Veni, vidi, Virtus

di Luigi Ercolani

Impossibile non ripensare a dieci anni fa. Lo zenit della Virtus post fallimento, mentre quel 4 maggio 2016 ne è stato il nadir.

Una Virtus targata Vidivici, e che ora invece è stata “Veni, vidi, vici” nella A2 chiusa ieri sera. Corsi e ricorsi storici, che ci hanno accompagnato fin qui e che qui mettono radici.

Virtus vince 3-0 una serie di finale mentre dieci anni con lo stesso punteggio prima l’aveva persa, e nella A per la prima volta senza una bolognese tra le sue fila Milano è stata inaspettatamente sconfitta da una squadra bianconera in semifinale.

Aggiungete lo scudetto di Pianigiani al debutto nel nuovo campionato (allora italiano, oggi israeliano).

Il delitto perfetto.

A2 velocità

È stata una Virtus a due marce, quella che nell’ottobre del 2016 ha iniziato un torneo inusuale per la sua storia. È stata, da allora, gagliarda in casa ma timida in trasferta.

La sensazione diffusa era che il blasone e il fattore Unipol Arena non sarebbero bastati nella bagarre playoff, che certe pause mentali sarebbero state punite e che fosse necessaria altra determinazione. Tanto più che le tende sarebbero state spostate al PalaDozza.

Sensazione giusta, ma ribaltata: le pause sono state punite in casa ma la ferocia in trasferta le ha compensate.

A due velocità, ma anche a facce: munifica in attacco sempre ma fastidiosa in difesa quando contava.

Coach Ramagli, scelto in persona da Bucci e su cui ombreggiava più di qualche dubbio, è stato un magnifico pompiere, come solo un altro livornese in bianconero ha saputo fare, da quando si è seduto sulla panchina calcisticamente più importante d’Italia.

Ramagli ha tenuto calmo tutto l’ambiente quando si vinceva e quando si perdeva, ha sempre fatto autocritica, ha spostato i meriti da sé ai giocatori e i demeriti sul gruppo.

Il tutto serenamente, pacatamente, come avrebbe detto Crozza imitando Veltroni, uno che il basket ha dimostrato di amarlo.

Non è da sottovalutare: se la Virtus è tornata lì, gran parte del merito lo deve a questa depressurizzazione.

Il caffè mi rende ambizioso

Qualche tempo fa, a microfoni spenti di un’emittente locale l’azionista di maggioranza Zanetti ha detto che nel giro di tre-quattro anni l’intenzione è portare la Virtus in finale scudetto contro Milano spendendo un terzo.

Non che quest’ultimo punto sia difficile, ghignerà qualcuno, ma nella realtà ciò significa l’ambizione di riportare la V nera dove la sua tradizione la obbliga a stare, a creare nuovi fasti piuttosto che vivere in quelli del passato.

Zanetti è uomo determinato e dalle idee chiare, e il suo arrivo, favorito da Pietro Basciano, ha portato nuova linfa nel management bianconero.

Zanetti, Baraldi, Bucci, Trovato: il Rinascimento Virtussino è nato anzitutto nelle segrete stanze di via dell’Arcoveggio, e si è dipanato poi nella scelta di uno staff tecnico adeguato e di una squadra competitiva.

Ecco, la squadra. Arrivati fin qui ci siamo accorti che non abbiano ancora parlato dei protagonisti in maglia bianconera, che in fondo sono quelli che il campionato lo hanno vinto sul campo.

Gentile è stato l’incarnazione della Virtus, è arrivato e ha vinto. Spissu ha fulminato, Umeh ha trascinato, Lawson ha tracimato, Ndoja ha sofferto e poi dimostrato quanto valeva.

Rosselli ha spostato quanto LeBron sposta in NBA (no, non è enfasi), Spizzichini ha messo il suo quando serviva.

Michelori e Bruttini hanno fatto preziosissima legna, mentre Pajola, Penna Petrovic e Oxilia altrettanto preziosissima esperienza.

I protagonisti sono stati questi, quali saranno in A è ancora tutto da definire.

Certo, ora guardare al futuro con queste premesse dà più fiducia.

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