Equilibrio avevamo pronosticato ed equilibrio è stato. Nei primi due atti della serie Sixers-Heat entrambe hanno portato a casa un successo facendo leva sulla difesa, da sempre garanzia di vittoria. Philadelphia con degli ottimi aiuti sul lato debole e una marcatura asfissiante su Goran Dragic, limitato in gara 1 a 14 punti ma con il 28% dal campo. Miami con la sua solita intensità con cui in gara 2 ha rallentato le transizioni offensive e contestato ogni tiro avversario: J.J Redick, mattatore della prima serata, ha chiuso con 4/13 dal campo.
SIXERS-HEAT: LE DUE GARE
Gara 1 è stata un manifesto di pallacanestro: gli Heat partono subito in quarta piazzando un parziale di 40-29 a metà del secondo quarto. I Sixers appaiono in difficoltà ma ritrovano presto la retta via. Infatti il resto della partita è un monologo biancorosso. Cinque giocatori con almeno 17 punti a referto, non c’è nessuno che non sia meritevole di lodi a fine gara. Ben Simmons, alla sua prima apparizione in postseason, giganteggia sugli avversari mostrando una qualità di gioco impressionante per uno della sua età. Il risultato finale recita 130-103 a favore dei padroni di casa. Dal perimetro Redick e compagni hanno letteralmente bombardato i loro avversari, 18 triple su 28 tentativi (64.3%). Miami ha mentalmente staccato la spina al break del terzo quarto sciogliendosi come neve al sole. Solo quattro giocatori in doppia cifra, per altro con pessime percentuali dal campo.
Ben Simmons in gara 1 è stato incontenibile.
Nella nostra preview avevamo ricordato l’importanza dell’esperienza, fattore che infatti si è rivelato determinante in gara 2; Miami gioca con un intensità differente, chiude e stoppa i giovani 76ers. Nel terzo quarto piazza il break decisivo, trascinata da un formidabile Dwyane Wade. Gli Heat toccano il massimo vantaggio ma incredibilmente si fanno rimontare dagli avversari che si portano nell’ultimo periodo a -2. Proprio quando sembrava prossimo l’overtime sale in cattedra ancora Flash: sul 98-96 ruba palla a Saric e schiaccia in contropiede. Nelle due azioni successive invece serve l’assist a Johnson e cattura il rimbalzo che porta al canestro di Dragic. Game, set e match. I Sixers affondano 113-103 sotto i colpi di un vero campione. E ora la serie si sposta in Florida.
SIXERS: PROTAGONISTI, OUTSIDER E DELUSIONI
Pari e patta dunque. E dato questo, è ancora più difficile prevedere l’esito della contesa. Sono però emersi elementi molto interessanti: I Sixers sono una squadra compatta, dotata di un solido sistema di gioco e una caparbietà senza eguali. Ogni giocatore conosce il proprio ruolo in campo e lo svolge a regola d’arte. L’unico neo di questa squadra è l’inesperienza e la mancanza di un veterano campione NBA come Wade. Ma non tutto è perduto: la serie è ancora lunga e a breve tornerà il franchise player Joel Embiid. Allora si che ci sarà da divertirsi. Se Philadelphia è una banda musicale, Ben Simmons è il suo direttore d’orchestra. Il rookie australiano avvia i contropiedi, detta i tempi di gioco alla squadra e smezza assist per i suoi compagni. Philly corre quando, dove e come dice lui. I problemi al tiro non lo hanno poi limitato dato che ha comunque chiuso questi due match con 41 punti, 23 assist e 18 rimbalzi. Un all-around player pronto a dominare la NBA tra qualche anno.
Da gregario ad outsider il passo è breve, chiedere per info a Marco Belinelli. Passato in primavera nella città dell’amore fraterno, era partito con l’idea di essere il ricambio di Redick e portare un pò d’esperienza nel giovane spogliatoio dei Sixers. Invece cosi non è stato: Marco sta vivendo la sua miglior stagione in carriera per punti e percentuali dal campo; è diventato un leader della squadra e ha giocato una gara 1 da assoluto protagonista segnando canestri assurdi fuori equilibrio o su un piede solo. Al momento viaggia col 40% da oltre l’arco, numeri che lo rendono il miglior tiratore della serie. Avevamo poi pronosticato Markelle Fultz come possibile asso nella manica e invece finora è stata una delusione (5 punti nella prima partita, 0 nella seconda). I botti di fine regular season alla fine si sono rivelati un fuoco di paglia, ma non fategliene una colpa: Fultz è appena rientrato da un serio infortunio alla spalla e ci vorrà del tempo prima di tornare quello di prima. A tutti i tifosi Sixers, il ragazzo ha talento e prima o poi si farà.
HEAT: PROTAGONISTI, OUTSIDER E DELUSIONI
In casa Heat hanno contratto la sindrome della doppia personalità: dottor Jekyll in gara 1, Mr. Hyde in gara 2. Nel primo atto Miami si è fatta sopraffare dall’agonismo dei Sixers e dal caloroso supporto del Wells Fargo Center. Serviva una reazione d’orgoglio per la partita successiva e i ragazzi di Spoelstra non si sono fatti attendere. La squadra ha preso da subito il largo imponendo il proprio gioco agli avversari. Sono scesi in campo con gli occhi della tigre e con la consapevolezza di poter pareggiare il risultato. In Florida sarà necessario riprendere da dove si è lasciato per infliggere il colpo di grazia alla franchigia della Pennsylvania.
La palma di MVP fra le file degli Heat se l’è aggiudicata Dwyane Wade. Dopo una primo match tutt’altro che indimenticabile, D-Wade si è caricato la squadra sulle spalle trascinandola alla vittoria. Eurostep, jumper dalla media e quel suo fadeaway che non invecchia mai; sembra tornato il Flash dei tempi d’oro, quello dei Big-Three. Wade ha vinto contro i Sixers, contro il tempo e contro i suoi detrattori che a inizio anno lo avevano invitato a ritirarsi; è rimasto per sognare con la sua Miami e per infrangere altri record: con i 28 punti dell’altra sera ha superato Larry Bird nella classifica marcatori nella storia dei playoff. Tra le sorprese invece annoveriamo Kelly Olynyk che sottotraccia è stato l’unico a salvarsi nella debacle di gara 1 (26 punti e 7 rimbalzi tirando 9/13 dal campo). L’ex Celtics si è rivelato un vero grattacapo per la difesa dei Sixers sia sotto le plance sia da oltre l’arco. Chi invece ha deluso più di tutti è stato Hassan Whiteside: 27 minuti totali nei quali ha messo a referto 6 punti e 11 rimbalzi. Ennesima occasione fallita per il classe 1989, ormai finito ai margini del progetto Spoelstra. Eppure l’assenza di Embiid avrebbe dovuto favorirlo…
Ed ora si vola a Miami, per altri due atti di un duello dove per ora la bilancia non pende a favore di nessuno.