Con le ultime mosse di mercato, possiamo dire che in casa Utah Jazz si sia davvero chiuso un ciclo, che ha visto la franchigia tornare ai vertici dopo tanti anni, ma non riuscire mai a compiere il passo decisivo verso il titolo. Dopo l’andazzo della scorsa stagione, infatti, era ben chiaro che in quel di Salt Lake City si sarebbe aperta una vera e propria rivoluzione.
Donovan Mitchell e Rudy Gobert, ormai ai ferri corti, sapevano benissimo di non poter più giocare insieme in quella squadra, che ormai aveva esaurito tutta la sua spinta produttiva. Durante i recenti playoffs, che hanno visto i Jazz uscire al primo turno contro i Dallas Mavs, era ben chiaro che i giocatori avessero la testa altrove, consci che l’eliminazione non si sarebbe potuta evitare. Gli attacchi di squadra risultavano inesistenti, e si concludevano solo con le giocate personali di Mitchell o con qualche tripla dall’angolo di Bogdanovic e Clarkson. Quin Snyder, l’allenatore artefice della lenta risalita di Utah negli ultimi 8 anni, dopo aver compreso la gravità della situazione, ha deciso di dimettersi, aprendo di fatto la strada allo smantellamento estivo.
Danny Ainge, arrivato a Salt Lake City nel dicembre 2021 e fautore di tanti successi nel corso della sua carriera manageriale, ha dovuto prendere subito in mano un malloppo di non poco conto. Ai tempi la squadra aveva un record di 19 vittorie e 7 sconfitte, e nessuno di noi si sarebbe aspettato un simile tracollo. Ma l’ex Boston, dall’alto della sua grande esperienza, aveva capito fin da subito che qualcosa non andava. “Tra i giocatori non c’era dialogo, nessuno sembrava credere in se stesso e soprattutto negli altri. Certi fattori li riconosci subito, ed infatti le mie cattive impressioni sulla post-season si sono rivelate corrette” Nel corso del suo periodo come GM dei Celtics, Ainge, dopo aver smantellato la squadra del titolo del 2008, era riuscito a ricostruire in breve tempo un roster competitivo, grazie soprattutto alle azzeccatissime mosse al draft (Terry Rozier nel 2015, Jaylen Brown nel 2016, Jayson Tatum nel 2017 e potremo andare avanti per un bel po’). Tuttavia, dopo aver studiato la situazione nel dettaglio, il buon vecchio Danny aveva capito che questo era il momento giusto per provare a ripetere una simile impresa. “I problemi di squadra li devono risolvere i giocatori ” continua “ma ciò non è stato possibile. Vedere in campo un team così mal amalgamato è un dispiacere sia per noi che per il pubblico.”
E così, arrivati a fine settembre, gli Utah Jazz, dopo aver ottenuto due giovani interessanti come Jarred Vanderbilt e Walker Kessler (coinvolti nella trade Gobert) e ottimi asset pronti e vogliosi di mettersi in gioco come Lauri Markkanen e Collin Sexton (arrivati da Cleveland in cambio di Donovan Mitchell), sono pronti a ripartire. Poche settimane fa sono arrivati anche il rookie Ochai Agbaji e Talen Horton-Tucker, in cerca di riscatto dopo la pessima passata stagione in maglia Lakers. Utah per il momento può contare su 17 giocatori con contratti garantiti, due in più del massimo consentito. Appare dunque probabile che, da qui ad inizio stagione, qualcos’altro si muova. Asset come Bojan Bogdanovic, Mike Conley e Jordan Clarkson potrebbero essere molto utili per arrivare ad ulteriori tasselli da affiancare al nuovo young core. Inoltre, dopo aver ricevuto ben 7 scelte al primo giro, si potrà investire a breve anche sui due possibili fenomeni del futuro, ossia Scoot Henderson e Victor Wembanyama. “Un reset era necessario” dichiara il GM Justin Zanik “non è stata una decisione facile, ma alla fine è parsa quella più ragionevole. Adesso si apre un nuovo ciclo, e faremo di tutto per poter tornare ad alti livelli in poco tempo”.