Durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali statunitensi del 2020, uno dei fattori decisivi per la vittoria del presidente Joe Biden (sull’allora uscente Donald Trump), fu il sostegno di un numero elevato di atleti e atlete verso il candidato democratico.
In un clima politico del tutto unico ma, allo stesso tempo, tragico a causa della pandemia malgestita dall’amministrazione Trump, e a causa delle tensioni sociali scaturite dall’omicidio di George Floyd, LeBron James aveva appoggiato l’opera delle associazioni e dei movimenti contro la voter suppression, e aveva persino fatto il suo endorment pubblico a Biden prima del voto.
Chris Paul aveva aderito alla campagna di Michelle Obama, When we all vote, per sensibilizzare la popolazione americana riguardo l’importanza di esercitare il proprio diritto di voto e raccogliere iscrizioni ai seggi elettorali. Bill Russell aveva apertamente attaccato Trump, quando questo aveva provato a opporsi all’adozione del voto da casa per i più fragili.
E dalla bolla di Orlando, in cui la NBA si era ritrovata per completare la stagione 2019-20, i giocatori avevano con forza lanciato appelli riguardo il voto e fatto campagna sociale per il movimento Black Lives Matter. Tante squadre avevano addirittura convertito le arene chiuse in seggi elettorali.
Insomma, la comunità NBA e WNBA aveva giocato la sua partita elettorale, e l’aveva vinta. Le campagne di sensibilizzazione al voto portarono infatti milioni e milioni di elettori in più alle urne. L’87% dell’elettorato afroamericano votò per Biden, in alcuni dei cosiddetti “swing states”.
Il problema?
Joe Biden, a 81 anni, è evidentemente vittima di una demenza senile ormai avanzata (le sue ripetute cadute in pubblico possono confermarlo). Era quindi sopraggiunto il momento del ritiro.
Ma nella gara all’ultimo sangue tra Kamala Harris e Donald Trump (sempre lui, non ci abbandonerà con così tanta facilità), nessuno ha parlato.
La campagna elettorale che ne è uscita fuori è stata definita di infima qualità, e i due candidati sono stati descritti come “vecchi”, sia anagraficamente sia politicamente.
E il mondo dello sport? Silenzio totale. Non ci sono state masse da portare al voto, né slogan d’impatto da indossare. Insomma, come canterebbero i Fast Animals and Slow Kids, dove son finiti tutti quanti?
L’avversario? Sempre Trump, ma questa volta nessuno parla
Se c’è un gruppo di persone che Kamala Harris sembra aver conquistato, quelli sono i Golden State Warriors.
Coach Steve Kerr ha tenuto persino un discorso alla Convention Nazionale Democratica, mentre Steph Curry ci ha tenuto a spedire un video per trasmettere il suo sostegno via video. Persino Draymond Green, esuberante ma relativamente apolitico, ha parlato a favore della Harris nel suo podcast.
Tuttavia, al al di fuori della Bay Area gli atleti hanno evitato di farsi coinvolgere nelle elezioni presidenziali.
Le elezioni del 2020 hanno rappresentato il punto di svolta per quanto riguarda l’impegno politico degli atleti neri. L’assassinio di George Floyd ha scatenato il più grande movimento di protesta di massa della storia americana. Donald Trump sembrò interpretare il movimento come una protesta nei suoi confronti, tanto che twittò “La gente è stanca di guardare l’altamente politica NBA”. Un po’ una profezia che si è autoavverata e ha offuscato il confine che c’è tra l’opporsi alla brutalità della polizia e l’opporsi a Trump.
Decine di atleti di spicco si sono espressi, la politica e lo sport si sono scontrati in maniera ancora più forte per le elezioni del Senato della Georgia, sempre in quell’anno. Il democratico Raphael Warnock era in guerra con la già senatrice repubblicana Kelly Loeffler, all’epoca co-proprietaria delle Atlanta Dream.
La Loeffler, in carica in quello che è uno Stato per la maggioranza repubblicano, sembrava destinata a mantenere il suo seggio, ma si è attirata addosso l’ira delle giocatrici WNBA dopo aver criticato il loro coinvolgimento nelle proteste del movimento Black Lives Matter. Per tutta risposta, le Dream e le giocatrici di tutta la WNBA si sono espresse a sostegno (e che sostegno) di Warnock, indossando magliette con scritto “Vote Warnock” durante le partite trasmesse in televisione e parlando del suo programma politico durante le interviste. Warnock ha infatti attribuito a questo sforzo il merito del picco di interesse e delle donazioni ricevute.
La vittoria di Warnock permise al Partito Democratico di ottenere il controllo del Senato attraverso una ripartizione 50-50, con la Harris che fece da ago della bilancia. Questo sottile controllo ha spianato la strada al giudice della Corte Suprema, Ketanji Brown Jackson, per diventare la prima donna nera a far parte della Corte.
Ma di quell’energia, che animava il mondo dello sport nel 2020, non se ne è vista neanche l’ombra né prima é durante le elezioni di quest’anno. Ciò che si è visto può essere considerato come solo una minima parte delle lotte portate avanti 4 anni fa e, anche se i sondaggi hanno mostrato un miglioramento per quanto riguarda il consenso nei confronti della Harris in determinate fasce demografiche, gli atleti non sono stati coinvolti come la volta scorsa.
Il che non va affatto bene, soprattutto perché le questioni per cui ci si mobilitava nel 2020 non si sono risolte negli ultimi 4 anni, e Trump non ha cambiato le sue posizioni in merito.
L’ex presidente, d’altronde, nel corso della sua brillante (certo, come no) carriera ha costantemente sminuito gli atleti neri che si esprimono riguardo certe questioni. È stato uno dei promotori dell’esilio di Colin Kaepernick dalla NFL, e ha persino definito “figli di pu**ana” i giocatori che avevano protestato a sostegno del malcapitato.
Il motivo? Semplice. Lungi dall’essere stato castigato dalle proteste del 2020, Trump sembra aver solo rafforzato la sua opposizione alla responsabilità della polizia. In un comizio dello scorso maggio, Trump ha promesso a una folla di sostenitori: “Ridaremo alla nostra polizia il suo potere e le daremo l’immunità dai processi”. La settimana scorsa ha chiesto il ritorno alla polizia stop-and-frisk.
E, domenica scorsa, come se fosse stato un vero e proprio segnale, al mondo dello sport è stato ricordato quanto sia facile per la polizia abusare del proprio potere sui neri.
Poche ore prima dell’esordio casalingo dei Miami Dolphins, Tyreek Hill è stato fermato per eccesso di velocità. Il filmato della telecamera della polizia mostra uno dei poliziotti che si arrabbia quando Hill si rifiuta di tenere il finestrino aperto, e poi lo strattona fuori dall’auto. In pochi secondi, Hill è a faccia in giù sul marciapiede, ammanettato.
Hill non ha fatto nulla per giustificare il fatto che la polizia lo abbia placcato sull’asfalto e abbia ammanettato anche il suo compagno di squadra, Calais Campbell, che aveva cercato di intervenire pacificamente. Forse questo episodio ricorderà agli ai atleti neri che la ricchezza e la fama non li mettono al riparo dagli abusi della polizia.
L’entusiasmo politico sembra essere stato, infatti, più acceso tra le atlete donne. Questa potrebbe essere una sorta di ferita autoinflitta per Trump, che ha ampiamente rifiutato di invitare squadre femminili alla Casa Bianca.
Le atlete, che decisamente non sono sostenitrici di Trump, sembravano più pronte a stringersi attorno ad una candidata donna. Alcune giocatrici WNBA hanno indossato delle magliette a sostegno della Harris. Renee Montgomery ha dichiarato: “Ho già votato per la democrazia, con il nome della Harris in cima alla lista”. Nneka Ogwumike ha invece preso in mano la gestione di More Than a Vote.
Gli atleti maschi, tuttavia, compresi quelli che si impegnano pubblicamente a favore dell’attivismo e della giustizia sociale, non hanno ancora dimostrato di dare alle elezioni la stessa priorità che hanno dato a quelle precedenti, e non hanno trovato nessun modo per impegnarsi personalmente, dando l’esempio alle loro decine di milioni di fan.
Elezioni USA 2024, team Harris
LeBron sicuramente si prende il merito di aver affidato le redini del suo movimento ad una donna, durante una tornata in cui la libertà riproduttiva delle donne era una questione potenzialmente decisiva. Il Re ha infatti ufficialmente sostenuto Kamala Harris giovedì, condannando la retorica spesso infiammatoria del candidato repubblicano quando parla di razze. “Quando penso ai miei figli e alla mia famiglia e a come cresceranno, la scelta è chiara per me. Votate Kamala Harris” ha scritto James sui social.
Curry e Kerr a parte, la Harris si è poi avvalsa del sostegno di numerose celebrità di spicco per rafforzare il suo appeal e suscitare entusiasmo tra i sostenitori, tra cui Caitlin Clark.
Anche se non l’ha annunciato pubblicamente, la stella del basket femminile ha lasciato intendere già a settembre che avrebbe votato per la democratica, confermando di essere politicamente orientata in quella direzione.
Megan Rapinoe si è scontrata con Trump per anni, prendendo di mira il controverso ex presidente in innumerevoli occasioni. Pertanto, era abbastanza ovvio chi avrebbe votato.
Sempre a settembre, il DailyMail.com aveva rivelato che anche Travis Kelce stesse appoggiando la Harris.
Abbiamo poi Beyoncé, che si è unita alla candidata in occasione di un comizio nella sua città natale, Houston. Bruce Springsteen e Lady Gaga di certo non fanno eccezione. A loro si sono poi uniti: Mick Jagger, Christina Aguilera, Madonna, Ricky Martin, Eminem, Cher, John Legend e Neil Young.
Per quanto riguarda il mondo del cinema figurano poi: Harrison Ford, Julia Roberts, Leonardo DiCaprio, Sarah Jessica Parker, George Clooney, Barbra Streisand, Jane Fonda, Ben Stiller, Matt Damon, Jennifer Aniston, Robert De Niro, Anne Hathaway, Robert Downey Jr., Mark Ruffalo e Spike Lee.
Infine anche l’ex presidente Barack Obama e sua moglie Michelle, insieme all’ex presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, hanno sostenuto la Harris.
Elezioni USA 2024, team Trump
D’altra parte, anche Trump ha potuto vantare di avere dalla sua alcune influenti figure sportive. Uno tra tutti, Jake Paul.
Il boxer aveva rinunciato al diritto di voto quando si è trasferito a Porto Rico, ma recentemente ha pubblicato un video di 18 minuti (!!!) su X, in cui ha spiegato perché avrebbe preferito che il candidato repubblicano diventasse presidente al posto della Harris. Nella clip ha toccato argomenti delicati quali l’economia del Paese, il controllo delle frontiere e persino il transgenderismo come questioni che hanno orientato il suo pensiero verso Trump. Paul ha affrontato il tema dell’aborto, affermando che le donne hanno gli stessi diritti adesso rispetto a quando Trump ha iniziato il suo mandato nel 2016. Sarebbe molto utile che qualcuno gli spiegasse, dunque, che la Roe v. Wade è stata annullata nel 2022 dai conservatori, che sono stati nominati dalla Corte Suprema di Trump. Ha anche detto ai suoi fan che Dio lo avrebbe “mandato a dare questo messaggio, fare la cosa giusta e votare per Donald Trump”.
Un’altra star dello sport che ha desiderato ardentemente che Trump riprendesse la carica è stato Harrison Butker, che ha rivelato che non avrebbe votato per la Harris a causa della sua posizione a favore dell’aborto, cosa a cui lui è fermamente contrario in quanto devoto cristiano. Da notare quando sia interessante il fatto che, a parlare di aborto, siano sempre uomini.
Anche Danica Patrick ha espresso il suo sostegno nei confronti di Trump, così come anche: Hulk Hogan, Brittany Aldean e il marito Jason Aldean, Kevin Sorbo, Joe Rogan, Dana White, Elon Musk, Mel Gibson e Mike Tyson.
Trump presidente. Ma cosa succederà ora?
È ovvio che la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti è una brutta notizia per gli Stati Uniti stessi, per l’Europa e, infine, per l’Italia. Sì, qualsiasi cosa succeda dobbiamo sempre finirci noi di mezzo.
Come era facilmente prevedibile, il primo a commentarne la vittoria in Italia è stato Matteo Salvini, che lo ha fatto rivendicando, con toni vagamente polemici verso Giorgia Meloni e Antonio Tajani, il fatto di essere stato l’unico nella coalizione di destra a non nascondere in tutti questi mesi la sua netta preferenza per il candidato repubblicano. Nonostante Trump abbia dimostrato di non corrispondere affatto la stima di Salvini nei suoi confronti, ora il Segretario della Lega potrà rilanciare in Italia alcune istanze identitarie del suo partito, proprio in virtù dell’esito delle elezioni statunitensi.
Come succede sempre, infatti l’esito delle elezioni presidenziali statunitensi avrà delle ripercussioni anche sulla politica italiana. La vittoria di Trump condizionerà le scelte e gli orientamenti dei partiti, sia al governo sia all’opposizione. Alcune di queste ripercussioni sono scontate, e si intravedono già nelle prime reazioni che i principali leader politici hanno mostrato, altre sono più incerte e hanno a che vedere con le scelte economiche e diplomatiche che il nuovo presidente degli Stati Uniti prenderà.
Di certo nella destra ci sarà una rinnovata tendenza a utilizzare toni forti sui temi più identitari, soprattutto sull’immigrazione. È probabile un ripensamento delle politiche di sostegno militare all’Ucraina, così come un riposizionamento del governo Meloni in Europa, nella speranza di rendere l’Italia la principale interlocutrice europea degli Stati Uniti. Nelle opposizioni, invece, la storica e mai rinnegata simpatia di Giuseppe Conte nei confronti di Trump allontanerà ancora di più il Movimento 5 Stelle dal Partito Democratico sul fronte della politica estera.
In una fase in cui il M5S è in difficoltà e subalterno al PD, il ruolo gli sarebbe funzionale anche per differenziarsi da Elly Schlein, che è stata una convinta sostenitrice della Harris e che ha sempre guardato con timore ad un ritorno di Trump alla Casa Bianca.
“Non solo perché anche in questi ultimi giorni ha dichiarato di nuovo la sua ostilità verso l’Unione europea, ma anche per quello che ne conseguirà in termini di politiche economiche” ha detto la segretaria del PD. “Chi oggi lo festeggia per ragioni di bandiera smetterà presto quando gli effetti di una nuova politica protezionistica colpiranno le imprese e i lavoratori in Europa e anche qui nel nostro Paese”.
Ci sono poi almeno due prevedibili conseguenze sul piano economico. Una riguarda il probabile aumento dei dazi doganali, stando agli annunci fatti da Trump in campagna elettorale, che renderà più complicate le esportazioni da parte delle imprese italiane e ricadute negative sul PIL. L’altra ha a che vedere con la pressante richiesta fatta più volte dal tycoon ai paesi membri della NATO di aumentare la spesa per il settore della Difesa, fino ad almeno il 2% del PIL dei vari Paesi, un obiettivo che per l’Italia resta lontano e che richiederà investimenti onerosi nell’immediato futuro.
I 47 paesi della Comunità politica europea si sono riuniti a Budapest. L’Europa ha un cattivo ricordo del primo mandato di Trump e ora la situazione è peggiorata, con la guerra in corso in Ucraina. Allora c’era Angela Merkel e un’illusione di stabilità, ma adesso l’UE è più debole perché Germania e Francia stanno attraversando crisi profonde, e l’arrivo di Trump può diventare una minaccia esistenziale.
1 commento
Spiaze per le tue posizioni DEM e per il tuo sostegno al BLM. Credo che lo sport deve essere apolitico, altrimenti si rischia di avere casi come il pugile algerino, uomini che gareggiano nelle sfide tra donne, oppure si banna la Russia colpevole di difendere popolazioni filorusse e non si banna Israele colpevole di genocidio.