32-12. Trentadue vinte, dodici perse. Eppure intorno ai Cleveland Cavaliers c’è un’aria ostile, polemica, pesante. Via David Blatt, dentro Tyronn Lue. Pazzia? Autolesionismo? Masochismo? Nessuno può saperlo. La verità è una sola: non sono state le sconfitte contro gli straordinari Golden State Warriors, o contro la corazzata San Antonio Spurs a generare l’avvicendamento sulla panchina dell’Ohio Il discorso è un altro. Più complesso. Più articolato.
Dopo un anno e mezzo la squadra non aveva un’identità, non aveva un gioco preciso. Non si sapeva se era la squadra dei ‘parzialoni monstre‘, oppure quella delle ‘pantofole’ (per tutti quelli che amano l’ipotesi dell’energia conservativa dei cavalieri, citando LeBron James in primis), o addirittura, quella fortunata. E poi c’era la grana Kevin Love. 110 milioni di dollari per 110 milioni di critiche. In alcuni momenti addirittura deriso. Sì, un all star deriso. Bisognava cambiare. E’ risaputo che la maggior parte delle fortune a Cleveland dipenderanno dal numero 23, che è un giocatore dominante, ma bisogna ricordare che in un gioco di squadra da soli non si vince! A Lue non si chiede di dare un gioco fluido, un gioco perfetto (ci sono troppi elementi che amano portare la palla, del resto). A Lue spetta il compito di posizionare in modo corretto tutti i suoi giocatori, con compiti precisi per ognuno di loro, e motivarli al punto giusto per dare la giusta mentalità ad un team, che in questo frangente ha i suoi più grandi difetti.
Ci riuscirà un novellino? La risposta la conosceremo tutti a maggio-giugno, quando le pantofole andranno via, le motivazioni saranno massime e, finalmente, si farà sul serio.
Per NbaPassion.com,
Francesco D’Andolfo