Finché si tratta di una persona del nostro team, significa che abbiamo vinto. Questo è tutto quello che mi interessa.

Stephen Curry in trasferta alla Chesapeake Arena di Oklahoma City
È stata questa la risposta di Steph Curry, riportata dal tweet di Ethan Sherwood Strauss, alla questione sul premio per il miglior giocatore della serie finale.
L’ unanime MVP della regular season ha affrontato i primi 3 episodi della serie finale ad un livello decisamente più basso rispetto ai suoi standard. Le motivazioni di questo calo sono dovute alla forma fisica (probabilmente non è ancora rientrato al 100% il problema al ginocchio) ma anche ai raddoppi sistematici degli avversari, che già si potevano notare nella passata edizione.
Il suo apparente disinteresse nei confronti del premio individuale richiama il concetto di ‘Strenght in numbers’, la forza di questa squadra è nel numero e nei numeri dei giocatori, i panchinari che trascinano i leaders. Le prime due gare sono state un esempio di questo concetto. Non sempre il primo violino è il migliore in campo, per adesso non lo è mai stato neanche lontanamente.
In gara 3 però il supporting cast non è bastato e per la prima volta nella serie, si è sentito il bisogno di un MVP che giochi da MVP. Nonostante i 19 punti di Curry (contro gli 11 e i 18 delle prime due gare) è forse stata la sua peggior prestazione, segnata dalle 6 palle perse su cui i Cleveland Cavaliers hanno costruito il loro dilagante vantaggio.
Nonostante tutto in gara 4 ci si aspetta finalmente la risposta del #30 dei Golden State Warriors , e sopratutto, una partita combattuta fino all’ ultimo.