Il ritorno del Re
LeBron sa che il ciclo degli Heat è alla fine. La squadra è sfilacciata, gli stimoli sono altalenanti.
C’è solo una cosa che gli manca a quel punto della carriera, e ha intenzione di perseguirla.
Il Re prende la decisione. Il Re torna a casa.
La città, anche dati i risultanti, per così dire, altalenanti (97-215 dalla partenza di James) lo riaccoglie a braccia aperte. “Non è successo niente, ci siamo già dimenticati” è più o meno il coro collettivo.
Il ritorno di James trasforma (di nuovo) Cleveland in una delle squadre favorite. Lì trova un giovane abbastanza valido, Kyrie Irving, e praticamente “decide” di mandare la scelta numero 1 al draft di quell’anno, Andrew Wiggins, a Minnesota in cambio di Kevin Love.
A Cleveland rimarrà per altri quattro anni. Quattro finali, tutte contro Golden State. Una sola vittoria, ma che vittoria.
NBA Finals 2016, Cleveland è in svantaggio 3-1, sembra finita. E invece James, accompagnato da un “discreto” Kyrie, ribalta tutto. Per la prima volta nella storia, in una serie finale, una squadra rimonta da sotto 3-1. Se di Kyrie è la tripla decisiva, la giocata che forse rimane di più è quella a 1:52 dalla fine. Iguodala è in campo aperto, pronto ad appoggiare per il +2 Golden State. Il canestro non arriva, ma arriva LeBron in una delle sue signature più celebri: la chasedown, la stoppata da dietro.
Flavio Tranquillo la definisce semplicemente così: “è la Gioconda”.
Il cerchio si è chiuso: Cleveland, This is for you. Cleveland, come città, vince il primo titolo in qualsiasi sport professionistico dal 1964. 52 anni di attesa. Allora furono i Cleveland Browns, squadra NFL.
Rimane un altro anno ai Cavs. Poi, questa volta senza traumi e rimpianti, saluta, di nuovo e definitivamente la città.
Il resto è storia recente, con l’approdo a Los Angeles, sponda Lakers.
Il primo anno rimane senza playoffs (dopo dieci anni consecutivi di Finali). Il secondo, arriva Anthony Davis e arriva il quarto titolo in carriera. Quello nella Bolla di Orlando, definito da lui stesso come “il più difficile della sua carriera”.
Icona
Oltre che il giocatore, abbiamo l’icona LeBron James.
Negli anni il suo ruolo extra campo ha assunto un ruolo sempre più importante e sempre più centrale.
È giustamente da sottolineare il suo impegno contro le discriminazioni razziali, sia attraverso le parole che attraverso i fatti.
Nel 2018, dopo una lunga intervista rilasciata a ESPN, in cui raccontava la sua gioventù e le difficoltà incontrate dovute al suo colore della pelle, LeBron ha criticato apertamente l’allora presidente Donald Trump.
Questo ha suscitato parecchie reazioni, specialmente in diversi giornalisti di Fox News (emittente filo-Trump, per farla breve). Tra i vari, però, è stata Laura Ingraham a far esplodere la polemica.
In una delle trasmissioni Fox, la Ingraham ha sminuito la figura di LeBron, arrivando a dire la celebre frase “Shut up and dribble” (traducibile con “zitti e giocate”). Come ha detto lo stesso James, “questa reazione è servita solo ad alimentare il suo discorso e la critica”.
Il suo impegno sociale è coronato in diverse iniziative da lui promosse. Tra le varie, possiamo ricordare lo slogan “More than an athlete” (Più di un atleta) che lo segue ormai da diverso tempo.
O la I Promise School, una scuola pubblica creata a Akron nel 2018 e che accoglie, ogni anno, più di 300 bambini. Il progetto piano piano si sta allargando, proponendo da non molto anche diversi alloggi dove i ragazzi possono stare.
Se da un lato è certamente visibile come la personalità, per così dire, abbastanza spiccata di LeBron lo obblighi a muoversi in maniera orizzontale rispetto alla pallacanestro, dall’altra è da sottolineare l’impegno in questo tipo di situazioni.
Anche qui, il discorso molto attuale (vero Ibra?) tra le responsabilità e il campo di azione di uno sportivo, e il suo ruolo nella società, andrebbe sviscerato meglio. Comunque sia, opinione di chi scrive, quando il movimento di qualunque persona vada nella direzione corretta, è sempre meglio che rimanere confinati nella propria sfera per paura di sporcarsi le mani.