Ci sono tantissimi modi per cominciare a parlare di uno degli atleti più importanti della nostra generazione. Siamo vicino a S. Valentino, allora scegliamo quello più romantico e trasferiamoci a Cleveland. Facciamo anche un salto temporale e andiamo al 30 Ottobre 2014. L’arena è sempre quella, “the Q”, e questa volta è davvero piena. Più di ventimila persone presenti , si spengono le luci e parte il video di presentazione per la nuova stagione dei loro Cleveland Cavaliers. In sottofondo si sente “I’m coming home” canzone di successo in quell’anno. Solito spettacolo stile NBA con immagini random che caricano a mille un pubblico già estasiato. Poi quel video termina, e termina con un uomo con la faccia già vista da qualche parte che, con gli occhi fissi sulla telecamera e la voce profonda dice: “There’s no place like home” “nessun luogo è come casa”. La gente si scatena, la musica parte all’impazzata, le luci si accendono e inizia la presentazione della squadra. L’ultimo giocatore dei Cleveland Cavaliers indossa la maglia numero 23, secondo molti è il giocatore più forte della storia, è ogni anno, questo incluso, un candidato MVP, si chiama LeBron Raymone James.
LeBron James nasce ad Akron, Ohio, il 30 Dicembre 1984. L’infanzia del “the chosen one” rientra nei classici stereotipi di ambiente rap americano: LeBron è un bambino nato nei bassifondi di Akron, da una madre troppo giovane (aveva 16 anni quando lo ha avuto) abbandonata dal compagno. La vita per un bambino in queste situazioni è sicuramente difficile, costretti a sfuggire dal padrone di casa, cambiando appartamento su appartamento, accontentandosi di ciò che si riusciva ad avere, sognando le scarpe di Jordan ma non potendosele comprare. Andarono così i primi anni del piccolo James, fino a quando mamma Gloria ha un’idea che cambierà per sempre la loro vita: decide di mandare il piccolo LeBron a vivere da coach Frank Walker, un amico di famiglia che accetta di prenderlo con sé per qualche periodo, in modo di facilitare la ricerca del lavoro a mamma Gloria. Frank di professione è un coach della squadra giovanile di football di Akron. È proprio grazie a Frank che “il prescelto” scopre lo sport, e scopre soprattutto il basket. A basket ci sa giocare piuttosto bene. Nel 1999 si iscrive alla St. Vincent-St. Mary High School. Il rettore Tom Carone, era un amico di vecchia data di Frank. Inizia cosi il viaggio verso l’olimpo di uno dei più grandi talenti che la pallacanestro abbia mai visto.
Con la maglia verde-oro è subito dominante, si capisce subito che sarà un talento, ed è proprio per quello che “The Sport Illustrated” gli affibbia un soprannome che non darebbero all’ultimo idiota: “The chosen one” “il prescelto”. Perché il prescelto? Beh al suo primo anno mette a referto una media di 21 punti ogni volta che calca il parquet, e le medie salgono ogni anno, arrivando a 31 punti per allacciata di scarpe nell’ultimo anno. È già un fenomeno mediatico. La sua squadra gioca partite in tutta America per mostrare orgogliosamente il proprio gioiello, la pay-per-view acquista i diritti delle loro partite. È subito LeBron Mania. Forse anche troppa Mania, tant’è che al ragazzo viene prescritto l’utilizzo moderato di Marjuana per ponderare un po’ lo stress. Ricordiamolo: è ancora all’High school, non è al college.
Generalmente, una volta diplomati all’High School, i normali cestisti americani scelgono il college più adatto alle loro ambizioni. Ovviamente LeBron non è un normale cestista americano, è qualcosa di più. Decide quindi di rendersi eleggibile per il Draft NBA 2003, vuole subito giocare tra i più forti ed aiutare la mamma economicamente. Il caso, la fortuna vuole che la prima chiamata di quel draft spetti ai Cleveland Cavaliers, squadra che dista un centinaio di miglia da casa. Nel momento in cui David Stern si avvicina al microfono, LeBron è praticamente già in piedi, sa già che sarà lui la prima scelta, nonostante il 2003 sia considerato ancora oggi uno dei draft con più talenti degli ultimi cinquant’anni (Wade, Carmelo e Bosh, tanto per dirne qualcuno). La prima scelta è effettivamente lui, comincia così la sua carriera NBA con la maglia numero 23 sulle spalle e la voglia di dominare la lega in testa.
L’impatto con l’NBA è devastante, uno di quegli impatti che capitano una volta ogni trent’anni. È infatti il terzo giocatore della storia (dopo Oscar Robertson e Micheal Jordan) ad avere una media di venti punti, cinque rimbalzi e cinque assist nel primo anno tra i grandi. Il titolo di Rookie Of The Year è solo una formalità. Il king però non è soddisfatto, i suoi Cavaliers falliscono l’obiettivo Play-Off, ma è soltanto il primo anno, le cose cambieranno. La post season non arriva neanche l’anno successivo, dove però LBJ dimostra di essere uno dei talenti più brillanti della lega. I tanto aspettati Play-Off arrivano la stagione successiva, grazie ad un record di 50-32 in RS. Al primo turno i Cavs incontreranno i Wizards, li batteranno in sei gare. Al secondo turno però incontreranno i Pistons dei Wallace e di Mr. Big Shot Chauncey Billups, che in una serie soffertissima e spettacolare, avranno la meglio in 7 gare. Cleveland e LeBron vedono ancora una volta finire troppo presto la loro stagione. La stagione 2006-2007 vede i Cavs nuovamente ai Play-Off, con lo stesso record della stagione precedente. Al primo turno trovano ancora la franchigia di Washington. I Cavaliers però sta volta hanno fretta, e in 4 gare chiudono baracca e burattini. Al turno successivo ci sono i Nets di Jason Kidd che dovranno cedere il pass per le finali di conference in sei gare. All’ultimo turno di conference LBJ ritrova quelli che l’avevano battuto l’anno prima: i Pistons. Questa volta Cleveland è favorita, il king è uno stato di forma spaventoso. Eppure le prime due gare sono di Detroit. Poi però si torna in the Q e non ce n’è più per nessuno. Filotto di quattro gare e i Cleveland, per la prima volta nella loro storia, sono alle NBA Finals. Se il basket fosse un film, il finale di questa serie sarebbe diverso, la piccola realtà per la prima volta in finale, meriterebbe qualcosa di più. Non sempre però Davide sconfigge Golia, gli Spurs sono troppo più forti e in 4 gare si infrangono i sogni di gloria di Cleveland.La stagione successiva, dopo una debordante regular season, i Cavs incontreranno ancora una volta i Wizards, ancora una volta li batteranno. Al turno successivo però incontreranno i futuri campioni NBA: i Boston Celtics di Kevin Garnett. Serie molto combattuta, ma in 7 gare saranno i ragazzi di Doc Rivers a spuntarla.
Sembra destinato a perdere. È un talento incredibile ma non ha vinto ancora niente. La gente lo vede come un nuovo Allen Iverson, uno fortissimo, certo, ma non in grado di infilarsi un anello al dito e LeBron James l’idea di non avere gioielli sulla mano non la vuole nemmeno considerare. Il vento sembra cambiare nella stagione 2008-2009. LeBron vince il suo primo titolo MVP e la squadra termina con un record di 66-16 la RS. Arrivano carichi come non mai ai Play-Off dove travolgono i Pistons, ed Atlanta. Sembra che il titolo sia già loro e invece no, ancora una volta niente vittoria. Incontrano gli Orlando Magic che in 6 gare infrangono le speranze della squadra dell’Ohio. Sembra una storia maledetta, l’anno successivo vincerà ancora il titolo di MVP e ancora una volta la sua squadra si classifica prima ad East. Ancora una volta però verrà eliminato dai Celtics.
La maglietta dei Cavs, dopo l’ennesimo fallimento, comincia a stare un po’ stretta al nativo di Akron. Nell’estate 2010 decide quindi di diventare uno dei Miami Heat, formando con Wade e Bosh, uno dei trio più forti della storia. Ovviamente i tifosi di Cleveland non la prendo troppo bene, magliette bruciate e insulti verso il King, diventano la normalità per le settimane successive. Tifosi che si toglieranno qualche sassolino qualche mese dopo quando gli Heat e LeBron, dopo aver dominato in lungo e in largo, perderanno nelle NBA Finals per mano dei Mavericks di Dirk Nowitzki . Il successo però ora è veramente vicino. James è nel suo apice atletico, in una squadra fortissima. E’ solo questione di tempo.
Il successo infatti arriva, l’anno successivo. LeBron per la terza volta diventa MVP della regular season. Durante i play-off Miami elimina Knicks in 5 gare, Pacers (soffrendo) in 6 gare e Celtics in 7 (mettendo a referto 45 punti in gara 6). In finale ci sono i Thunder di Durant, Westbrook e Harden. James però ha troppa più fame, troppa più voglia, troppa più rabbia e in cinque gare, dopo 8 stagioni LeBron James diventa campione NBA, diventando anche MVP delle Finals. Ormai ha imparato a vincere e vuole ripetersi, l’anno successivo infatti ritornerà con i suoi Heat in finale, dove in 7 gare batterà gli Spurs, e si riconfermerà MVP delle finals. L’anno successivo porterà Miami in finale per la quarta volta consecutiva dove però San Antonio si prenderà la rivincita diventando campione.
E si ritorna all’inizio del discorso. James è stato un bambino senza una vera e propria casa, ed è per questo che oggi più che mai sente il bisogno di averne una, ed è per questo che è tornato a Cleveland, ed è per questo che ha promesso un titolo alla franchigia, ed è per questo che non si è curato degli insulti dei suoi tifosi quando ha lasciato la città dell’Ohio. Perché tanto lo sapeva che sarebbero stati a braccia aperte ad aspettarlo, per gioire insieme, perché, come dice nel video di presentazione: “There’s no place like home”