L’inizio della stagione 2022/23 si avvicina sempre di più e, come di consueto, è arrivato il momento delle annuali preview di inizio anno. Ci sono squadre che puntano al tanking sognando Victor Wembanyama, altre puntano a fare i playoffs e altre ancora al Larry O’Brien Trophy. Oltre queste, ecco quali, secondo noi, potrebbero essere le possibili sorprese di quella che speriamo possa essere una gran bella stagione NBA.
Autore
Alessio Modarelli
ApprofondimentiCharlotte HornetsCleveland CavaliersEastern Conference TeamsMinnesota TimberwolvesNBA in EvidenzaNBA PreviewNBA, National Basketball AssociationNew York KnicksToronto RaptorsWashington WizardsWestern Conference Teams
A Boston è ancora vivo il rammarico per la finale persa contro i Golden State Warriors. I Celtics sono crollati sul più bello, nel palcoscenico più prestigioso. E pensare che fino a gennaio la squadra di Udoka navigava nei bassifondi della Eastern Conference, con un gioco troppo zoppicante e un clima nello spogliatoio che non sembrava dei migliori.
Insomma per quello che è stato poi l’epilogo, è un antologia quella biancoverde davvero entusiasmante e beneaugurante in vista del prossimo campionato. Tuttavia per far sì che la storia abbia una prosecuzione e non finisca nell’albo delle meteore, Brad Stevens è subito corso ai ripari portando nella Beantown due solidi giocatori come Malcom Brogdon e Danilo Gallinari.
Entrambi saranno chiamati a limare quei difetti che hanno contraddistinto l’intera scorsa annata: la regia, i punti dalla panchina e lo spinoso problema delle palle perse.
Boston Celtics, come cambia il roster dopo il mercato
La prima mossa per ordine di tempo è stata certificata con la scelta numero 53 del draft JD Davison. Il prodotto di Alabama fa dell’atletismo e soprattutto della verticalità i propri cavalli di battaglia, nonostante un’altezza che non lo vede toccare i due metri.
Testardo se c’è uno, la penetrazione a canestro costituisce la croce e la delizia del suo bagaglio tecnico,una giocata tentata il più delle volte, che in alcune occasioni si tramuta però in una sanguinosa palla persa.
Altro aspetto da non sottovalutare,e sul quale coach Udoka dovrà riporre attenzione, è l’inconsistenza da oltre l’arco dove nell’ultima edizione della NCAA il giocatore ha registrato un misero 29.3%.
Successivamente nelle seguenti settimane, con l’apertura della free agency 2022 è arrivato il piatto forte della off-season dei Boston Celtics. La prima novità è arrivata sull’asse Atlanta-San Antonio, con gli Hawks che nella trade che ha visto coinvolto la star degli Spurs Dejounte Murray, hanno inserito tra gli asset, le prestazioni di Danilo Gallinari.
L’azzurro che tra qualche giorno spegnerà le trentaquattro candeline, e prossimo agli ultimi scampoli della sua carriera nella lega americana, si è subito accordato con i texani per un buyout. Ciò gli ha permesso di esaminare le offerte arrivate sul tavolo, tra cui le più rilevanti sono state quelle dei Miami Heat e dei Boston Celtics.
Alla fine a prevalere sono stati i biancoverdi con cui l’ex Clippers ha firmato un biennale da 13,5 milioni di dollari complessivi. Ai piedi del TD Garden Gallinari potrebbe essere quello scorer dalla panchina che tanto è mancato nella scorsa stagione.
La sua dimensione perimetrale è sicuramente la migliore arma che può offrire alla causa dei Celtics, una specialità quella del tiro da tre che lo ha visto chiudere le ultime quattro stagioni con percentuali vicine al 40%. Nondimeno sono da prendere in considerazione anche le lacune difensive, le quali potrebbero essere parzialmente oscurate dall’ottimo sistema architettato da Udoka nella passata stagione.
L’altro volto nuovo in casa Celtics è quello di Malcolm Brogdon, poliedrico regista arrivato da Indiana. Boston per mettere mano al giocatore ha dovuto imbastire una trade con i Pacers che ha visto coinvolte la prima scelta 2023 e le seconde linee Daniel Theis, Aaron Nesmith,Nik Stauskas, Malik Fitts e Juwan Morgan. Insomma una trattativa che ha fatto felice soprattutto la formazione del Massachussets, la quale non ha dovuto sacrificare nessuno dei pezzi forti della rosa.
Così facendo i biancoverdi si sono portati a casa un grande giocatore in entrambe le metà campo, capace di dare ritmo, intensità e qualità in uscita dalla panchina. Seppur martoriato negli ultimi anni da tutta una serie di infortuni, l’ex giocatore tra le altre dei Milwaukee Bucks, porta nello specifico un ottima visione di gioco, una difesa diligente e discrete doti in fase di tiro. Nell’ultimo campionato Brogdon ha disputato complessivamente 36 partite, mettendo a segno una media di 19.1 punti 5.9 assist, 5.1 rimbalzi.
Come giocheranno i Boston Celtics 2022/2023?
Il quintetto base dovrebbe ripresentarsi nella stessa forma con cui l’abbiamo conosciuto nella scorsa stagione:
- Marcus Smart
- Jaylen Brown
- Jayson Tatum
- Al Horford
- Robert Williams
Lo starting five, oliato e coeso, sarà chiamato a confermare lo straordinario ruolino di marcia dimostrato nella seconda parte della passata stagione. Le maggiori riserve in questo senso vertono su Horford, il quale seppur reduce da una grandissima annata sul piano fisico e tecnico, dovrà essere comunque impiegato con cognizione di causa, data l’età e l’importanza all’interno del sistema cestistico biancoverde.
Ovviamente il peso specifico della franchigia verrà pesato anche sulla base della crescita delle due star Jayson Tatum e Jaylen Brown, dalle quali ci si attende un ulteriore step di maturazione, soprattutto nella gestione dei palloni più “caldi”. Dalla panchina, vista la penuria di opzioni e profondità emersa nello scorso campionato, arriveranno forze fresche e di qualità come Danilo Gallinari e Malcom Brogdon, le quali si aggiungeranno ai già presenti Payton Pritchard, Grant Williams, Derrick White e Luke Kornet. Insomma i Boston Celtics si presenteranno ai nastri di partenza della nuova edizione della NBA, come una delle squadre più credibili per arrivare all’ambito Larry O’Brien Trophy.
Il futuro prossimo che attende i Detroit Pistons potrebbe essere di quelli in cui non è utopia tornare a riveder le stelle. Dopo anni di anonimato giustificati da un complesso e diuturno processo di ricostruzione, il gm Troy Weaver avrebbe messo a segno due scelte di buona qualità che rispondono ai nomi di Jaden Ivey e Jalen Duren.
Entrambi, seppur in ruoli distinti, fanno dell’atletismo e dell’esplosività due delle chiavi del loro gioco. Ivey, selezionato alla numero sei è un concentrato di intelligenza, tecnica e velocità. In attacco può essere un’opzione letale nei pick and roll dove grazie a un eccellente ammortamento dei contatti diventa praticamente infermabile.
Nondimeno il nativo di South Bend si fa forte di un buon tiro da oltre l’arco, il quale nell’ultima stagione ha visto toccare il 40% su 4.2 tentativi a partita. Tuttavia la guardia ventenne deve ancora smussare le difficoltà nella conclusione dal palleggio, spesso eseguita con scarso equilibrio e quasi mai efficiente. Sul fronte della regia, l’ex Purdue dispone di una discreta visione di gioco, una caratteristica che gli permette spesso di imbucare i compagni anche in situazioni complesse.
Altresì nella metà campo difensiva egli si fa notare per le buone letture e per la capacità di sapersi accoppiare quasi con ogni attaccante della squadra avversaria. Tutto ciò grazie alla fulminea rapidità e mobilità, che si accompagna spesso a un’aggressività benigna, ma che delle volte lo manda in netta confusione.
Passando invece a Jalen Duren, il giocatore è approdato a Detroit tramite una trade imbastita con i Knicks e gli Hornets. Il prodotto dei Memphis Tigers andrà a rinforzare il reparto lunghi che ha visto in Isaiah Stewart la sorpresa dell’ultima stagione.
Classe 2003, il neo arrivato ai Pistons è un autentico armadio di 2 metri e 11 , che ha un buon arsenale da giocarsi soprattutto in difesa. Nella propria metà campo fa della stoppata e del dominio a rimbalzo il suo biglietto da visita. Tuttavia permane a un annoso problema legato alla troppa aggressività, che il più delle volte gli costa delle partite macchiate da un gran numero di falli.
In attacco si distingue per le abilità in fase di pick and roll e per i conseguenti lob che spesso si vede recapitare dai compagni. Nondimeno il giocatore avrebbe ancora da lavorare parecchio nella conclusione, dove soffre particolarmente i liberi e i tiri da oltre l’arco.
Insomma, se per Ivey parliamo di un profilo già in una fase di crescita ben impostata, per Duren sarà necessario un lavoro più a fuoco, che vada a scolpire e fortificare quei fondamentali che non possono essere certo dimenticati in una lega di altissimo livello come la NBA.
Tuttavia a rimanere indubbia è potenzialità, una cosa che è stata sottolineata per entrambi i cestisti dal front office dei Detroit Pistons ai microfoni di Detroit Free Press:
“Durante tutto il processo avevamo circa 7 ragazzi che ci piacevano molto, e questi due erano in cima alla lista. Hanno un grande potenziale” così Weaver “Siamo davvero elettrizzati. “Ivey e Hayes possono giocare assieme“, dice invece coach Dwane Casey su un ipotetico quintetto a tre guardie con Jaden Ivey accanto a Killian Hayes e Cade Cunningham “Lo scorso anno giocavamo spesso con tre guardie, Jaden ci dà atletismo e rapidità, Killian presenza difensiva. Cade (Cunningham, ndr) ti dà di tutto. Si, credo che vedrete le tre guardie parecchio l’anno prossimo, il motivo per cui abbiamo voluto Ivey qui è perché ci dà delle qualità che con Cade e Killian non avevamo (…) e vogliamo giocare più rapidi e sfruttare le qualità di Ivey e Duren di correre per il campo, avremo tante combinazioni diverse“.
“Duren e Isaiah Stewart sono giocatori diversi” ancora Weaver “Jalen è più grosso e ha più presenza, Stewart ha dimostrato di poter coprire più campo e tirare da tre. Li vedo giocare assieme come abbiamo visto fare a Al Horford e Robert Williams a Boston, e anche a Cleveland si gioca con due lunghi“.
Ciò che per Casey non conterà, almeno all’inizio, sono gli inevitabili errori di una squadra giovane: “Gli ho detto che non importa finché sono buoni errori, si gioca duro e si sbaglia giocando duro. Ed è ciò che questi due ragazzi sanno fare, giocare duro“.
Mercato NBA: Rockets e Magic chiedono una prima scelta per Gordon e Ross
Scritto da Alessio Modarelli
Tra le squadre NBA in via di ricostruzione, i nomi di Rockets e Magic sono certamente tra le più in vista del momento. Entrambe sarebbero alla ricerca del piano giusto su cui impostare un progetto di ripartenza che possa restituire lo splendore dei vecchi tempi.
A Orlando, dopo l’epoca d’oro sotto la guida di Dwight Howard la franchigia ha sempre galleggiato tra i bassifondi della lega e l’ottavo posto. A Houston invece, il titolo tra il 2016 e il 2020 era diventata una fiammella accesa dalla presenza della miglior versione di James Harden, accompagnata nel biennio tra il 2017-2019 dalla regia di Chris Paul. Tuttavia in Texas, nonostante le ambiziose premesse, i biancorossi si sono più volte dovuti scontrare con la netta superiorità dei Golden State Warriors, assoluti protagonisti della lega americana nell’ultimo decennio.
Insomma per entrambe l’obiettivo in questa offseason sarà quello di patrimonializzare, cedendo gli esuberi e puntando sulle scelte che verranno fatte al draft.
Secondo Kurt Helin di Yahoo Sports gli Orlando Magic sarebbero ben lieti di piazzare sul mercato Terrence Ross, il quale entrando nell’ultimo anno di contratto potrebbe essere impacchettato e spedito usufruendo di uno scambio. Nondimeno la squadra della Florida avrebbe messo come paletto imperante la possibilità di ricevere dalle società interessate una prima scelta.
Ala piccola ma all’occorrenza anche guardia tiratrice, il prodotto di Washington State potrebbe fare al caso di quelle formazioni in cerca di rinforzi in uscita dalla panchina.
Spostandoci a Ovest, i Rockets sarebbero intenzionati a privarsi di Eric Gordon attraverso uno scenario di sign and trade. L’ex Pelicans potrebbe anch’esso far gola alle compagni in lotta per il titolo, servendosi della sua grande esperienza e delle buone doti in fase offensiva, dove a spiccare è certamente la conclusione da oltre l’arco. Sullo sfondo ci sarebbe un timido interesse dei Philadelphia 76ers , che nel frattempo starebbero cercando acquirenti per l’acciaccato Danny Green.
Washington Wizards, Beal sul futuro: “Sarò dove c’è possibilità di vincere”
Scritto da Alessio Modarelli
In casa Washington Wizards da tempo tiene banco il futuro di Bradley Beal. L’ala piccola dovrà infatti decidere il proprio destino in queste settimane, avendo sul tavolo la possibilità di restare nella capitale con un’opzione da 36.4 milioni di dollari, oppure sondare il mercato della free agency in quel di luglio.
Nell’ultima stagione il numero 0 ha partecipato solo a 40 partite, fermandosi definitivamente a dicembre per operarsi al legamento scafolunato destro. In quella breve parentesi, la squadra diretta da Wes Unseld Jr aveva dato degli ottimi segnali giocando una buona pallacanestro in entrambe le metà campo e siglando un record di 10 vittorie e 3 sconfitte.
Tuttavia in coincidenza dell’assenza forzata della loro star, Washington è progressivamente crollata terminando la regular season al dodicesimo posto. L’obiettivo per l’ex prodigio dei Florida Gators è chiaro: provare nel prime della carriera a giocarsi le chance di titolo.
Ai piedi della Capital One Arena Beal si è sempre contraddistinto per il suo forte attaccamento alla causa rossoblu e non sarebbe dunque una sorpresa se il matrimonio iniziato nel 2012 potesse conoscere un nuovo capitolo. Gli Washington Wizards disporrebbero attualmente di un roster ben assortito a cui mancherebbe forse una point guard di livello che possa ulteriormente alzare il livello di regia offensiva. Inoltre la compagine capitolina necessiterebbe di un lavoro di rifinitura nel comparto riserve, dove un upgrade nella profondità del roster potrebbe rivelarsi utile nella gestione delle risorse, durante la stagione.
Tuttavia non sono da scartare le ipotesi di separazione, con i Miami Heat e i Portland Trail Blazers in prima fila per accaparrarsi il giocatore.
Intervistato da Taylor Rooks di Bleacher Report, Beal ha fatto il punto della situazione circa il suo futuro rimanendo altresì decisamente vago. L’unico fatto emerso è ovviamente la forte fame di vittorie che ha sempre distinto il nativo di St Louis:
“La mia scelta sarà in base a dove sento di poter vincere. Questa sarà la mia decisione. Se sento di poter vincere a Washington, è quello che farò. Voglio che la gente lo rispetti. Nella scelta considero poi la mia famiglia. Cosa vogliono fare? Dove vogliono vivere? In cosa si sentono a loro agio? E, ovviamente, la squadra. C’è un po’ di ansia perché devo prendere una decisione e il tempo stringe. Siamo a giugno. Ma è divertente trovarsi in questa posizione…”
Quella di domenica notte per i Boston Celtics è stata una pesante sconfitta. La squadra di Ime Udoka, dopo aver tenuto bene il campo nel primo tempo, è stata completamente spazzata via nella ripresa, sotto la maggiore intensità offensiva e difensiva dei Golden State Warriors.
A finire in copertina è stato poi l’episodio che ha coinvolto Draymond Green e Jaylen Brown, con il primo che ha rischiato seriamente di compromettere la sua presenza nel prossimo appuntamento di giovedì al TD Garden di Boston. Nella fattispecie, il numero 23 dei californiani era stato dapprima protagonista di un “incidente” ai danni di Grant Williams, che gli era costato il fallo tecnico.
Nel secondo periodo durante un’azione d’attacco dei Celtics, Jaylen Brown tenta una conclusione da 3 punti contestata puntualmente da Green. I due cadono a terra e le gambe dell’ala grande in maglia bianca finiscono sopra la testa del numero 7 di Boston.
A quel punto Brown cerca di liberarsi dall’avversario il quale reagisce tirando uno spintone. Quel che ne segue è un leggero parapiglia che si conclude con un nulla di fatto. Al termine della partita, intervistato, l’asso dei Boston Celtics ha dato la propria versione dei fatti su quanto accaduto:
“Non so cosa avrei dovuto fare. Mi ha messo le gambe sopra la testa. E poi ha cercato di tirarmi giù i pantaloni. Non so cosa sia successo. Ma questo è ciò che fa Draymond Green. Fa di tutto per vincere. Ti tira. Ti afferra. Manda all’aria il tuo gioco. Non c’è nulla di cui sorprendersi. Ha alzato la sua fisicità per cercare di fermarci e noi dobbiamo alzare la nostra. Non vedo l’ora di affrontarlo giovedì”.
Sulla questione si è espresso anche il tecnico dei biancoverdi Ime Udoka che, con un tono un poco più fumantino, si è detto non meravigliato sulla decisione degli arbitri di non fischiare il secondo fallo tecnico: “No, non mi ha sorpreso che non sia stato chiamato un doppio tecnico Non sono affatto sorpreso, viste le circostanze”.
Alla vigilia di gara 1, nessuno si aspettava un esito scolpito dal monumentale quarto periodo dei Boston Celtics. Per i Golden State Warriors è stata invece una doccia gelata, dopo una partita che al termine del terzo quarto sembrava sulla buona strada per essere portata a casa.
La squadra di coach Kerr è inciampata così nella prima sconfitta casalinga nel corso di questi playoffs, confermando ancora una volta la bontà dell’avversario, che con la vittoria della scorsa sera ha raggiunto gli otto successi su dieci partite, lontano dal TD Garden.
In vista del secondo scontro al Chase Center, diversi potrebbero essere gli aggiustamenti da una parte e dall’altra, in particolar modo con i californiani chiamati a una decisa risposta per riportare in parità la serie.
I Dubs dovranno necessariamente tenere elevato il livello di tensione agonistica per tutta la partita, una componente che ha determinato in parte l’inspiegabile crollo nel quarto periodo e che potrebbe rivelarsi fattore decisivo nei momenti chiavi di gara 2.
Altro aspetto da tenere d’occhio sarà la gestione delle rotazioni. Questa ha suscitato diverse perplessità nell’ambiente Warriors, vista la decisione di Steve Kerr di lasciare ampiamente in panchina Curry nel secondo quarto, nonostante lo show da 21 punti maturato nel primo.
Urge poi una menzione per Jordan Poole e Draymond Green, differenti per condizione psicologica, ma entrambi reduci da un’opaca prestazione.
Il primo è incappato in una complicata performance offensiva (9 punti e 2 assist in 25 minuti), figlia forse anche della prima finale in carriera. Il secondo invece è stato assente ingiustificato nell’economia difensiva di Golden State. Pasticcione e impreciso, Green non è mai riuscito a imporre il proprio timbro sulla partita, perdendo alcuni palloni pesanti e sbagliando troppo in attacco.
Insomma, da entrambi servirà una pronta reazione per riportare sui binari giusti una serie che in caso di nuova sconfitta, rischia seriamente di compromettersi.
Lato Celtics: confermarsi per mettere un altro tassello in chiave titolo
Udoka ha di che essere contento. Boston ha ancora una volta dimostrato il carattere della grande squadra, rimanendo a galla nel momento più critico per poi scatenarsi nel finale di partita.
Certamente la dipartita offensiva e difensiva degli Warriors ha inciso sull’insperata rimonta, ma non si può tuttavia declinare l’ingente lavoro nella propria metà campo operato dalla squadra del Massachusetts, che sofferente per tre quarti, è invece uscita alla distanza nell’ultimo periodo.
In fase offensiva, da segnalare l’intelligente decisione di abbassare il quintetto per aprire di più il campo. Questo aggiustamento ha permesso infatti a Boston di avere una maggiore pericolosità oltre l’arco, aprendo le porte per le conclusioni di White e Horford, risultate decisive ai fini del successo finale.
In prospettiva, i Celtics dovranno operare un accorto tamponamento ai bombadamenti iniziali di Golden State, che sicuramente tenterà di partire ancora con il piede schiacciato sull’acceleratore. Uscire indenni da questa situazione potrebbe difatti rappresentare lo spartiacque del match.
Sul fronte dei singoli, dovrà presentarsi sotto una veste diversa Jayson Tatum, autore di una prima gara complessa sul piano realizzativo ma di assoluta qualità negli assist (ben 13) e nell’apporto difensivo.
Per quel che concerne il resto della truppa biancoverde, è attesa una voce di conferma nelle ottime prestazioni di gara 1 le quali, se fossero in parte replicate, potrebbero costituire un importante tassello sulla via della vittoria.
“E’ incredibile”, dopo 141 partite di playoffs in carriera al Horford è alle Finals
Scritto da Alessio Modarelli
Quella che sembrava essere una maledizione è finalmente spezzata. I Boston Celtics centrano la loro ventiduesima apparizione alle NBA Finals, dopo nove anni di progettazione e quattro finali di Conference disputate.
La vittoria in gara 7 contro i Miami Heat è stato il compimento di una svolta stagionale iniziata a gennaio e proseguita in un crescendo rossiniano di vittorie, condite da una splendida fase difensiva.
Tra i protagonisti di questo intenso viaggio c’è Al Horford, vera rivelazione della post-season e pilastro del sistema di gioco architettato da coach Ime Udoka.
Nella notte della FTX Arena, il numero 42 biancoverde ha lavorato tanto sotto traccia, ergendosi a muro nella propria metà campo e lasciando il compito realizzativo ai compagni. Alla sirena il tabellino ha recitato 5 punti e soprattutto 13 rimbalzi.
Per l’ex Thunder, quella di giovedì contro gli Warriors sarà la prima apparizione alle Finals, dopo una carriera che lo ha visto prendere parte a 141 incontri di playoffs, senza mai raggiungere l’atto conclusivo.
Eppure nella quindicennale esperienza nella lega americana, diverse sono state le occasioni per centrare il palcoscenico più ambito: nel 2016 con la casacca di Atlanta, le speranze del lungo dominicano si schiantarono contro l’egemonia del Re e dei suoi Cleveland Cavaliers.
Nel 2017 e nel 2018, passato nel frattempo ai Boston Celtics, fu ancora LeBron James a sbarrargli la strada verso le finali. Insomma un percorso tortuoso e una rincorsa durata un’eternità, che giovedì troverà una degna chiusura del cerchio.
Come riportato da Ryan Young di Yahoo Sports, al termine del match, un fiume emozionale ha travolto Horford, che nelle parole rilasciate ad Alex Barth di 98.5,non ha nascosto orgoglio ed entusiasmo per un traguardo raggiunto insieme a un gruppo, quello dei Celtics, definito “speciale”: “Sono emozionato ed eccitato . Ho lavorato duramente, ho fatto parte di molte buone squadre, buoni compagni di squadra. Sono molto orgoglioso di questo gruppo… per me è davvero speciale farne parte”.
Dopo le numerose voci dei giorni scorsi, in casa Lakers è arrivata finalmente l’attesa fumata bianca: Darvin Ham sarà il ventiquattresimo coach della franchigia gialloviola.
Il quarantottenne originario del Michigan ha superato la concorrenza di Terry Stotts e Kenny Atkinson, ed è pronto a prendere le redini di una macchina, che nell’ultimo anno ha sbandato paurosamente.
Il compito in prospettiva è di quelli più complessi: far tornare competitivi i californiani, seppur in un contesto salariale che non permette grandi rivoluzioni. Sarà dunque fondamentale cementare il nucleo di stelle e forgiare la rosa di una chimica cestistica, quella che è mancata in maniera più evidente lo scorso anno.
Per Ham sarà la prima stagione da capo allenatore, dopo una decennale esperienza da assistente tecnico. Campione NBA con la maglia dei Detroit Pistons nel 2004, l’ex prodotto della Texas Tech University ha conseguito una carriera da giramondo nella lega americana, con un breve intermezzo trascorso a Granada nel 1999.
Dopo il ritiro avvenuto nel 2008, nel 2011 il nativo di Saginaw aveva iniziato la propria carriera da tecnico proprio ai Lakers, e più precisamente come assistant coach di Mike Brown. Nel 2013, lascia i gialloviola per accasarsi sotto la regia di Mike Budenholzer, prima nella parentesi quinquennale agli Atlanta Hawks, e poi in quella più fortunata ai Milwaukee Bucks.
Carattere granitico e deciso, Ham si è fatto spesso apprezzare per le doti comunicative e la grande capacità di sapersi relazionare con le star, un dettaglio da non poco in un lido, come quello dei Lakers in cui a farla da padrone sono tre personalità ingombranti: Russell Westbrook, LeBron James e Anthony Davis.
Come riportato da Yahoo Sports, tanti sono stati i complimenti che sono piovuti nelle ultime ore, tra cui a spiccare è Giannis Antetokounmpo, star dei Bucks che con l’ex Hawks ha condiviso le ultime quattro stagioni, con l’exploit del titolo conquistato l’anno passato. “Sono molto contento per lui. È la persona giusta per loro. Con ogni persona è sempre sincero. Non dice mai stronzate. Era ora. Se lo merita più di chiunque altro”.
Suns, James Jones: “Ayton grande stagione, Chris Paul va gestito meglio”
Scritto da Alessio Modarelli
La stagione dei Phoenix Suns è una medaglia a due volti: splendida nella regular season e deludente se non tragica ai playoffs. Eppure la franchigia dell’Arizona ha scritto pagine importanti della sua cinquantennale storia conseguendo 64 vittorie (record societario) e la più lunga striscia di successi consecutivi (ben 18).
Ora, dopo la cocente eliminazione in gara 7 contro i sorprendenti Mavericks di Dončić , per la compagine del proprietario Robert Sarver è giunto il momento di programmare il futuro, un avvenire su cui incombono diverse incertezze.
Tra i temi più scottanti ci sono i destini di Deandre Ayton e Chris Paul, due delle anime che hanno guidato la rinascita dei Suns in questo biennio.
Intervistato da Duane Rankin di azcentral.com, il gm James Jones si è prodigato in una lunga chiacchierata nella quale ha provato a fare il punto della situazione per entrambi i giocatori.
In primo luogo è stato immediatamente attenzionato lo stato di Deandre Ayton, restricted free agent in estate e pronto a cambiare casacca in presenza di un’offerta allettante.
L’ex Wildcats, alle porte dell’ultimo anno di contratto da rookie, aveva infatti rifiutato la proposta di rinnovo recapitata lo scorso anno. Da quel momento però nessuna delle altre 29 franchigie ha chiesto informazioni o mostrato un tiepido interesse per il centro delle Bahamas.
Un’opzione da mettere sul tavolo potrebbe essere quella della sign and trade, un’ipotesi che farebbe gola alla dirigenza dei Phoenix Suns, desiderosa di mettere le mani su una guardia di valore.
L’eventuale squadra con cui contrattare si porterebbe invece con sé un lungo che anche in questa stagione ha chiuso con una doppia doppia di media: 17,2 punti e 10,2 rimbalzi in 58 partite.
Un’annata insomma positiva dalla cui sottolineatura non poteva esimersi il general manager James Jones.
“Deandre ha avuto una grande stagione, una stagione davvero produttiva. Penso che in generale, se si guarda a ciò che ha fatto, sia migliorato. È una testimonianza di lui e del suo duro lavoro. È quello che ci si aspetta da un giocatore del suo calibro”.
Il dirigente originario della Florida è tornato pure sulla tanto discussa sostituzione che ha visto Ayton uscire nel terzo periodo in gara 7 contro Dallas, quando Booker e compagni erano sotto di 38 punti.
“È una di quelle cose in cui entra in gioco una forte componente emotiva. È un gioco di emozioni e sentimenti e a volte i sentimenti vengono feriti, si elaborano e si va avanti, ma siamo adulti. Siamo compagni di squadra. Siamo uomini adulti. Queste cose si gestiscono, si superano e migliorano”.
Successivamente il due volte campione NBA con i Miami Heat è stato sollecitato sulle prospettive inerenti a Chris Paul, ormai prossimo al tramonto della sua brillante carriera.
La star dei Phoenix Suns ha ancora in serbo le ultime cartucce da sparare. La competizione è alta e il tempo scorre, motivo per cui la società di Robert Sarver dovrà fare il possibile per mettere a disposizione una rosa in grado nuovamente di lottare per grandi obiettivi.
“Chris tornerà e migliorerà. Dopo le difficoltà trova sempre il modo di migliorare, ma poi i nostri ragazzi sono una squadra, è un gioco di squadra. Ogni anno ci sono delle opportunità, dei periodi della stagione in cui i ragazzi devono assumere un ruolo più importante, un carico maggiore, portare e gestire un carico maggiore. E penso che lo abbiamo fatto bene durante la stagione regolare, non altrettanto nella post-season. Ed è da qui che credo dovremo ripartire per migliorarci “.
Suns eliminati, Chris Paul: “Non mi ritiro, saremo ancora qui l’anno prossimo”
Scritto da Alessio Modarelli
Karl Marx diceva: ”la storia si ripete”, una frase che ben riassume il momento storico dei Phoenix Suns, per il secondo anno di fila in vantaggio 2-0, rimontati e sorpassati sul campo casalingo dagli avversari. Se l’anno scorso la macchina di Monty Williams aveva frenato sul palcoscenico delle NBA Finals, quest’anno Booker e compagni si sono arresi alle magie di Luka Doncic e alla difesa di acciaio dei suoi Dallas Mavericks.
Una gara 7 mai in discussione, con gli uomini di Kidd che raggiungono addirittura i 46 punti di scarto nel quarto periodo, il più alto degli ultimi 25 anni.
All’orizzonte per i Suns si profila un’estate caldissima, visto il sicuro addio di Ayton e la delicata situazione attorno a Chris Paul.
Il trentasettenne è stata l’anima della rinascita della franchigia di Robert Salver, colui che dalle ceneri ha costruito e condotto il gruppo nelle élites della lega.
Nella serie con Dallas, dopo una partenza sprint, condita da una media di 23,5 punti, l’ex giocatore di Houston si è decisamente eclissato raccogliendo nelle successive quattro partite solo 9.3 punti di media.
Nella gara della scorsa notte, Chris Paul ha siglato il primo canestro solo a metà terzo quarto, quando la squadra sotto di 40 lunghezze aveva già alzato bandiera bianca. Nondimeno va pur sempre ricordato l’annoso problema al quadricipite sinistro, che lo ha accompagnato per tutto il match e che ne ha inevitabilmente condizionato la prestazione.
A fine gara intercettato da Dave McMenamin di ESPN il regista di Phoenix ha messo a tacere le voci circa un possibile ritiro, lanciando una frecciatina ai detrattori che hanno inquadrato questi playoffs come la grande e ultima chance della sua carriera.
“Se giochi abbastanza a lungo e non vinci, ogni volta che perdi diranno che era la tua migliore occasione,ma penso che per me e per noi, l’anno prossimo saremo di nuovo qui. Questo è certo, non mi ritirerò domani, grazie a Dio. Spero di tornare in salute. Ma continuerò a giocare”.
Coach Monty Williams lapidario: “E’ stata la peggiore partita della stagione”
A parlare della bordata subita al Footprint Center è stato anche il tecnico dei Suns Monty Williams, che non ha usato troppi epiteti per definire una performance completamente deficitaria.
“Abbiamo praticamente giocato la nostra peggior partita della stagione. Ho detto loro che per tutto l’anno abbiamo sentito solo elogi, vincendo tutte le partite, stabilendo record e altre cose del genere. Abbiamo accettato e gradito. Beh, stasera gli ho detto che se la devono prendere anche loro. Fa parte dell’essere uomini”.
Nets, Amar’e Stoudemire lascia e punge Irving: “La sua decisione ci ha danneggiati”
Scritto da Alessio Modarelli
In casa Nets è tempo di riflessioni dopo la prematura uscita dai playoffs. La squadra newyorchese si affaccia al bivio estivo con più dubbi che certezze, dove un collettivo costruito per vincere rischia anzitempo di dissolversi dopo un ciclo biennale.
Se Kevin Durant per ragioni contrattuali sarà il punto su cui rimodellare il roster, il gm Sean Marks deve fare i conti con la situazione di Kyrie Irving, croce e delizia della travagliata stagione appena conclusa.
Il nativo di Melbourne ha sul tavolo un’opzione contrattuale di un altro anno, questa però potrebbe venire rigettata per due ragioni: riformulare un nuovo accordo oppure sondare la free agency.
Secondo Dana Gauruder del portale Hoop Rumors, i dirigenti di Brooklyn vogliono viaggiare sulla linea della prudenza, e l’intenzione è quella di scrutare fino in fondo le motivazioni dell’ex Celtics.
Insomma, prima di accollarsi un investimento i Nets cercano debitamente delle garanzie, quelle che Irving, dal suo arrivo nel 2019, non ha mai saputo dare.
Tra assenze dettate dalla scelta di vaccinarsi, comportamenti strambi e la poca chimica con i compagni, la parentesi bianconera dell’ex enfant prodige in maglia Cavs, si è rivelata un’autentica disfatta, controbilanciata parzialmente da alcune prestazioni ragguardevoli.
Tuttavia, semmai le parti dovessero di nuovo concordare una nuova unione, la speranza per i viscerali tifosi dei Nets, è quella di rivedere un giocatore rivitalizzato, avverso alle sfumature extra campo e totalmente dedito alla sua professione, la stessa che in alcuni frangenti ha saputo raccontare con numeri straordinari.
L’auspicio unisce anche Amar’e Stoudemire, assistente uscente allo sviluppo dei giocatori nello staff di Steve Nash, che più di chiunque altro ha vissuto la quotidianità del numero 11. Intervenuto alla trasmissione First Take di ESPN, l’ex Suns ha concesso due battute sul complesso momento attorno a uno dei big della compagine newyorchese.
“Credo che Kyrie debba impegnarsi in prima persona nel gioco della pallacanestro e che debba dimostrare quanto si stia impegnando per diventare un grande giocatore, perché credo che Kyrie avrebbe dovuto far parte della lista dei Top 75“, ha detto Stoudemire. “Ma allo stesso tempo, deve prendere questa motivazione per la prossima stagione e dimostrare a se stesso di essere un giocatore di alto livello e di farlo in modo costante per tutta la stagione“.
Inoltre, il celebre centro dei primi anni 2000, non si è fatto scappare una piccola frecciatina, ancora una volta, sul vituperato atteggiamento balordo di Irving.
“Può dire di essere disponibile e pronto a giocare la prossima stagione, ma lo farà davvero o ha intenzione di rinnegare e di non giocare, e se questo sarà il caso, si creerà una situazione in cui lui dice che sarà disponibile ma non sarà così , e allora cosa si farà? Quindi ora bisogna negoziare questo aspetto nel contratto, cercando di trovare un modo per far sì che il contratto preveda che, se non gioca, ci siano “X” conseguenze”
Ultimi post