Le cosiddette ‘etichette’ fanno ormai parte della vita di ogni singolo essere umano. Chi non si è mai ritrovato affibbiato sulla propria pelle un appellativo, un epiteto simpatico (o antipatico) divenuto poi una sorta di marchio di riconoscimento? Di nomee, si sa, ce n’è per tutti i gusti: dal taccagno al secchione, passando dal genio incompreso allo scansafatiche. Ecco, proviamo a traslare un attimo questo discorso alla NBA. Una prassi banale, ma concisa.

Certi giocatori subiscono una classificazione dovuta alle proprie caratteristiche. Abbiamo il rim protector, il tiratore, il play vecchio stampo e via discorrendo. Il pacifico e sornione Kawhi Leonard è entrato nella lega come specialista difensivo divenendo, senza troppi preamboli, il migliore in marcatura della lega, colui che può tenere a bada chiunque, stringendolo in una morsa asfissiante e opprimente.  Lodato da tutti per le sue capacità, è stato di fatto etichettato. Tuttavia, pian piano, è riuscito a trovare quel misero pezzettino di carta e a strapparlo, a cestinarlo. Il ragazzo di Riverside ora è più spregiudicato, più agguerrito: in altre parole, si è saputo riciclare anche in attacco, dove è diventato un vero e proprio fattore. Tutto frutto di ore passate in palestra ad affinare il suo arsenale, a cercare di eliminare fastidiose sbavature in modo da essere impeccabili.

Una parabola ascendente, un’evoluzione, un upgrade. All’interno del tanto decantato sistema Spurs c’è rinnovato spazio ad azioni individuali, con la circolazione di palla che di tanto in tanto viene trascurata. Leonard, inevitabilmente, ne approfitta: ha più birra nelle gambe rispetto ad alcuni e perciò tende a penetrare in area bruciando la sua controparte, andando a concludere con un layup o con una schiacciata (se si può), oppure alzando un lob velenoso che si insacca inesorabilmente nella retina.

Leonard a segno, con un beffardo lob.

Un altro aspetto che ha curato con attenzione è quello relativo al mid range shot. Le statistiche parlano chiaro: nella passata stagione, ha eseguito da quella porzione di campo 347 tiri realizzandone 147 (percentuale del 42% circa);  nella regular season in corso sta tirando oltre il 46%, con la certezza che supererà il numero di tentativi relativo al 2015/16 (già toccata quota 345, mancano ancora svariate partite). Abnegazione e pulizia tecnica affinata lo stanno rendendo una macchina da punti affidabile.

In scioltezza riesce ad infilare un jump shot, repentinamente riesce a dilettarsi in uno step back che lascia di sasso chi tenta di arginarlo. Ha certamente acquisito più sicurezza: non a caso, va a alla conclusione solo se ci sono le condizioni per poterlo fare. Tirare con logica, senza forzare, è il mantra indissolubile. Gioca molti possessi, pur evitando di attirare tutti i riflettori su di lui. All’occorrenza è abile nel catch and shoot, soprattutto quando si parla di triple: a partita, più o meno, ne tenta almeno cinque (massimo in carriera finora). Cerca di seminare gli avversari mentre i compagni costruiscono l’azione, smarcandosi. Se qualcuno lo chiama, risponde sempre presente (o quasi). Come un felino che si muove a passo felpato, scaltro, prima di rifilare una graffiante zampata.

Una delle classiche giocate offensive di Leonard, arrivata sfruttando il blocco di LaMarcus Aldridge.

Solidità, prestanza fisica, fondamentali. Ingredienti di un cocktail dal sapore aspro e che da subito alla testa a non ti fa capire nulla. Leonard fa la sua figura anche spalle a canestro, giusto per non farsi mancare nulla. Grazie al suo footwork al suo vigore erculeo, attacca l’avversario,  finta e segna. Movenze eleganti e tremendamente letali allo stesso tempo.

Esaminare con attenzione lo sviluppo della manovra fa sì che il numero 2 prenda la giusta decisione nella maggior parte dei casi. Invece di andare a cacciarsi in una situazione intricata o di voler fare a tutti i costi il salvatore della patria, il taciturno Kawhi smazza assist: in media, almeno tre passaggi vincenti a partita vengono recapitati ai compagni, a turno. Tony Parker ogni tanto gli passa il pallone in punta o in ala affidandogli l’organizzazione. L’arte del playmaking e la visione di gioco necessitano di qualche passo in avanti, nonostante si viaggi su livelli perlomeno discreti.

Ricapitolando. L’impatto di Kawhi Leonard sull’attacco di San Antonio si può verificare anche vedendo l’usage percentage (percentuale di possessi offensivi di una squadra che si concludono con un’azione del giocatore in questione). Nella scorsa annata Kawhi ha raggiunto quota 25.8%, mentre ora che ha più mansioni da svolgere il valore è salito di quasi 6 punti.

In barba ai cliché o, appunto, alle etichette, il rampollo di casa Spurs ha ampliato il suo bagaglio tecnico sobbarcandosi sulle spalle grosse responsabilità. Ha in pratica raggiunto un’ambivalenza su entrambi i lati del campo  fondamentale per il proseguo di una carriera da primo della classe.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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