del proprio difensore, in primis a livello mentale e poi a livello fisico; riflessi sempre funzionanti al 100%, sempre pronti ad arrivare primi su una palla vagante, andare in coast to coast battento il record di Usain nei 100 metri, avere un primo passo fulmineo, conquistare ogni rimbalzo possibile… E’ innegabile che i ritmi di gioco siano diventati veramente intensi, però anche ai massimi livelli si può assistere ad episodi in cui la rapidità d’esecuzione, viene confusa con la fretta; è sempre stato l’errore in cui in tanti sono inciampati, d’altro canto il gioco del Basket, è interamente strutturato su dei countdown continui, in maniera più ossessiva degli altri grandi sport. 5 secondi per la rimessa, 8 per superare la propria metà campo, tirare entro 24, non sostare troppo nel pitturato… parlando per assurdo nel calcio, se in grado, una squadra potrebbe sempre tenere il possesso del pallone fino al termine dell’incontro. Teoria decisamente improbabile, però rende bene l’idea di quali e quante tempistiche, siano presenti nella Pallacanestro; Il fattore tempo è stato sempre l’unica risorsa non controllabile dall’uomo, però in specifici casi, certi individui, sono stati molto vicini a farlo… a Boston c’è ne stato uno molto bravo: Paul Pierce aka ”The Truth” .
Il vero riconosce il vero
Adattarsi ai ritmi NBA, come abbiamo detto fino ad ora, è un’impresa piuttosto ardua, ma essere in grado di diventare una delle più grandi superstar all’interno della lega, mantenendo il proprio flow di gioco, è strabiliante. Paul è stato un giocatore particolare, uno di quelli che passa ogni tanto, unico ed inimitabile proprio per il suo stile in campo. La sua carriera da professionista è iniziata nella tragedia, una storia in perfetta tendenza “Get rich or die trying”, con Pierce al posto di 50 Cent e i nove proiettili sostituiti da undici coltellate. Quando si dice il vero riconosce il vero… sopravvivendo alla morte è tornato più forte di prima, conferma che “ciò che non uccide, ti fortifica”, pronto ad andare a prendersi ciò che gli spettava. Il percorso che ha intrapreso è stato tutt’altro che semplice, infatti dopo essersi conquistato il suo soprannome (regalo di Shaq, stranamente) demolendo i Lakers, ha collezionato prestazioni su prestazioni straordinarie, caricandosi sulle spalle tutta la franchigia, il Boston Garden e i suoi tifosi. Per ricollegarci al concetto di rapidità, il capitano dei Celtics, ha dovuto aspettare un po’ di anni prima di poter arrivare a competere veramente per il titolo, oltre al tempo, ha atteso anche i rinforzi (KG e Ray Allen), che una volta arrivati hanno reso Boston una corazzata decisamente difficile da fermare e il King lo sa molto bene. Anche Kobe ne sa qualcosa… dopo svariati anni, la finale delle finali si è ripresentata – Celtics vs Lakers – ed è qui che Paul ha manifestato al meglio le caratteristiche del suo gioco; quella velocità sovrana in campo, viene altamente ignorata da The Truth, esponente di un ritmo a bassi toni, calmo, tendente alla lentezza…
Slow flow – all day, every day
Partendo dalla consapevolezza di non poter spiegare come questo sia possibile, possiamo solo fare delle riflessioni guardando quello che è stato lasciato sul campo; non è questione di età od infortuni (certo, l’aggressione ha avuto la sua buona influenza), ma sin dai primi match disputati, era evidente come la sua tendenza fosse quella di far adattare la partita a lui, imponendo violentemente le sue tempistiche. E’ veramente strano vedere come i difensori accoppiati a lui, specialmente in momenti decisivi della partita, non siano stati in grado di fermarlo; perche questo? Prendiamo come riferimento un ultimo possesso di Boston contro Indiana (playoff 2003), ovviamente palla in mano a Pierce; tra lui e il canestro troviamo Al Harrington, di certo non il giocatore più elegante, ma a livello fisico nulla da dire, tosto e grezzo… mancano pochi secondi alla fine del terzo quarto, i due fermi poco dopo la linea di metà campo, con Paul che sta aspettando il momento perfetto per entrare in azione; dopo che Al ha mandato via prepotentemente il raddoppio/aiuto difensivo, non ci sono dubbi sulle sue intenzioni: un vero 1vs1 come sui Playground… per i pochi che avevano ancora dubbi, un caldo trash talking tra i due non lascia spazio a fraintendimenti. Quando mancano sette secondi, The Truth, palleggiando con la mano destra, ma con il corpo chiaramente indirizzato verso sinistra, si mette in movimento, seguito stretto dalla difesa; niente shake’n’ bake o movimenti particolari, solo un passo lungo di arresto, giusto per darsi l’equilibrio corretto per un buon tiro dietro l’arco dei tre punti… solo retina. Sorge (ignorantemente parlando) una domanda… perché Harrington non ha provato a mangiargli un po’ di spazio, togliergli libertà d’esecuzione; ma se si guarda attentamente, proprio mentre Pierce ferma il palleggio, pronto ad elevarsi per rilasciare la palla, Al allunga il braccio per arrecare disturbo, ma è leggermente in ritardo… ribadisco che Pierce non ha fatto nessun movimento eclatantemente confusionario per il difensore, ma è stato comunque in grado di metterlo fuori ritmo, guadagnando il tempo necessario per tirare. Gli sono bastati i “gesti”, probabilmente anche involontari, del suo corpo e la sua naturale velocità d’esecuzione (un giro indietro agli altri per citare l’Avvocato Buffa); non sto assolutamente dicendo che prevedere la sua intenzione e contrastare il tiro fosse una passeggiata, Chiaramente no! Però fa impressione vedere come trovarsi di fronte ad un flow di gioco non adeguato agli standard a cui si è abituati, possa mettere in ampia difficoltà la difesa (ancor più se questo flow, è al di sotto della media).
Come muoversi in campo?
Osservare Paul Pierce, mi ha fatto riflettere sull’importanza di certe parole che ti vengono ripetute fin da piccolo durante gli allenamenti.. “spezzate i movimenti!” E’ un concetto più complicato di quel che sembra… però a grandi linee, si intende variare direzione e velocità ripetutamente per avvantaggiarsi sulla difesa, senza dargli punti di riferimento, sia quando ci si muove senza palla (azione di taglio o smarcamento), sia con la palla in mano. In quest’ultimo caso, per spezzare il ritmo del difensore, ci sono varie armi a disposizione del giocatore… Il movimento di esitazione è una di queste. E’ un frammento temporale quasi impercettibile, dove chi lo esegue è come se fosse sospeso in una dimensione dove tempo e spazio non esistono; il palleggio viene “rallentato” giusto quanto basta per non farsi fischiare nessuna infrazione, si cambia improvvisamente velocità… e se tutto è stato fatto come si deve, il difensore non si sarà accorto di niente e voi sarete proiettati al ferro. L’evoluzione di questa “move”, prevede anche un drastico cambio di direzione oltre la variazione di velocità , inducendo la difesa a leggere la situazione nella maniera errata, finendo dalla parte opposta dell’attaccante… Crossover. Tra i massimi esponenti di quest’arma micidiale troviamo Allen Iverson, Jamal Crawford, Kyrie e Steph… tutti giocatori di stampo street. Se il crossover è particolarmente aggressivo e violento, le caviglie potrebbero “lievemente” cedere, stendendo sul parquet il difensore (per maggiori informazioni sugli anklebreaker, chiedete ad Antonio Daniels, sicuramente non un grande amico di The Answer).
Ciò che mi ha sempre colpito intensamente di Paul Pierce, è proprio il fatto che non è un giocatore di questo tipo, anzi è veramente distante dai livelli atletici della lega; eppure le sue azioni rimarranno nella storia, esattamente come il suo nome nella franchigia di Boston. Il fato ha voluto che alla fine degli anni ’90, dopo una dinastia intoccabile evolutasi nel corso degli anni, grazie a leggende come Bill Russel e Larry Bird, Pierce fosse il continuatore di questo percorso magico, composto da delusioni, fatica, sudore e successi. Una sera, parlando con amici, sono saltate fuori un paio di frasi del tipo – “Se c’è la fa lui, può riuscirci chiunque” – “Sembra un ottantenne” – però credo che chiunque fosse lì in quel momento, mentre sono state pronunciate quelle parole, sapesse benissimo quanto fossero buttate lì e di che livello di complessità raggiungessero i “lenti” movimenti di questo giocatore. Il suo “Slow Flow” uccide la partita e l’autostima di ognuno dei suoi avversari, spianandogli la strada verso il ferro… e verso la vittoria.
E.R. – stile in prima linea