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Final Four di Eurolega, la preview: Olympiacos-Efes

di Luigi Ercolani
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In stagione regolare hanno giocato a evitarsi nei playoff, per poi ritrovarsi alla Final Four. Un obiettivo che presumibilmente era stato messo in preventivo tanto dall’Olympiacos quanto dall’Efes. E se è vero che gli anatolici hanno messo sin da subito le cose in chiaro con l’Olimpia Milano, gli ellenici hanno invece subito una battuta d’arresto contro il Monaco, regolato poi alla quinta sfida, giocata al Palazzo della Pace e dell’Amicizia.

Qui Olympiacos

Mike James, esperto di notti brave, di bravata stava per combinarne una ai danni dell’Olympiacos. I suoi 23 punti, raggranellati tirando con il 42.9% da due e con il 62.5% da oltre l’arco, nel secondo episodio della serie hanno messo a dura prova le coronarie dei fan del Pireo, che hanno tirato un sospiro di sollievo solo quando i loro beniamini sono andati a vincere nel Principato.

La gara che è stata la vera chiave di volta, per la vittoria biancorossa: se l’Oly avesse perso, infatti, si sarebbe trovato spalle al muro contro una squadra fisica e dal talento individuale affinato (e in alcuni frangenti anche raffinato). Il pick&roll, centrale o laterale, e la circolazione perimetrale dopo l’eventuale scarico hanno invece permesso ai greci di riappropriarsi del fattore campo, non senza qualche attimo di paura nel finale di una gara che li aveva visti sempre davanti.

Inezie, perché ora c’è la sfida con i turchi, un popolo con cui i greci hanno una rivalità acerrima, forse la più sentita in ambito europeo. E ciononostante, come si diceva all’inizio, le due squadre in regular season hanno fatto di tutto per non incontrarsi nei playoff, sapendo bene che entrambi i campi sanno diventare roventi nei momenti che contano.

Ma ora ci siamo, la sfida avrà effettivamente luogo a Belgrado. Il piano gara dell’Olympiacos verosimilmente punterà sui già menzionati giochi a due centrali, specie se coinvolgeranno un rollante efficace come Fall, dai cui blocchi gli esterni realizzatori biancorossi in termini di spazi per costruirsi il tiro, con un occhio però anche alla bidimensionalità di Vezenkov, che sarà un bel rebus per i dirimpettai.

È chiaro, ad ogni modo, che a garantire i punti per la finale dovranno essere alternativamente i vari Dorsey, Walkup, McKissic, Papanikolaou e Sloukas, prendendo per sfinimento l’organico anatolico che invece ha rotazioni più ridotte. Proprio gli ultimi due, insieme a Printezis, erano nel roster di quell’Olympiacos che fece l’impresa contro il CSKA a Belgrado. Era giusto dieci anni fa.

Qui Efes

Da “I won the cup” a “Faremo il back-to-back. Siamo alle Final Four e vinceremo ancora” in fondo non c’è poi molta distanza. Parole di Ergin Ataman, uno che non solo non le manda a dire, ma che si compiace di far saltar la mosca al naso agli avversari.

Però… Però in fondo ha pur sempre ragione lui, o almeno, l’ha avuta finora. È arrivato in finale nel 2019 dopo aver battuto il concittadino Fenerbahçe allenato da Zeljko Obradovic, ha fatto una stagione deludente interrotta per i motivi che tutti conosciamo e poi, per due volte di fila, è giunto al gran ballo finale dopo una partenza che definire “diesel” è usare un chiaro eufemismo.

Non è un maestro della tattica, Ataman, anzi. Se volessimo utilizzare un termine appiccicato negli anni giovanili a Dan Peterson, è uno “slave of simplicity”, quando si tratta di lavagnette e pennarelli, ma proprio come il grande coach di Evanston ha una straordinaria capacità di connettersi con la squadra e di fare il personaggio anche fuori dal parquet.

Il gioco dell’Efes, in effetti, come abbiamo scritto in passato è di natura fondamentalmente basica. Il pick&roll centrale è la chiave per far muovere la difesa, in base alla posizione della quale si attacca poi il canestro o si fa girare la palla cercando l’uomo migliore nella posizione migliore.

Non veri schemi prefissati, dunque, ma giochi basate sulle letture, in ossequio alla tendenza della pallacanestro attuale. In questo senso, avere nel motore due giocatori intelligenti e dotati come Larkin e Micic, o un lungo mobile e dalla mano morbida come Pleiss, rende i toni del loro coach non vuota propaganda, ma temibili proclami di guerra.

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