La redazione di NBA Sandbox Podcast ha voluto omaggiare Kobe Bryant, scomparso il 26 gennaio scorso in un incidente in elicottero assieme alla figlia Gianna Maria e ad altre 7 persone.
- Dreik
Hai sempre fatto come volevi tu, di testa tua. Anche questa volta senza volerlo ci lasci qui sconcertati ed increduli. Minuti di silenzio, lacrime, imprecazioni e tributi. Tutte formalità che ovviamente non possono colmare il vuoto che improvvisamente hai creato.
Un grande uomo prima, un grande giocatore poi. Hai ispirato intere generazioni, di atleti e non, hai cambiato la vita a tante persone ergendoti ad esempio di determinazione, coraggio e franchezza.
Quello che posso dire è semplicemente un grazie leggero e non scontato. Un grazie detto con il sorriso sulle labbra pensando alla casualità della vita che ti ha portato via il giorno dopo essere stato superato da LeBron. Lebron in maglia giallo-viola con la scritta mamba forever sulle scarpe. Perché vedi, mi piace pensare che il tuo egoismo ed il tuo protagonismo ti abbiano accompagnato anche in questo momento. Ti abbiano accompagnato con quel gusto perverso di togliere immediatamente la scena a tutti e tutto per rimettere ancora una volta quel riflettore su di te.
Se ne va un grande uomo e se ne va a metà di un’opera monumentale ed incompiuta. Perché sì, sono convinto che la vita post cestistica di Bryant ci avrebbe dato molto più degli anni trascorsi sul parquet. E invece no.
Quello che ci resta è una legacy, una mentality, una mamba mentality. Un’attitudine alla vita, un modo di reagire e di affrontare le difficoltà che vanno oltre l’arroganza e la sicurezza spesso dimostrate. Quello che ci lascia è un’intera filosofia di vita. Reagire sempre e comunque. Reagire alle difficoltà con l’impegno e la determinazione necessari a costruire quella consapevolezza naturalmente traslabile in ogni circostanza della nostra vita.
Mi fa male scrivere di Kobe Bryant al passato. Mi fa male perché per la maggior parte della mia vita ci sei stato. Ti ho amato, odiato, osannato ed insultato ma ti ho sempre e comunque ammirato per la capacità di rialzarti e di ricominciare dal principio.
“Né io, né tu, nessuno può colpire duro come fa la vita, perciò andando avanti non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti. così sei un vincente!” Lo dice Rocky e lo interpreta nel migliore dei modi il 24 in giallo viola.
Te ne sei andato da vincente e da protagonista lasciandoci nel cuore una scintilla. Lasciandoci qualcosa di incredibile, una responsabilità ereditata seguendoti in tutti questi anni, un senso del dovere nei confronti della vita che solo tu potevi imprimerci.
Le azioni, le parole, i gesti valgono più di qualunque titolo, record, riconoscimento o premio. Perché Kobe Bryant è leggenda. Perché oggi Kobe Bryant è lo sportivo più influente e più importante della storia.
Ci sei riuscito dannato figlio di puttana. Ci sei riuscito a modo tuo.
Mamba out!
- Pozz
I Want to be like Mike!
Tutti vogliono essere come Michael Jordan ma nessuno ci riesce.
Tutti lo sognano, nessuno ci prova davvero.
Provare a battere il migliore di tutti i tempi con le stesse carte, stessi mezzi, stesso portamento, stessa mentalità.
Puntare alla vetta senza deviazioni, senza scuse, senza “sarò grande ma in un modo tutto mio”.
Perdere sapendo di aver dato tutto.
Ispirare tantissime persone e capire che l’unica cosa che avresti voluto sono 5 minuti in più con tua figlia e la tua famiglia.
#mamba4ever
- Silve
IL MORSO DEL MAMBA
Questa sera, come ogni lunedì, mi sono allenato con la mia squadra. Non appena l’allenamento è iniziato si è percepita un’atmosfera surreale: la testa era palesemente altrove e sembravamo come frastornati. Tutti, da chi segue di più a chi segue meno l’NBA e tutto ciò che circonda la lega più bella del mondo, abbiamo percepito che mancasse qualcosa.
A mio avviso è questo che realmente ha trasmesso Kobe con il suo “morso”. Tutti, chi direttamente e chi indirettamente, sono stati ‘morsi’ dal Mamba, dalla sua personalità e dal suo carattere. Perché alla fine si tratta di un supereroe che ha segnato la mia generazione dentro e fuori dal campo, si tratta di colui che ci ha ispirati e che ci ha fatto avvicinare a questo gioco. E ora, ci sentiamo come se una parte della nostra anima se ne fosse andata via con lui, come se il film del nostro supereroe preferito fosse terminato di colpo, con un finale che ci ha lasciato senza parole.
Ma Kobe Bryant ci ha insegnato a reagire sempre e a non fermarsi davanti alle difficoltà della vita. Questo palesemente è un momento di difficoltà per tutti noi e lo supereremo come avrebbe fatto lui.
Il Mamba non ci avrà morso invano, sarà un esempio da seguire per etica del lavoro, cattiveria agonistica e per la capacità di rispettare ed amare il gioco e le persone che hanno fatto parte della sua vita.
Perché, come ci ha insegnato Omero, le leggende non muoiono MAI.
#mamba4ever
- Ricky
Diciamo le cose come stanno. Nessuno di noi lo conosceva, pochi tra i lettori l’avranno persino visto dal vivo. La nostra vita non cambierà di una virgola per la morte di Kobe. Se non fosse per il flusso mediatico, al limite tra il dovuto e l’esagerato, ce ne saremmo scordati al primo impegno mentale, alla prima giornata di studio/lavoro. E così sarà tra breve.
E allora perché tutti siamo stati muti, senza parole, davanti al telefono o al computer o alla TV quando abbiamo sentito la notizia? Perché ci è sembrata una perdita così vicina? Perché si stanno creando fiaccolate e petizioni per avere Kobe sul logo, sul premio Vincitore Becchi e sui cestini del KFC al posto del vecchio? Eh perché.. perché, come hanno scritto tutti dappertutto, Kobe è stato l’icona della nostra generazione. Come lo era MJ per quelli prima di noi, come lo sarà LeBron o Steph per quelli dopo (ciao KD com’è?). Perché Kobe Bryant era il nome che dicevamo quando buttavamo le cartacce, quando al campetto spadellavamo tirando con due mani dal petto, a ogni fade-away con solo retina (esterna). Kobe Bryant era il volto e il prototipo dell’atleta, sia nelle vittorie che nelle sconfitte.
La mia riflessione finale è però che la Mamba Mentality non la si onora soltanto dando il nome a un premio, a un torneo, a un titolo. Si onora portando avanti ciò che di buono stava facendo Kobe in tutto il mondo. Ovvero agire, come ha detto a lui stesso in un’intervista in italiano a Reggio Emilia, in ciò che è “surrounding” nel mondo della pallacanestro. Non solo nel gioco in sé quindi, ma nel mondo che lo circonda, per portare la pallacanestro non solo a chi ha talento nel gioco, ma anche a chi ama questo sport senza avere purtroppo modo di influire nel gioco. Per fare arrivare il basket a una notorietà tale da avere non 10 podcast italiani di NBA, ma 100. Non una manciata di siti, di pagine, ma svariate. Non qualche migliaio di follower, ma milioni. Non tre partite in chiaro all’anno su 7 Gold dopo “La spada nella doccia 7”, ma una batteria di emittenti e di canali dedicati. Per non avere ovunque società di basket senza soldi e senza giovanili, ma avere invece delle fabbriche di divertimento e intrattenimento, per bambini e bambine. Perché la gente deve smettere di giocare o di guardare il basket per scelta, non per mancanza di alternativa. Perché come hai detto tu, Kobe Bryant, la vita è troppo breve per farsi buttare giù.
#Mambaout
- Jokke
The Global Effect
Quello che piú mi ha impressionato nelle ore e nei giorni successivi alla tragedia di domenica è stato lo shock collettivo che ha preso il mondo intero. Da chi vive di NBA a chi invece magari non sa manco di che forma sia il pallone, da personaggi famosi a persone comuni, milioni di persone si sono unite nel celebrare quello che è stato ben più di un giocatore di basket. More than an athlete come pochi nella storia.
Flashbulb memories. Dicono che nella vita ci siano degli eventi talmente significativi da mantenere vividi nella memoria di tutti cosa si stesse facendo nel momento in cui si é saputa la notizia. Il più eclatante dei casi é quello della morte di JFK, ma sono molti gli esempi nella storia. In qualche modo, la morte di Kobe ha avuto questa significanza non solo negli Stati Uniti ma in gran parte del mondo, sportivo e non.
Non so se sia il risultato dell’inaspettatezza, dell’incertezza in quelle prime ore, o della tragicità dovuta anche alla presenza anche della figlia e di altre due famiglie. Sta di fatto che Domenica ha lasciato un segno profondo, simbolo di un personaggio capace di incidere e toccare la vita di molti al di fuori del mondo della pallacanestro.
Inevitabilmente, una persona così complessa si lascia indietro una legacy tutt’altro che semplice. Passate le 24 ore, sono iniziati a comparire i primi articoli e i primi commenti su quelle che sono indiscutibilmente le macchie nel passato di Kobe. First and foremost, le accuse e il processo di stupro nei confronti di una donna nel 2003. La risposta è stata come solito polarizzata e polarizzante. Da un lato, chi, esaltando gli exploit sportivi e l’impegno verso l’empowerment delle donne nel mondo del basket, ha tranciato il tutto con un “non è il momento giusto per parlarne”. Dall’altro, chi tende invece a separare lo sportivo dalla persona, dipingendo il secondo come un mostro.
Questo non è sicuramente lo spazio per affrontare temi così importanti e così delicati. Mi sento peró di dire che é un tema su cui presto o tardi dovremo tutti riflettere. Non con l’idea di dover difendere a tutti i costi il proprio eroe, e nemmeno spinti dal voler a tutti i costi separare l’atleta dall’uomo. Insomma, non per forza bianco o nero, ma piuttosto voler cercare di capire meglio quelle diverse sfumature di grigio che contraddistinguono la vita di tutti.