La lista ufficiale dei vincitori del Rookie of the Year Award dalla stagione 2010/2011 a quella attualmente sospesa vede, in ordine:
Blake Griffin
Kyrie Irving
Damian Lillard
Michael Carter-Williams
Andrew Wiggins
Karl-Anthony Towns
Malcolm Brogdon
Ben Simmons
Luka Doncic
Tra questi nove il giocatore scelto più tardi è Brogdon, preso con la chiamata numero 36 dai Milwaukee Bucks. Possiamo anche dire che solitamente questo premio viene assegnato ad una delle prime dieci scelte, il che conferma quanto sia difficile beccare un giocatore davvero forte dopo le prime dieci: Mark Jackson, Don Meneike, Brogdon e Michael Carter-Williams sono gli unici ad aver vinto il premio di ROY con un numero di scelta a due cifre.
Ok, abbiamo fatto una digressione che non c’entra nulla.
La disastrosa classe del 2013
Tornando alla nostra lista: siamo indiscutibilmente davanti ad un elenco di veri e propri talenti della NBA, alcuni ancora da sgrezzare come Simmons, Wiggins e Towns e alcuni di livello impareggiabile come “Dame Dolla” Lillard e Kyrie Irving.
Nonostante questo la nostra attenzione è sempre catalizzata da Michael Carter-Williams e ogni volta che mi metto a leggere queste statistiche oppure quando un nuovo ragazzo vince questo premio, torna sempre in mente lui. Sarà perché chi scrive ha dei feticci tutti suoi come Cuttino Mobley, che è stato inspiegabilmente uno dei giocatori preferiti; sarà pure perché lui, Carter-Williams, ci ha messo del suo, finendo praticamente già ai margini del basket NBA a soli sette anni da quando i Philadelphia 76ers lo hanno scelto.
Anche questa cosa fa sorridere sempre: i Sixers, quelli del ‘Process‘, che hanno preso gli schiaffi per intere stagioni solo per portare a casa le migliori scelte, beccano un ragazzo alla 11 che va a vincere il ROY e lo scambiano mezza stagione dopo la consegna del premio. The Process, appunto, ma solo per ottenere una scelta che spiegheremo più avanti.
MCW è uno dei tanti equivoci del basket racchiusi in quel paradigma cosmico chiamato NBA Draft 2013, spesso definito come “La feccia della storia post-2000 del basket nordamericano”. Abbiamo i brividi a scorrerne la lista perché davvero ci sono dei nomi imbarazzanti e sono quasi certo si tratti del draft più povero di talento di sempre, sicuramente quello più terrificante da quando chi scrive segue la NBA.
Se la gioca con quello del 2000, comunque, ma sembra un tantino avanti questo solo perché nel 2000 c’era, a proposito di feticci, Michael Redd, che in realtà è Ben Affleck nero. Nel 2013 c’è Anthony Bennett alla prima chiamata, che funziona benissimo come indice per i disastri accaduti dopo. Sembra quasi che la famigerata mano invisibile di Adam Smith abbia preso una generazione intera di giocatori davvero con poco talento e li abbia messi tutti nelle squadre sbagliate: alla seconda chiamata il livello si alza leggermente con Victor Oladipo, che almeno in carriera è riuscito a giocare l’All-Star Game e a farsi un nome; Oladipo precede una sfilza di nomi incredibili come Otto Porter, Cody Zeller, Alex Len, Nerlens Noel (disastroso, mamma mia quanto ci credevo), Ben McLemore (si parlava di lui come possibile prima scelta, mi piaceva un sacco), Kentavious Caldwell-Pope e Trey Burke; leggera ripresa con C.J. McCollum, lui qualcosa l’ha fatta per davvero, poi il ROY Carter-Williams alla 11 prima di altri disastri vari ed eventuali ad esclusione di Giannis Antetokounmpo alla 15 (alla quindici, dannazione!) e Rudy Gobert alla 27, che da soli non possono riuscire nell’impresa titanica di alzare la qualità complessiva di quella classe.
Michael Carter-Williams: un inizio luminoso
Nonostante le premesse non fossero assolutamente tra le più convincenti, i ragazzi del 2013 sopravvivono alla Summer League, che non è assolutamente qualcosa di scontato.
Carter-Williams parte col botto nell’opening night: 22 punti, 12 assist, 7 rimbalzi e 9 palle recuperate contro i Miami Heat, un esordio indimenticabile che spiana la strada a una settimana di assoluta solidità, chiusa con il premio di Miglior Giocatore della Settimana, unico Rookie insieme a Shaquille O’Neal a riuscirci. Insomma, quasi quasi non fanno tutti davvero così schifo se per un record dobbiamo andare a scomodare O’Neal. In particolar modo MCW è proprio quel tipo di giocatore che dà l’impressione di essere un giocatore che può fare belle cose.
La sua prima stagione è un crescendo di solidità e intraprendenza, di cui vi riporterò alcune delle migliori partite:
vs. Cleveland – 11 pts, 9 rebs, 6 asts
vs. Orlando – 27 pts, 12 rebs, 10 asts
vs. Charlotte – 20 pts, 8 rebs, 7 asts
@ New York – 19 pts, 12 rebs, 7 asts, 2 stls
In realtà queste stats non dicono assolutamente nulla, però fanno capire come il ragazzo, almeno quando era in giornata, potesse avere diverse frecce al suo arco e sembrare un giocatore quasi versatile, capace di giocate tipo questa.
Dopo una stagione passata a ondeggiare tra partite iconiche e qualche disastro, il 4 maggio 2014 Michael Carter-Williams vince il premio di Rookie of the Year, con 104 voti su 124. I record si sprecano: MCW è uno dei quattro giocatori nella storia a vincere il ROY dopo esser stato scelto non prima della decima chiamata e non succedeva dal 1987, con Mark Jackson, ma succederà qualche anno dopo proprio con Brogdon.
A fine stagione, per statistiche complessive, è dietro a Oscar Robertson e Alvan Adams nella loro prima stagione, mentre è l’unico, assieme a Robertson e Magic Johnson, a chiudere con 16 punti, 6 rimbalzi e 6 assist di media nella stagione da rookie. Sembra di assistere all’incoronazione di un talento, come succede almeno un paio di volte ogni anno: MCW sembra uno di quelli che dopo la prima stagione finiscono nel tuo mirino dei giocatori da seguire e di cui, eventualmente, comprare la canotta ma soprattutto si ha l’impressione che il GM dei 76ers Sam Hinkie abbia accelerato i processi di ricostruzione della franchigia con uno “steal“ alla 11, di fatto anticipando di una stagione tutti i passi successivi.
La stagione 2014 si conclude nel peggiore dei modi per Philadelphia: 19 vittorie e 63 sconfitte, con una striscia di 26 sconfitte consecutive ma la speranza è quella di innescare i giovani talenti della franchigia, tra cui il nostro funambolico ragazzo. La stagione successiva di Carter-Williams ricomincia dove era stata interrotta ma nel gennaio 2015, inspiegabilmente, il ragazzo viene scambiato e la sua carriera, praticamente, finisce qui.
Il valzer delle squadre di Michael Carter-Williams
Carter-Williams finisce a Milwaukee, in uno scambio a tre che coinvolge anche Phoenix. Philadelphia lo scambia per una scelta al draft del 2018: Philadelphia con questa scelta prende, alla numero dieci, Mikal Bridges, scambiato poi coi Suns per arrivare a Zhaire Smith che in questa stagione ha giocato solo sette partite con 1.1 punti di media. Ottima mossa.
Tornando a MCW: Jason Kidd, coach dei Bucks, gli preferisce Antetokounmpo nella posizione di point guard (e come dargli torto?), nonostante il greco sia un’ala piccola ma fin da subito si capisce che le cose non possono funzionare tra Carter-Williams e i Bucks. La seconda stagione dell’ex Syracuse, squarciata da una cessione inaspettata, finisce in sordina e per di più con un infortunio. Il giorno della trade su Twitter scrive: “I can’t lie I’m shocked. I love this city thank you for everything. I can honestly say I gave it my all. I wish Philly nothing but the best” e leggere questa cosa ci ha fatto dispiacere un pochino.
Carter-Williams non si aspettava assolutamente una trade, convinto che sarebbe diventato il pilastro della squadra assieme a Nerlens Noel e Joel Embiid.
A fine stagione per Carter-Williams arriva un’altro scambio, coi Chicago Bulls che spediscono a Milwaukee Tony Snell e si prendono il nostro ROY 2013. Anche qui, agli ordini di Fred Hoiberg, MCW non riesce a giocarsi bene le sue carte, risultando il meno convincente del trio di point guard che comprendeva anche Jerian Grant, che non è mai stato irresistibile, e Rajon Rondo, lui forte vero ma a Chicago era davvero in guerra con l’allenatore. Nonostante una situazione apparentemente favorevole, anche l’esperienza ai Bulls per MCW è stata da dimenticare.
È chiaramente iniziato il valzer delle squadre, quel momento in cui le franchigie NBA si girano il tuo contratto perché sei giovane e hai uno stipendio che non influisce in maniera importante sul salary cap. Così ognuno prova a vedere se può essere la squadra giusta per ripartire, con lo stesso spirito con cui si compra un gratta & vinci da cinque euro: tra una settimana ti sarai dimenticato della spesa ma se vinci puoi sognare per davvero. Nel 2017/18 c’è un’altra nuova destinazione: Charlotte, dove Carter-Williams è il cambio di Kemba Walker, in un dualismo che potrebbe anche funzionare.
In realtà diventa ben presto una stagione incolore e nonostante MCW riesca comunque a mettere assieme più presenze delle ultime due stagioni, il destino lo punisce con un infortunio alla spalla che gli fa salutare compagni e parquet con qualche mese di anticipo.
L’anno dopo è quello sicuramente buono per un bell’altro giro su una giostra completamente diversa: MCW riparte da Houston, una squadra che ha voglia di Finals e proprio per questo viene praticamente escluso dalle rotazioni dei texani. A gennaio viene rispedito a Chicago e tagliato, poi firma con i Magic un contratto di dieci giorni, che è tipo quando non sanno nemmeno loro perché lo stanno facendo, ma sorprendentemente l’accordo viene rinnovato e poi prorogato fino al termine della stagione successiva e quando sembra che le cose possano andare per il meglio, nonostante le prestazioni sempre insipide, è scoppiata una bella pandemia che, se non altro, lo ha messo in ghiacciaia da giocatore dei Magic.
Solo un grande inizio
Cosa non ha funzionato nella carriera di un giocatore di così belle speranze? Si è parlato di tanti fattori, che ovviamente vengono tutti fuori solo quando fallisci o ti ritiri e quindi MCW si è preso vagonate di fango manco fosse stato preso alla sessanta per sbaglio.
Lo stupore per il suo impatto con la NBA, che solitamente taglia le gambe a giocatori ben più dotati di Carter-Williams, ha lasciato spazio forse al rimpianto per esser stato scaricato da una franchigia in pieno rebuild come i 76ers, che hanno preferito scambiare il ROY in carica per una futura scelta tutta da vedere. In realtà i problemi del ragazzo sembrano puramente tecnici e tattici: poche soluzioni nel proprio arsenale, meccaniche di tiro e di passaggio da rivedere e anche problemi di postura.
Quello che rimane di MCW è un folgorante esordio, sognato da decine di giocatori che magari hanno scritto la storia prima e dopo di lui ma non sono riusciti a partire col botto in quel modo e, conoscendo l’ego smisurato di alcuni di loro, immagino che non dormano la notte al pensiero di essersi fatti sfuggire il ROY, che mi sembra l’unico premio che si può vincere una sola volta in carriera. Per fare un esempio, nel Draft 2003 c’erano LBJ, Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade tutti assieme, ma solo LeBron ha portato a casa il riconoscimento che spetta al miglior esordiente. Mi fa ridere, a MCW si e ad Anthony, Bosh e Wade no.
Sam Hinkie e il suo staff lo sapevano fin da subito? Molto probabilmente sì, quando un ragazzo arriva in NBA nella maggior parte dei casi lo staff di una franchigia conosce praticamente tutto di lui. O forse no, potrebbe essere anche l’esatto opposto poiché, considerati tutti gli errori commessi dai Sixers nelle ultime stagioni, non è che gli addetti ai lavori mi sembrino particolarmente preparati. Magari sapevano di non poter contare su di lui e hanno approfittato della situazione per sacrificarlo sull’altare della programmazione aziendale, come succede a tutti, non solo ai cestisti, ogni giorno. Probabilmente Michael Carter-Williams è stato una cometa, tutto qui, uno di quei giocatori che ogni tanto ti guardi e pensi al classico “what if…” prima di passare alla prossima storia Instagram.