Minnesota Timberwolves: record 27-55
Tira un’aria fredda, a tratti tagliente, nella terra dei 10.000 laghi, ma d’altronde il clima è sempre stato rigido nel Minnesota, lo stato più settentrionale degli Stati Uniti dopo l’Alaska. Dal 2007, anno in cui il figliol prodigo ha abbandonato il branco, l’aria si è fatta sempre più gelida, così come la passione dei fan che da troppo tempo non trova esplosione nelle urla e negli schiamazzi da playoff. Da quando i Timberwolves sono entrati nella NBA, nel recente 1989, poche sono state le gioie sportive che si possono contare, e tutte sono da attribuire al giocatore più rappresentativo della storia della franchigia, Kevin Garnett. Adesso, alla veneranda età di 39 anni, The Big Ticket è ritornato in patria. E’ ritornato l’alfa pronto a guidare un nuovo branco di lupi più affamato. Toccherà a lui guidare un gruppo talentuoso, ma inesperto e anche privo del suo coach.
Il mercato dei Wolves si è focalizzato su Karl-Anthony Towns, prima scelta assoluta del draft NBA tenutosi a giugno. Il prodotto di Kentucky è stato il primo pensiero nella mente del front office, che fin da subito, gongolava all’idea del binomio Towns-Wiggins. Sempre dal draft è arrivato Tyus Jones, play dei campioni uscenti di Duke, che in primis era stato selezionato dai Cavs, per poi essere ceduto a Minnesota in cambio delle chiamate numero 31 e 36. Il vecchio continente ha regalato Nemanja Bjelica, star all’Eurobasket con la sua Serbia e Mvp dell’ultima Eurolega. Una trade inattesa con i Pacers ha portato Damjen Rudez, ala specializzata nel tiro da tre dall’angolo, ma ha dirottato Chase Budinger a Indianapolis. Gli ultimi due colpi hanno il nome di Tayshaun Prince e Andre Miller. I due veterani che hanno firmato un contratto di un solo anno sono giunti soprattutto come mentori di un roster troppo giovane e acerbo.
PG: Rubio
SG: LaVine
SF: Wiggins
PF: Towns
C: Garnett
Lo starting five di Minnesota è ancora un cantiere aperto. Oltre Wiggins, Rubio e Towns ancora non si sa di preciso chi sarà arruolato come shooting guard e come centro titolare. Dalle ultime indicazioni, fornite principalmente dalla prima gara di preseason, sembra che coach Mitchell, che siederà in panchina ad interim per sostituire Flip Saunders vittima del linfoma di Hodgkin, sia intenzionato a schierare dei quintetti equilibrati durante il corso della partita, inserendo fin dall’inizio LaVine e Garnett a discapito di Martin e Pekovic. Il quintetto iniziale dovrebbe quindi essere composto da Rubio, LaVine, Wiggins, Towns e Garnett, con Jones, Martin, Pekovic, Bjelica, Dieng, Payne, Miller, Prince e Muhammad che subentreranno a partita in corso.
Parlare di playoff sarebbe come chiedere a Curry di non sganciare mai più triple. Un atto innaturale. L’ottavo posto è un miraggio, una meta, che neanche il più preciso dei binocoli può intravedere. L’improbabilità di tale obbiettivo non è da attribuire alla qualità del roster dei Wolves, ma più che altro alla competitività della Western Conference, che come nel selvaggio west miete vittime senza alcun scampo. Di certo, quest’anno, si può e si deve fare meglio dell’imbarazzante record della scorsa regular season (16-66). Sembrano esserci tutte le carte in regola per poter disputare un’interessante stagione: dalla consacrazione di Wiggins, all’esplosione di Towns, al ritorno di Rubio, fino all’assistenza degli altri. Nel migliore dei casi, ovvero se tutte i tasselli si incastrassero alla perfezione, i Wolves potrebbero avvicinarsi alla soglia dei playoff. Nei peggiori dei casi, Minnesota navigherebbe ancora nei bassifondi melmosi della W. Conference. Nella realtà, a meno di eventi incredibili, i Wolves dovrebbero migliorare il loro bottino di vittorie, scalando una o due posizioni, ma non avvicinandosi mai ai posti che contano.
Anche se tutti gli indizi portano a Wiggins, l’elemento che più di tutti può cambiare il volto della franchigia è Ricky Rubio. Il play spagnolo, alla sua quarta stagione NBA, sembra essersi lasciato alle spalle i vari infortuni che ne hanno rallentato l’ascesa. Giunto in America in pompa magna, ha poi subìto, soprattutto nell’ultimo anno, un involuzione radicale che ha fatto sorgere molti dubbi all’interno del panorama cestistico. Inoltre la completa assenza di segnali di miglioramenti del suo punto debole, il tiro dalla lunga distanza, hanno corroborato ancor di più quei dubbi. Adesso per l’ex Barcellona è il momento di ritornare a quei livelli di un tempo, che lo consacrarono come una delle migliori promesse del basket mondiale. Sarà lui la mente e il motore dei Wolves. Dalle sue mani e dalle sue letture partiranno tutte le azioni e gli schemi. Senza ombra di dubbio il suo ruolo sarà decisivo per le sorti della truppa di Mitchell.
Zach LaVine potrebbe essere la piacevole sorpresa, l’elemento che non ti aspetti. Di certo il prodotto di UCLA non è rimasto all’ombra dei riflettori. La sua vittoria allo Slum Dunk Contest è stata una delle poche note positive di un’annata disastrosa, ma dallo schiacciare per divertimento ad essere decisivo e incisivo durante un match c’è di mezzo un oceano. LaVine ha però tutte le qualità per poter dare, fin dall’inizio, un contributo non di poco conto. Velocità, forza atletica, penetrazione, tiro dalla distanza e una discreta mobilità difensiva. Inoltre il suo ruolo sarà quello di guardia tiratrice e non più di play, come lo era stato in alcune occasioni l’anno scorso e in cui era emersa una notevole difficoltà nella lettura e nella gestione della palla. Il ritorno al suo ruolo naturale gli consentirà di poter esprimere al meglio le sue versatili qualità.
E’ dalla lontana stagione 2003-2004 che i lupi non accedono alla postseason. Undici anni di attesa, di tormenti e di sciagure, come una barca sballottata dalle onde, che non scorge i contorni di una terra agognata. Molto probabilmente bisognerà attendere ancora un altro anno, ma questa volta i semi sono stati piantati. Non resta che raccoglierli.
Per NBA Passion,
Gabriele Timpanaro (@GabrielsanTimpa).